cap. 1 Introduzione all'Arte.




dolce zuccherino
sapore di una culla
per nascere
tra senza con niente nulla nessuno
festa un’esplosione
da sfogare tranquilli…un tizzone
una stella e qualche colore è l’acqua che esce
dalla sorgente della vita
fuoco luce e cheta e briosa s’alza la fontana
dell’eterna giovinezza

lì a un passo.

 

        1)     Introduzione all’Arte.


 

La prima cosa che ci viene in mente, una miccia accesa, una lunga striscia di polvere brown che si srotola serpeggiando tra oceani, monti e pianure fino al barilotto di dinamite sul quale ci siamo forse incautamente seduti.

Una fiamma viva e schioppettante con tanti mortaretti che schioppano (si dice così?) uno dopo l’altro via via che consuma e si  avvicina, l’inizio della miccia ai nostri piedi, cenere consumata, spazzata, dimenticata da un lungo giro che inizia e finisce e inizia dove finisce.

Siamo qui, aspettiamo senza paura, senza pietà, l’esplosione non attesa che ancora aspettiamo senza aspettare soltanto l’ora di andare a dormire per scivolare a quell’oggi chiamato domani.

Ontologicamente si potrebbe definire l’essere una cosa che rotola giù da un clinamen fatto di caso e necessità sotto una pioggia incessante di… bisognerebbe coniare la parola, quel “coso” misto di abitudine e pregiudizio che è appunto la parola che però non è così ma è...ecco il punto, il busillo, la res incontradicibile, il non essere che è geograficamente nel posto sbagliato, non su questa terra ma dove non è per essere... qui.

Chiaro come il sole a mezzanotte che non è ma è da un’altra parte, uffa, da quella parte, una direzione qualsiasi, quello che cerchiamo non sta nelle probabilità che sono conseguenze empiriche ma nel prima di accendere la miccia, nel prima del big bang astronomico, nel prima di qualsiasi cosa sia nei libri, nella storia, nelle tradizioni, nell’abitudine.

D’incanto appare il pianeta vergine, sorge lentamente come un colpo di fulmine, un amore sfolgorante, il desiderio dei desideri, non sappiamo e per sapere ci dobbiamo andare, splendido, che ci vuole? Un’astronave! nessun problema, eccola qua, fiammante come la fiamma che consuma la miccia, di più, un cazzo sempre duro, è il caso di scriverlo, sempre in tiro, sempre voglioso di ficcare, ficcare purchè respiri, anche pronto a diventare necroforo se necessario, si fa per dire... straveggoli, sogni dell’hascisc nella lucida realtà della ragione pura, istinto dell’Arte. 

Dunque, tanto varrebbe chiudersi nelle mutande una gatta furiosa, che importa? boh? E’ la prima cosa che ci è venuta in mente, quel che volgarmente si chiama improvvisazione, il pianeta vergine si sta dimostrando un osso duro per le nostre gengive, ci troviamo di fronte ad una ignoranza assoluta, niente da vedere, niente da toccare, solo qualche segno, una miccia schioppettante, un barilotto pieno di dinamite ed una gatta furiosa...tutto quel che potremmo è probabilità mentre quello che vogliamo è I’ improbabile, come si fa?

Andiamo per ordine, cominciamo a raffigurare un pianeta completamente sommerso dall’oceano, acqua da tutte le parti anche ai poli che non sono ghiacciati, solo acqua e poi... potremmo tuffarci, trovare forme di vita e scenari fantastici con i quali imbandire una storia ma è una probabilità e non va bene, potremmo fare un tuffo e nuotare ma anche questa è una probabilità, no, dobbiamo fare una cosa improbabile come ad esempio sederci sopra il pianeta d’acqua e cagare.

Per associazione sembra uno di quei palloni che usano i bambini  per saltellare sul prato ma questo non ha Ia maniglia, si può solo cavalcare a pelo, a pelo d’acqua e non a caso perchè è un pianeta d’acqua, un pianeta vergine, l’istinto come un diavoletto ci sta tentando a vederlo come la massa prima del big bang quindi non è solo un pianeta, è l’intero universo, un barilotto di dinamite pronto a saltare.

Da un postulato improbabile stiamo ricavando delle probabilità, il meccanismo si è messo in moto e possiamo vedere le probabilità conseguenti e fa venire i brividi anche a dei vecchi lupi di mare navigati al chissenefrega che di più non si può, proprio come diceva quel pacchista di sant’Anselmo.

L’Arte è un gioco, solo un gioco, per cavalcare un universo in potenza ci vuole quel non so che…il tocco in più e nessuna paura.

Forse si diventa grandi quando si smette di dar peso al giudizio, abbiamo perforato un iperbole che sta assumendo proporzioni gigantesche, di più, molto di più ed è saggia la pazienza del saper aspettare ovverossia l’arte dell’ agguato all’idea, in stile.  

 

                        Nota dell’uccellino. 


Sono un uccello, un grosso uccello pennacciuto eppure non volo, ho dimenticato come si fa. Uscii dall’uovo in un nido di merli che m’imboccavano tutti i giorni ed all’inizio credevo di essere un merlo non fosse che crescendo diventavo sempre più grosso ed a un certo punto non stavo più nel nido e dovetti volar via.

A quei tempi sapevo volare ma, come dire?…volavo da merlo e trovai subito un sacco di difficoltà perchè gli altri merli come mi vedevano aprire le ali mi piombavano addosso e m’arruffavano tutto facendomi precipitare a terra dove c’erano grossi maiali che venivano a imbeccarmi portandomi in strade che finivano dentro buchi profondi dove immancabilmente cadevo proprio come un merlo e che fatica poi venir fuori ed a ali moge tornare al nido che diventava sempre più piccolo.

I miei genitori volevano a tutti i costi convincermi che ero un merlo come loro, ero più grosso, le mie penne splendevano di tutti i colori e quando aprivo le ali si accendeva il sole eppure per loro ero un merlo e per evitare discussioni rivolavo alla fortuna dove ritrovavo gli uccelli che m’arruffavano e le fosse dei maiali che mi costringevano a tornare al nido dove immancabilmente m’attendevano con un: “Ecco, lo vedi che sei un merlo!“

Quando iI nido divenne impossibile me ne andai definitivamente ma nel frattempo avevo imparato che per me camminare era meglio di volare ed evitavo astutamente i maiali e le loro fosse e così riuscii a sopravvivere in un nido di fortuna tutto solo e soletto. Per ingannare la noia passeggiavo, mi permettevo anche brevi voletti senza pretese e intanto guardavo intorno se trovavo qualche uccello come me, vidi i passeri, le quaglie, i piccioni, incontravo fagiani, oche a dozzine, picchi e allodole e chissà quanti altri ma nessuno che m’assomigliasse anche un po’, andai  in montagna a vedere le aquile, belle non lo metto in dubbio eppure quanto diverse.

Cominciai a diradare le passeggiate e se facevo del voletti li facevo dentro di me, nella fantasia e ci presi così gusto che ad un certo punto mi persi in un labirinto disperato dove non trovavo più la strada per uscire e da ogni angolo sentivo voci che rimbalzavano e rimbalzavano in echi senza fine.

Una bella avventura la pazzia, adesso lo possiamo dire mentre guardiamo l’orizzonte allargarsi all‘infinito.

 

 

                            Il can(n)one.


 

Una montagna di idee accatastate grovigliosamente senza toccare...guardare: inizia lentamente ad allungarsi un filo lungo, una via che porta alla porta chiusa,  aperta… entriamo.

Un fulmine accecante e conseguente boato, beato dondolio, oscillare, un effetto ottico l’Arte o Canone imparato e messo da parte viene fuori da una scatola fatta di nulla, il filamento di una lampadina oscillante, un pesciolino d’oro luccicante, note musicali pure ed essenziali che gonfiano di luce e gonfiano e gonfiano e van rimesse nella scatola prima dell’esplosione, pazzia come la peste, solo un monatto può giocare con l'Arte senza impazzire ancora.

Dunque, con ordine, dall’inizio, come scolaretti.

Nel canone non ha importanza quel che si dice o quel che si scrive, il come e perchè e quando e dove ma il risultato. Ad esempio: entriamo in una piazza gremita di folla, saltiamo sul piedistallo che si alza al centro e iniziamo ad urlare sguaiati:

                            “Io sono un cretino! Io sono un cretino!”

Nulla importa, sul piedistallo adesso c’è la statua di un cretino e mentre tutti la guardano con la bocca aperta dallo stupore ci allontaniamo di nascosto e prendiamo una direzione qualsiasi per andare in un posto qualsiasi, non importa dove e come e quando ecc. l’importante è allontanarsi dal cretino e spaziare nel nulla ad ali aperte verso l’ignoto.

In una proposizione sostantivata la frase diventa nome cioè idea che si sviluppa in immagine, i vorrei essere infiniti si riducono a dove l’essere è e nello stesso tempo non è, montagne di sassi e montagne di uomini, lo studio di un pittore che si dipinge in fuga verso montagne che diventano vulcani e esplodono nell‘universo, un giardino profumato di fiori e farfalle nel centro dell’Asia, dodici perle più uno nel barilotto di un mago, un musicista divorato dalla pazzia, sordo ai richiami dell’io, alla ricerca della sinfonia, l’ultima, l’immortale…

                              La gara.


 

Che rumore fa una tagliola immobile nascosta nel buio? ssst...silenzio, l’urlo stridulo e acuto di una civetta che si allontana tra gli alberi, un che di selvaggio che scorre tra la terra e l’aria frusciando sulle foglie intorno aI grido della preda  addentata alla gola...silenzio, segue la cascata, il torrente va e viene con il vento alternando il rombo lontano della tempesta ed il frinire incessante di milioni di cicale il tutto nel quadratino di un fumetto dove si vede la luna sorgere da dietro  la montagna e il lago che si illumina riflettendo le stelle:

                                                               Noi

Noi...forse il verso di un uccello raro o una scimmia attaccata al ramo con la coda che dondola a testa in giù sbocconcellando con gusto una banana oppure un branco di lupi fantasma a caccia dei miraggi del chiaro di luna.

Noi...potrebbe essere un meccanismo arrugginito che cigola nel tentativo di autoazionarsi tra  rotelle dentate, ingranaggi, pistoni, circuiti, leve e chi più ne ha. Noi… il segnale intermittente dl immense città disperse tra le stelle che ruotano senza incontrarsi mai o il cucciolo di una tigre appena nato ancora rugiadoso dell’acqua materna che prova il suo primo ruggito, un gracchiolino di ruggito che promette bene però...

Dal trespolo al ramo l’uccello si sposta e la storia fa il passo nello studio di un pittore in una soffitta di Montmartre o forse da un’atra parte, che importa?

Quattro pennellate di fantasia, una grande stanza per lavorare mangiare dormire e fare salotto, sulle pareti appesi alla rinfusa quadri di tutte le dimensioni raffiguranti angeli pagani che copulano con ninfette in piccanti lochi ameni intorno ad un grande murales con Brigitte Bardot diciottenne, nuda, distesa su un tappeto di nuvole, le gambe divaricate, la vagina aperta a caverna dove entra un lungo treno passeggeri con bestie di ogni genere e specie affacciate al finestrini.

Su un lato il lettino con una coperta a fiori naif, al centro, sotto una lampadina accesa che pende dal soffitto, un tavolo formato da quattro assi su due mezze botti zeppo di tubetti e vasi di colore, pennelli, spatole, bottiglie di whisky e trementina, un vassoio dorato con un mucchietto di cocaina e la traccia di una scia appena tirata, cin cin.

Il cavalletto vicino alla finestra con la tela vergine di fronte ad un grande  specchio e il pianoforte accanto alla porta del bagno, ci sono tante altre cose ma che importa?

Il pittore col camice tutto imbrattato ed un cappello d’artista bohemienne sta preparando i colori ed al pianoforte c’è il musicista vestito con un frac nero lucido, lo sparato bianco coi pizzi al colletto ed ai polsini, farfallino nero ed un mazzolino di margherite all’occhiello. Sta titillando un tasto che risuona nella stanza come una campanella. Dice: “Questo do manca di tono.”  Scorre con le lunghe agili dita i dodici semitoni successivi, ritorna indietro e risuona la prima nota. “Questo do è stonato, fallo accordare.”

“Perché?...tanto non lo suono mai, sta lì solo per figura poi non ho tempo, non ho testa per la musica, voglio essere pronto per la gara.“

“La gara?... è vero, manca poco.” il musicista smette di martellare il do e attacca una musichetta allegra, una qualsiasi, suonando chiede: “Il poeta perchè non è ancora arrivato?“

Il pittore di fronte alla tela con un grosso pennello in mano si sta guardando allo specchio. Risponde: "Avrà trovato una ballerina per strada e le sarà corso dietro per annusarle il culo da quel cane che è…”

“Che è successo, avete litigato?“

“Ultimamente è diventato arrogante, dice che la poesia è tutto e noi siamo fantasmi, illusioni, imbrattatele e pifferai."

“Gioco psicologico per la gara, vuole essere il primo e le prova tutte, sono solo parole, lo sai…“

“Si, lo so ma pretendere che la poesia è anche pittura, musica e tutto il resto...gli ho detto che sarà la gara a deciderlo, i fatti non le parole.“

“E lui che ha risposto?”

“Ha fatto una risata ed è sparito nel nulla.”

“Deve venire però.”

“Così ha promesso ma fidati delle sue promesse."

“Verrà... che importa? tu piuttosto che porterai alla gara?“

Il pittore sta un attimo pensieroso mentre la musichetta allegra continua a spingere  notarelle su e giù per la stanza e dice, marcando le parole: "Il mio autoritratto!”

Il musicista smette di suonare, si alza e va vicino alla tela. Le code del frac, lunghissime, strisciano il pavimento: “II tuo autoritratto? Banale.”

“Forse!" esclama il pittore stizzito. “La vedi quella figura allo specchio?"

“Sì, è Ia tua.”

“E’ la mia figura ma non sono io, è una immagine riflessa da uno specchio, prova a toccarla, è vetro, nient’altro.”

“Bene, e con ciò?“

“Se quella figura non sono io  chi è? Ci deve essere qualcosa laggiù…”

“Laggiù dove?“

“Laggiù in fondo allo specchio, in fondo alla tela, una figura che sta dietro, che si nasconde, che usa quel non io come una maschera.“

Schiaccia da un tubetto del nero sulla tavolozza, ci intinge il pennello e disegna sulla tela un occhio, un occhio al contrario visto da dentro la testa, allarga il cerchio della pupilla sul bianco della tela dicendo: “Il non io allo specchio ci guarda ed invece questo guarda dentro lo specchio, laggiù in fondo e lo devo vedere...devo vedere che cosa guarda…”

Il musicista batte le mani: “Interessante, con questo speri di vincere?“

“Certo, perchè no?.

 

Gli artisti guardano dentro l’occhio che guarda dentro la tela.

“Non si vede niente.”

“Nulla…”

 Il pittore scruta attentamente lo specchio, rimane un attimo assorto nell’idea e dice: “Forse non si vede niente perchè è troppo lontano, laggiù in fondo, chissà fin dove arriva, potrebbe non finire mai e continuare all’infinito oppure potrebbe essere da un’altra parte...ci vorrebbe il poeta, perché non arriva?“

“Cos’è?... ti manca tanto?”

"Mi ispira, quelle sue idee strampalate certe volte...boh, arriverà. E tu, che porterai alla gara?”

Il musicista tira un sospiro lungo e risponde: “Non lo so ancora o meglio lo saprei se non stessi diventando pazzo. In questi ultimi anni ho studiato la musica dai giochetti matematici di Pitagora ad oggi e sono arrivato alla conclusione che non c’è più spazio, qualunque suono mi venga in mente è già stato suonato e così ho pensato ad una musica nuova, una musica che non è ancora stata inventata ed ho trovato I'iimpossibile ma come fare se è impossibile?”

“Spiegati meglio.”

“Vorrei essere nulla e poi suono e suonare gli elementi della natura con la loro voce spontanea ed il tutto come atto di volontà, sul podio a dirigere e nello stesso tempo negli strumenti che suonano ed i suoni voglio che escano come figure, immagini volatili che dall’intreccio iniziale si liberano, vanno, vengono, si trasformano in fiumi di note che tutti entrano in un oceano di suoni che esplode in un universo...pum!  pensa che boato, che effetto, ma come fare?”

“Forse laggiù…“

Mentre il musicista parlava il pittore ha disegnato oltre l’occhio che guarda una via lunghissima che si perde nel fondo della tela, l’abbozzo di una via, una lunga pennellata di colore profumato di trementina.

"Laggiù ci potrebbe essere quello che cerchiamo, fantastico e impossibile come la tua musica e forse ci stanno aspettando…l’immagine ed il suono.”

"Sei più pazzo di me e non c’è limite, laggiù?... come ci andiamo?...Vorrà venire anche il poeta, lo aspettiamo?“

In quel  momento bussano alla porta.

 

Il poeta è qui che scrive la storia ed adesso ha bussato ma prima di entrare bisogna bruciare tutto, tirar su un casino della malora, distruggere, spaccare, disintegrare senza virgole o punti, puro caos e poi guardare senza toccare.

Il pittore ed il musicista sono due vestiti in cerca di un corpo che li sappia indossare, vaghi nulla di apparenze ideali mentre noi...potrei idealizzare la qualsiasità, una figura a caso che peschiamo dal mucchio universale per entrare da quella porta rimanendo  fuori dal foglio.

 

Il vestito del pittore va ad aprire. Alla porta c'è un uomo nudo, capelli castani ondulati, occhi azzurri ecc. Tra le braccia stringe un barilotto di legno con doghe d’oro luccicanti.

Il pittore lo guarda e dice: "Aspettavamo il poeta, tu chi sei?”

“Il poeta non può venire, sta scrivendo questa storia, ha mandato me al suo posto. "

“Chi sei?”

“Eh eh eh!” sghignazza l'uomo nudo, “che importa? Il poeta mi ha dato tutte Ie istruzioni e un dono…" alza iI barilotto per mostrarlo ed ammicca con gli occhi come per far sapere che dentro c’è chissà che cosa.

Il pittore lo fa entrare e adesso nella pagina c’è un uomo nudo in mezzo a due vestiti davanti alla tela.

“Evitiamo premesse, so già tutto, anche che cosa c’è laggiù!” sbraita letteralmente l’uomo nudo.“

“Che cosa?” domandano all’unisono i due vestiti.

“Un bel nulla!”

“Questo lo dici tu!" urla offeso il pittore.

“Impossibile a questo punto!” esclama il musicista: “come fai a dirlo?”

 L’uomo nudo salta sul tavolo ed a calci scaraventa  quello che c’è sopra per terra poi balla per qualche minuto agitando il barilotto da tutte le parti, si sente come se dentro ci fosse proprio chissà che cosa, con un salto torna tra i due vestiti e dice: “Laggiù non c’è nulla che possiamo trovare ma c’è qualcosa che possiamo creare e che farà contenti tutti e tre.”

Il musicista con aria scettica ribatte: “Creare è il nostro mestiere ma chi ci assicura che il poeta non ti abbia mandato per ingannarci e farci perdere la gara?”

“Nessuno! A lui interessa sapere più che a voi quello che c’è laggiù ed intende lavorare con la massima serietà.“

Il pittore sta un attimo a pensare grattandosi il nulla che ha sopra il vestito  e dice: “Parole, solo parole, sembra di sentire parlare il poeta, come ci andiamo laggiù?“

“Semplice!” esclama l’uomo nudo. Prende le forbici e taglia il contorno della pupilla disegnata sulla tela.  Al di là c’è un corridoio lunghissimo completamente privo di luce, un vero e proprio buco nero.

“Ecco, adesso possiamo entrare ma prima bisogna dar fuoco a tutto, il viaggio è senza ritorno ed è meglio non lasciare ricordi, fuoco! fuoco!”

“Un momento...e la gara?” domandano i vestiti.

“La gara la disputeremo strada facendo, adesso fuoco!“

Così brucia tutto quello che c’è nella pagina eccetto il buco nero, l’uomo nudo ed i due vestiti.

 

Probabilmente ha ragione quell’ubriacone di Dostoevskij quando fa dire al grande inquisitore che gli uomini sono schiavi che hanno paura della libertà, che importa? nulla ma siccome la somiglianza universale circonda l’immagine come il corpo il cuore cerchiamo di immaginare dio, parola astratta, mentre dipinge il suo autoritratto per creare l’uomo, altra parola astratta.

Un pittore dunque, sia questo e questo è, volontà pura ed un pennello selvaggio, con quanta cura i particolari, vere e proprie finezze davanti allo specchio, che specchio? La cosa è quindi è possibile, creare con la volontà significa realizzare un sogno, lo specchio uno schermo che riflette iI nulla, ci mettiamo davanti e sogniamo, non possiamo farlo a caso, quando si scrive un libro occorrono  punti di riferimento, idee, quando si suona occorrono note, idee musicali, quando si dipinge altre idee, contorni e spazi da colorare.

Sullo schermo appaiono i dodici semitoni della scala cromatica, dodici stelle in linea nello spazio pentagramma, la linea oscilla come un’onda avanti ed indietro e suona accordi di note che si dispongono nello spazio illuminandolo tutto di idee. Un musicista dunque, una musica selvaggia la natura che si forma sullo schermo una giungla spietata eppure l’ordine perfetto, la catena alimentare ed il controllo demografico, l’equilibrio...la cosa è quindi ci deve essere un motivo se alla comparsa dell’uomo questo equilibrio si rompe, come se alle dodici stelle cromatiche si fosse aggiunta una nota stonata, contro natura, da qui  il discorso comincia a filare, la parola, l’uomo di fronte allo specchio universale, un uomo innamorato, Amore contro la forza selvaggia della natura, una storia, una favola, una poesia.

Un poeta dunque...

Tutto questo esce come vomito canonico dal barilotto dell’uomo nudo al passato, facciamo punto locale del presente e guardiamo il futuro. La ragione in sè è una specie di istinto che qualunque cosa produca è sempre logica e logicamente, siccome il futuro è il contrario del passato, si probabilizza il processo inverso come un pendolo che va al futuro tornando all’origine.

 

Lo studio del pittore a Montmartre, tutto come prima solo che questa volta i due vestiti hanno un corpo e sono perfettamente identici, il pittore ed il musicista, due gemelli bellissimi così tanto che è impossibile descriverli senza un lungo giro intorno alla tela.

Platone vedeva la cavallinità delle somiglianze cavalline come emanazione del cavallo immagine ideale, nello stesso modo i due gemelli sono immagini ideali di perfezione, due artisti.

Nell’affresco del ritorno alla madre la figa di Brigitte a gambe spalancate sta inghiottendo il lungo treno che nel frattempo si è fatto avanti, anche lei è più giovane, sedici anni e guarda dal quadro coi suoi occhi da tigre come per voler dire: “Adesso ti mangio.”

C’è il fuoco nella pagina e brucia, una poesia che recita l’amo et odi di Catullo  bruciando l’eterna pena di Narciso che si tuffa nello specchio, brucia brucia fuoco...

Il pittore mette una tela bianca sul cavalletto poi la guarda trasognato.

“Ho l’intuizione…“ dice, “che laggiù…” indica un punto lontano anni luce nel fondo della tela,“ci sia qualcosa che brucia.“

“Senti puzza di bruciato?“ domanda il musicista beatamente sdraiato su un’amaca con un piffero tra le dita interrompendo il motivetto allegro che stava suonando.

“C’è tanto fumo intorno, nuvoloni di tempesta e lampi e fulmini e oltre c’è tutto un universo e oltre...sembrerebbe un occhio che si apre e si chiude, un bagliore intermittente e sta viaggiando.” Interrompe il discorso per  guardarsi nello specchio, si sposta una ciocca di capelli che gli dondola sulla fronte e continua: “Sta viaggiando ma è strano, non segue una direzione, le segue tutte rimanendo immobile...può essere un’idea, un lungo interminabile inizio che inizia e ricomincia ad iniziare senza finire mai...del poeta hai notizie?"

“Boh?…dovrebbe arrivare, almeno così ha detto.”

“Gli piace farsi aspettare, “ aggiunge il pittore, “bastardo, starà escogitando nuovi trucchi per vincere la gara…”

Nella stanza, non si sa da dove arrivi, si sente una voce dire: “La finiamo di sparare cazzate?" poi silenzio.

I gemelli si guardano intorno stupiti. “Chi ha parlato?” domanda il pittore.“

“Pensavo fossi tu.” risponde il musicista e riprende a suonare il motivetto allegro.

“Traveggole, forse un rumore dalla strada, la gara è vicina, i nervi potrebbero giocare brutti scherzi.”

“Che ti importa?”

“Nulla  ma sai com’è, meglio essere prudenti.”

 

Il poeta davanti alla macchina da scrivere guarda dentro il foglio per misurare le parole fin dove possono arrivare, fruga nelle idee per trovare qualcosa di originale, sbuffa, sbuffa ancora, prova in un mucchio maleodorante frizzante di bollicine di decomposizione da cui fa alzare due ali che s’allontanano veloci, prende un gong col diametro di qualche chilometro, lo posa orizzontale su un prato e ci fa piovere sopra miliardi e miliardi di monete d’oro che tintinnano scontrandosi in volo e scrosciano sul gong in una musica assordante ma molto piacevole, aggiunge una decina di vulcani ed altrettanti giganti armati di clava, li fa battere sui vulcani che esplodono in eruzioni sollevando fuoco e faville e fumo incandescente con interessanti sfumature di tutti i colori dell’inferno e giù clavate e su esplosioni, fonde i suoni e cerca il tempo, il tempo...sul foglio le parole scendono a fiume col singhiozzo, sussurro d’acqua che ripete: “dimenticare tutto dimenticare tutto, nulla è mai esistito.” e l’acqua sale all’oceano superiore che sta sopra il sopra del sopra. Dentro il foglio iI pittore ha fatto uno schizzo ed il musicista dalla scatola magica del piffero sta tirando fuori un serpentello di melodia che serpeggia tra i boati e la pioggia d’oro.

“Così ad occhio direi che la forma è ancora lontana." dice il pittore guardando lo schizzo appena abbozzato.

Il musicista batte il piffero sulla mano facendo uscire un’ultima notina che si era inceppata dentro e dice: "Il ritmo del movimento non è perfettamente a tempo, probabilmente hai ragione, che cosa hai dipinto?"

Sulla tela c’è un angelo nudo molto carino con le alucce aperte e tutte le piume di contorno che fremono."

“Amore! ma guarda…“ mette il quadro di fronte allo specchio e questo riflette un diavolaccio brutto e malefico con un ghigno d’odio da far gelare il fuoco.

“Lo specchio non mente.” continua il pittore, “l’inversione è logica, se questo è Amore quello non può essere questo, sono due cose diverse, dunque Odio è laggiù dentro lo specchio.“

“Chi ti dice che non sei tu dentro lo specchio?”  sbraita una voce che arriva chissà da dove.

Il pittore lascia cadere il quadro ed il musicista si alza di scatto, si guardano intorno, controllano nel bagno, dentro le casse ed i bauli, tra le cianfrusaglie sul tavolo poi il musicista azzarda una domanda: “Chi ha parlato?”

Risponde la voce: “Sono il poeta!”

“Sei diventato invisibile? ti stavamo aspettando.”

"Sono qui…dall’altra parte del foglio e sto scrivendo la storia.”

“Sei Iì? Che ci fai ancora lì, noi ti stiamo aspettando per la gara, lo sai.“

“Un corno so! qui sto andando a pezzi, tutto sta andando a pezzi e l’odio mi tiene prigioniero, non posso più muovere un passo, più fare niente, circondato…”
 
 

Dopo qualche giorno, una notte senza pruriti, il poeta si è rimesso a scrivere. Dentro il foglio i due personaggi si sono ancora sfocati, sembrano in discussione di forma e nome, quale forma e quale nome? Sulla parete il murales invece splende, Brigitte voluttuosa allarga le gambe per accogliere il treno stracarico di bestie che nel frattempo si è fatto avanti, è diventata ancora più giovane, adesso dimostra quattordici anni...sembra un conto alla rovescia nel tempo.

Il poeta fuori dal foglio guarda un fiore appassito e dondola nel dilemma di una lunga vita e l’eterna giovinezza, dentro il foglio il pittore ed il musicista guardano dentro la tela nel profondo laggiù, Child in time dei Deep Purple sparato allo stereo, un caso, rilegge le ultime righe, arrotola una canna, guarda fuori dalla finestra e intanto pensa che ha poca voglia di scrivere, lavoro è fatica, butta giù a caso come viene inquadrando le immagini nel mirino dell’Arte, un occhio che guarda senza toccare, si vede un paio di forbici, in qualche modo un paio di forbici, a cosa servono?

Il poeta cammina intorno alla macchina da scrivere, fuori dal foglio la realtà è cresciuta, una spontaneità spietata, una rapida nuotata contro corrente, un oceano in tempesta da navigare impassibili, impossibile andare contro la propria spontaneità.

La tempesta si è placata, il poeta si abbandona alla corrente e si rimette a scrivere la forma luminosa dell’essere, plasmabile, da creare, modellare a ritmo con la natura, un rapido volo oltre le stelle in un vuoto terra di nessuno, un vuoto infinito dove c’è una nicchia con dentro un metronomo, tic tac tic tac, la velocità dell’essere che ruota in sintonia  con le stelle, i pianeti, gli animali, il vento, il fuoco, l’acqua, la terra.

Il pittore ed il musicista hanno un paio di forbici ciascuno sul petto appese ad una catenella legata al collo con un cappio, si direbbe il simbolo di una setta segreta, l’autore sente la somiglianza con i due, un poeta deve saper dipingere l’immagine e farla suonare, potrebbero essere strumenti e le forbici altri strumenti per tagliare...

Il pittore ha dipinto il metronomo nel vuoto infinito oltre le stelle, la figura è in un punto lontanissimo nel fondo della tela, si vede l’asticella oscillare, il musicista la guarda e segue il tempo battendo le mani ma invece del solito battimani si sente il sibilo di un fulmine ed il tuono, di nuovo il fulmine, il tuono, il fulmine e via di seguito. “Far suonare la natura…” sospira il musicista estasiato, quale orchestra, quale sogno…“

Il pittore mette un panno sopra il quadro e dice: “Sono stanco, perchè non usciamo a fare quattro passi?”

Escono, entrano in un bar, bevono qualche pastis adocchiando le parigine civette che passeggiano fuori dalle vetrine e poi, un po’ alticci, vanno a zonzo per Parigi come due cretini qualsiasi e entrano in un quartiere che non avevano mai visto prima, deserto, tutti i negozi chiusi, le porte, le finestre, tutto sbarrato, non si vede un cane.

In mezzo a una piazza c’è un cumulo d’immondizie e proprio in cima al mucchio c’è un corpo esanime. I due si avvicinano, provano a smuoverlo e vedono che è morto. La faccia è stata spaccata a martellate, irriconoscibile, una maschera di sangue dove nugoli di mosche banchettano e depongono uova, il corpo è nudo, incrostato di fango e sangue rappreso, non più giovane e neppure  vecchio, molto robusto, la pelle ora violacea doveva essere abbronzata. “Poveraccio!“ dice il pittore, “Chi può essere?“

Il musicista si gratta la testa e con un sospiro risponde: “Potrebbe essere chiunque ma quel corpo...le spalle, le mani e la puzza...se fosse il poeta? Ecco perchè non veniva.“

“Chi può averlo ridotto così“

Il poeta guarda dentro il foglio la sua morte, lui sa chi è l’assassino e adesso sappiamo anche perché, la forma...con le forbici taglia il quadratino di foglio  con l’immagine del morto e la butta nel fuoco poi soffia la cenere al nulla, si pizzica e cancella tutto per mettere un altro foglio alla macchina da scrivere.

 

Ancora non va, l’autore non è soddisfatto. Rilegge le righe stropicciando il naso, ha capito l’importanza d’aver ucciso l’immagine allo specchio che era d’ostacolo alla ricerca della forma ma quante volte l’ha già  fatto? ogni giorno, ogni ora, ogni minuto...la storia langue e si ripete, mestiere ma non ancora quel mestiere che diventa Arte e l’Arte Mestiere... sembra un pinguino di fronte all’immensa distesa di ghiaccio, il pinguino corre agitando le ali, corre più veloce che può con quelle inutili ali e non decolla, la storia non decolla ancora.

Con tanta pazienza  il poeta butta i fogli scritti nel fuoco e ricomincia, una pagina nuova che diventa lo specchio per guardare dentro, per vedere i soliti due artisti e Brigitte alla parete, adesso ha dodici anni ed il treno ha raggiunto l’entrata della sua vagina aperta a caverna, tutte le bestie ai finestrini agitano fazzoletti e berretti e bandierine colorati.

Il pittore ha messo una tela vergine sul cavalletto ed il musicista sta stappando una bottiglia di vino, si sente il plop! del tappo stappato e lo sfrigolio delle bollicine mentre riempie i bicchieri, ne porge uno al pittore e brindano non sappiamo a cosa. Le loro immagini sono un’idea di perfezione, un’intuizione a scalinata che sale e non si vede la fine, oltre le nuvole e ancora di più, che importa?

Le forbici al loro petto sono aperte a ics e anche qui l’intuizione sale ed è probabile che stiano brindando alla  morte del poeta. Li disilludiamo subito.

Nella stanza si sente una voce esclamare: “Salute!“

I due in risposta ruttano ed il pittore dice: “Bastardo!... ti abbiamo appena visto morto... dove sei?“

“Sono qui, in mezzo a voi, in questa stanza, invisibile.“

“Dunque sei un fantasma?“ esclamano i due ad una voce.

"No! sono la volontà del poeta, un’idea, posso brindare con voi? o dovrei dire noi...gettate la maschera, ho capito chi siete, dov’è il resto della banda?”

Adesso le loro forbici brillano, “Arriveranno a suo tempo…il tempo di scolare la bottiglia.”

Sulla tela si apre l’occhio nella profondità verso l’infinito al metronomo nella nicchia oltre le stelle, la sua forma è mutata, un faro lampeggiante che si accende e si spegne, un faro sperduto nel buio totale e se lì c’è un faro vuol dire che vicino ci deve essere un porto.

"All’arrembaggio!…”

Il poeta brucia le tappe senza ghirigori inutili, smette di scrivere, si stende sul letto e guarda nella mente l’oceano tranquillo che riflette le stelle, l’ispirazione...sente l’unico amore possibile, la  libertà...

 

 

Cos’è la storia? L’autore scrive la storia, soggetto predicato e oggetto, la storia è l’oggetto della volontà del soggetto scrivente, chiaro.

A questo punto il pro ed il contro sono bene delineati, uno contro tutti, da una parte l’uno e dall’altra l’universale. Quel secchione di Hegel con la sua logica rigorosa direbbe che l’universale minore in sè è maggiore, quindi il pro è nel contro e l’uno nell’universale, la stessa cosa, come lo facciamo uscire?

Cos’è la storia? da un punto di vista botanico può essere paragonata ad una pianta, l'idea il seme  da cui si sviluppa il tronco principale ed i rami con foglie fiori e frutti e perchè no? anche gli uccelli che cantano svolazzando tra i rami e le farfalle tra i fiori, le api ecc. tutte probabilità che si sviluppano in conseguenze causa effetto e potrebbero svilupparsi all’infinito se non ci fossero le forbici del potatore.  Appare una figura nuova, il potatore di storia...come se non avessimo scritto nulla e poi in stile che importanza ha?

La storia sono solo parole che il poeta sta scrivendo sulla carta mentre il pittore lo ha dipinto nudo alla macchina da scrivere con un monocolo zoomabile all’occhio sinistro che guarda dentro di sè l’universale imprigionato nell’uno…

In un labirinto di specchi che riflettono se stessi il poeta crea la storia, questo autore è solo un riflesso di chi sta veramente scrivendo la storia, nudo, davanti allo specchio. Facciamo uscire la volontà dal foglio, serata metallica, paranoico sdoppiamento di personalità nello schermo intellegibile della mentalità, un taglio qui, un taglio là, la pianta sta prendendo la forma libera di un bonsai, un bonsai universale, il tronco si ramifica in due rami principali nei quali sono innestate tutte le tipologie, il bonsai è in uno stato pietoso, i rami sono fuori figura ed i diversi tipi di innesti si sono attorcigliati tra loro e si stanno soffocando a vicenda, non sapremmo dove mettere le forbici, dove tagliare per primo.

Le probabilità successive sono evidenti ma che importa? La volontà del soggetto fuori dalla storia, il suo movimento è un atto di libertà, essendo nella storia, essendo nel bonsai, essendo quindi oggetto in sé, per conseguenza logica dovremmo sentire la chiamata... 

Il   pittore mette una tela bianca al cavalletto, il musicista siede al piano e mette uno spartito vuoto sul leggio, il poeta mette un foglio nuovo nella macchina da scrivere, lo starter spara una cannonata, una cannonata semplice, di pochi megatoni e la gara ha inizio.
 

                                   L’origine. 


Un mattino dopo una notte tormentata da sogni terribili dove precipitavamo di incubo in incubo sempre più giù ci svegliamo su un isolotto di pietra in mezzo al mare, in mezzo perchè come l’infinito vediamo il mare da tutte le parti.

L’isolotto ha la forma di un naso, un naso rapace ed è come piantato nell’acqua ad annusare i profumi di una serenata alla libertà.

La cosa non ci sorprende anzi, siamo appena nati, non quel nascere quando si esce da una vagina, quel nascere quando si aprono gli occhi per la prima volta e si vede un naso di pietra in mezzo al mare.

C’è un po’ di vento, scivola fischiettando sulla spuma delle onde che il sole irraggia di fili di luce iridata che si riflettono sulle gocce d’acqua rimbalzando al cielo e poi chissà dove...l’isolotto è piccolo, un centinaio di metri di perimetro alla base che percorriamo aggrappandoci alle rocce e poi saliamo in cima, sulla punta, dove c’è un piccolo cratere che fuma e dentro bollii e gorgoglii di lava ed a intervalli anche ruttini.

La lava è limpida e trasparente come acqua e più la guardiamo più diventa luminosa, nel suo interno c’è qualcosa che si muove, diremmo meglio che sguazza come un pesce ma la luce si fa così forte che dobbiamo volgere lo sguardo e rimaniamo a lungo accecati con il sole negli occhi con uno strano pesce che nuota nel suo interno…poi di nuovo il mare, il sole.

Curiosiamo qua e là, le narici sono aperte, due comode nicchie col pavimento di sabbia e le pareti ricoperte di alghe multicolori da cui trasudano goccioline d’acqua che scendono serpeggiando tra le alghe con infiniti luccichii e si incanalano in piccoli rivoli ai lati del pavimento che si scaricano in mare. L’acqua ha un buon profumo, ne beviamo un sorso ed intanto si fa sera.

Ci svegliamo in quel momento nel solito letto, in un dormiveglia confuso abbiamo l’impressione di abbracciare un corpo caldo e soffice, un corpo che amiamo in modo impronunciabile e lo stringiamo beandoci della stretta… dura poco, ci svegliamo con le braccia strette al nostro corpo, ci alziamo dal letto, facciamo pipì e comincia la giornata.

 

La realtà, soli come un uomo che corre in un mondo di gente senza gambe oppure come uno senza gambe in un mondo di gente che corre...la sostanza non cambia, ragion di stato, dovere e disciplina sono una prigione senza mura. Via i rimpianti, così è, cos’è? Un naso, dove lo ficchiamo?

Il bonsai è la storia, ha le radici quindi la storia ha le radici.

Le radici della storia sono  punti di adesione e vanno cercate e scalzate con molta cura.

Il naso si alza lentamente dal mare, fa un giretto sopra le nuvole annusando qua e là come un segugio che fiuta la pista e  si tuffa deciso in Egitto e inizia ad orbitare intorno alla testa della Sfinge.

Manovra di aggancio, il naso si pianta in mezzo al muso della Sfinge, intorno le alte piramidi e deserto da tutte le parti...con pazienza si possono vedere le dune di sabbia muoversi come le onde del mare e tutte frangersi contro la Sfinge con grandi spruzzi e cascate di spuma di sabbia, lentamente però, molto lentamente, miliaia e miliaia di anni...

In un cerchio la fine e l’inizio coincidono ma non si può dire che siano la stessa cosa, il cerchio inizia dopo che finisce e c’è una fine dell’inizio ed un inizio della fine, il pro nel contro ed il contro nel pro, li possiamo sistemare a suon di musica, il culto di Iside, di Ishtar, di Venere ad un certo punto finiscono e inizia il regno della Bibbia.

Possiamo senza dubbi definire la bibbia un codice esoterico cabalistico per chi capisce, la formula per costruire il golem, l’uomo robot, il morto vivente che sì è mangiato prima gli ebrei poi l’occidente e dopo Hiroshima anche l’Oriente.

Le Uri, ognuna sul suo granello di sabbia, danzano al chiaro di luna l’invocazione alla libertà perduta, prima del prima del prima quanti giri hanno metamorfizzato il pro che continua a vivere nel contro? Dal naso della Sfinge possiamo vedere Dio plasmare a sua immagine il primo golem dal fango e poi i preti farsi plasmatori degli altri, il pianeta dei morti viventi.

 

Storia passata come acqua sotto il ponte della necessità, da quassù si vede bene, il senso delle cose è l‘evidenza.

Un morto vivente è un morto che ha in sè la vita, cioè il pro nel contro, prendiamo questo pro e diamo una bella sforbiciata al resto poi rificchiamo il naso sul muso della Sfinge.

La radice è dura da estirpare, scava scava...chissà quali tesori sono nascosti là sotto...Il presupposto: “Siamo poveri ebrei, golem tradotti dalla bibbia.” Amore impossibile eppure qui, miliaia di anni fa, finiva un’epoca e iniziava una migrazione di schiavi zoppi verso la Palestina che si portavano dietro il culto dei morti ed adoravano un unico Dio.

I punti etici della bibbia sono la vergogna (negazione) del proprio corpo, il disprezzo per le donne, il sudiciume del sesso, il senso di colpa derivato dal peccato originale ed il capro espiatorio.

Nelle Storie Tacito racconta dettagliatamente come Vespasiano divenne imperatore, non doveva essere cosa facile diventare imperatori a quei tempi, chissà quali oscure alleanze si portò dietro dall’Africa, di certo la diaspora degli ebrei che distrutto il formicaio d’origine si sparpagliarono ovunque formando nuovi formicai per tutto l’impero, comunità chiuse in ghetti governati dai preti in rappresentanza della bibbia.

Sembra tutto collocato in un piano preciso che lentamente prende forma: la diaspora, la trasmissione del sistema e la distruzione dell’impero.

Seguiamo il lento cammino delle formichine ebree dall’Africa all’Asia alla Spagna all’Inghilterra alla Russia, sempre cacciati, sempre obbligati a scappare ed a formare nuovi formicai, nuovi ghetti che a sistemazione completata, essendo organizzati in società feudali teocratiche che dipendevano dai rabbini, trasmisero la loro organizzazione a popolazioni distrutte e riciclate dalle invasioni e dalle guerre che così si riformavano a loro immagine. Estetica pura.

Questo mondo di ghetti venne distrutto da Hitler. Si vedono gli ebrei cacciati da Israele duemila anni fa sparpagliarsi ovunque e poi Hitler sollevare un gran nuvolone che li riporta in Israele.

E’ probabile che la mafia di potere che con Vespasiano portò gli ebrei in Europa sia ancora attiva ben rappresentata dal papa e dal presidente Usa ma questa è politica e non è affare nostro.

Tra le righe della bibbia si possono trovare importanti informazioni per l’apertura e lo sviluppo del Canone, per la comprensione dell’universale ecc. di conseguenza qualcuno migliaia di anni fa molto astutamente le inserì nel libro oppure l’esatto contrario, la bibbia venne scritta ricalcando le informazioni di un libro o di una storia precedente trasmesse nel linguaggio dalle tradizioni orali tramandate dove non potevano essere cancellate.

Torniamo ad orbitare sul naso intorno alla Sfinge... da qui iniziò la prima migrazione di ebrei, da qui ebbe inizio tutto.

 

E’ notte, una bella notte stellata, come se il pittore avesse steso con una spatola una spessa mano di blu quasi nero con riflessi pervinca violacei e poi, prima che la tinta asciugasse, si fosse divertito a tirarci contro delle palle di luce bianca molto luminosa che spiaccicandosi nel blu si sparpagliavano in raggi sfumandosi in infinite tonalità del tutto casuali ma disposte con perfezione assoluta.

C'è un filo di vento, soffia tra gli interstizi e le cavità della Sfinge, sembra un violinista con un archetto seghettato che suona su corde di carne viva un motivetto con poche note, do re mi, poi il vento cambia e porta indietro l’archetto, la sol fa...non ha molta importanza, una folata violenta ed improvvisa alza un cumulo di sabbia che si mette a roteare lanciando un lungo lamento amoroso di maschio in amore.

Il deserto, dissertazione, cazzeggiamento...iI naso si è appiccicato al muso della Sfinge ed è percorso da fremiti come se volesse starnutire o peggio, dal pozzetto sulla punta escono delle sbuffate a forma di pesce chi a destra e sinistra, chi sopra e sotto e poi svaniscono nel vento, una contrazione violenta, un’altra, il naso inizia ad allungarsi, a srotolarsi ed in pochi secondi pende giù come una proboscide, come un cazzo che lentamente gonfia, si inalbera enorme verso l’alto, duro diamante di carne, un cappellone a mazza di tamburo che oscilla da destra a sinistra e viceversa e batte l’aria tesa a pelle d’asini stagionati facendo tum, tum tum, molto profondo, si sente da qui...

Per non perdere l’equilibrio abbiamo abbracciato il cazzone e lo teniamo stretto stretto, sembra di stare a pelo su un cavallo enorme dai muscoli poderosi che galoppa selvaggio verso... che importa?

Improvvisamente fa una sborrata ad eruzione di vulcano esplodendo nell’aria un getto di fuoco vivo che riempie tutta la pagina incendiando il deserto che arde fino alle stelle e poi piano piano si spegne lasciando braci e lapilli di sabbia ardente che volteggiano a ghirigori saltellando tra le dune diventate un oceano di scintille ondeggianti...sopra c’è una strana barca, uno schifo che si avvicina navigando sulla sabbia arroventata, è invisibile, si notano solo i contorni.

Dentro forse c’è qualcosa forse no, aspettiamo che sia più vicina... 

                       Essere o non essere?

                                                (That's the question)
 

Abbiamo perfezionato la logica con Hegel, è bastata un’occhiata per capire che la logica non l’ha inventata Hegel, è una scienza naturale, meglio ancora un’Arte per pochi ed a certi livelli per uno solo.

Hegel nella fenomenologia scrive che data una cosa tutto ciò che non è quella cosa è un non essere della cosa e nello stesso tempo un essere per se stesso.(sillogismo.)

Esempio: dato un tavolo come cosa la sedia è un non essere tavolo e un essere sedia, è e non è contemporaneamente ma  essere e non essere sono due cose diverse, l’essere è uno mentre il non essere è tutte le cose che l’essere non è.

La sedia è parte astratta dall’universale di tutte le cose che non è, l’universale maggiore che quindi in sé è uno, la parte è minore ma in sé è maggiore poiché la sedia è formata da schienale, gambe, poggiaculo ed ogni parte la si può dividere in un universale minore e così via.

L’essere sedia è coperto dall’essere tavolo ed in questo caso il tavolo è un non essere della sedia quindi è come se avessi messo il non essere sopra l’essere ed il non essere in questione diventa una copertura dell’essere.

L’abito non è il monaco ma un non essere che copre, una divisa, un’apparenza e quel che c’è sotto...

Il peccato originale trasmesso dalla bibbia, inculcato nei bambini fin dalla più tenera età dalla tradizione tramandata e dai preti ha trasformato l’universale umano in un esercito di divise, di apparenze, di coperture dell’essere, abiti che camminano, che lavorano, che procreano, disposti in una gerarchia feroce su una scala che scende di vergogna in vergogna a coprire una grande vergogna: il figlio della serva.

Sul gradino più basso della scala abbiamo guardato per anni tutti quegli abiti che ci facevano boccacce e adesso ci arrotoliamo la foglia per  un bel cannone... Una copertura tra le coperture, un essere sotterrato sopra montagne di cappotti, giacche, impermeabili, maglioni e chi più ne ha…

E' stato un lavoro lungo è faticoso, un pezzo alla volta, liberarci di tutti quegli abiti, nudi voltiamo la pagina, un foglio nuovo tutto da creare, acqua che zampilla allegra dal pisellino dritto di un bambino e si incanala in un fiumiciattolo che sprofonda a vortice nell’interno del foglio, non si vede fine, solo una vaga oscurità nel cui interno più profondo c'è qualcosa ancora senza forma e senza nome, inclassificabile.

Un lampione acceso sopra la strada dove scorre la vita, quella vera, tra le puttane, nelle soffitte bohemienne tra  sassofoni ed il profumo di whisky e trementina, tra i travestiti, gli spacciatori, i ladri, le rose rosse ed i tulipani di van Gogh sempre ubriaco, tra i mulini a vento che roteano le pale spietate  mandando sempre a gambe all’aria don Chisciotte, eternamente, forse...c’è un limite al giorno, c’è un limite alla notte...

Ecco il film, i personaggi, il campo d’azione, la trama, l’autore e la visione di una macchina, un immenso computer dove si infila l’in put e dallo sportello di risposta escono bistecche al sangue oppure piatti di spaghetti alle vongole, chantilly e  chi più ne ha...che importa? cibo, mangiare, ruttare, cagare, scoreggiare…

 

 

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