Cap. 5 Africa.


        

 

 5     Dialogo tra Nome e Forma


                                                  (alta teologia)


“Somaro: “ ih ahhaaahaaah... ih ih ih aaaah! ih ah, iahah…”

Bue: “Buuhuu! Boooohooooh…”

Som: “Ih ihih ahhhhaaahhhhhaahrahhh…una bella ragliata quando ci vuole ci vuole, che ne dici compare?”

Bue: “Tu pensa a ragliare, io sono un bue, un animale serio, posato, di notevole peso.”  Alza la coda e tira una sonora scoreggia.

L’asino drizza le orecchie e chiede: “E questa cos’era?”

Bue: “Un po’ d’aria... tutto sto fieno fermenta, è naturale, posso mica scoppiare per far piacere a te.”

Som: “Scoreggione! ecco cosa sei, altro che animale posato. Però su una cosa hai ragione, fieno, sempre fieno, mai una carruba, anche piccola, minuscola, una carrubolina tanto per cambiare, per il piacere del palato. Ci trattano proprio come bestie!”

Bue: “Porta pazienza somà...verranno tempi migliori.”

Som: “Ih ahhhahhh! Lo dici sempre e intanto ogni giorno lo stesso fieno, giralo di qui, di là, dove vuoi sempre erba secca è e gli altri si mangiano le carrube alla faccia nostra e ridono…”

Bue: "E tu lasciali ridere, che ti importa? Abbiamo un tetto sulla testa e mangiamo tutti i giorni, che vuoi di più?"

Som: “Ih ih ih…ahhaaaah! Con te non si può ragionare, sei una bestia rassegnata, ti va bene tutto...io sono un somaro! Un animale nobile, di rango.”

Bue: “Ho capito, è per questo che con la pelle dei somari fanno i tamburi.”

Som: “Spiritoso…”  tira fuori la lingua e spernacchia: “Ihhh…prrrrrrrrr!”

Bue: “C’è chi petta di culo e chi petta di bulo!"

Som: “Che cos’è il bulo?"

Bue: “Che ne so?...faceva rima ma chi vuol capire capisce…”

Som: “Mi sa che oggi hai voglia di bisticciare, cerchi rogne?”

Bue: “Dio me ne guardi...con tutte ste mosche che mordono ci mancherebbe solo una rogna...mai sentito parlare del pio bove? Ecco! sono un animale pacifico.”

Som: “Va be’…cambiamo discorso, è meglio...l’uccellino è venuto a trovarti in questi giorni?”

Bue: “Certo...m’ha tolto un tafano che pesava mezz’etto…”

Som: “Mi piacerebbe conoscerlo, perchè non me lo presenti?"

Bue: “La prossima volta, se capita… ma ha detto che se l’intende poco coi somari, sgroppano ed hanno il pelo che punge.”

Som: “Che uccello! A mangiar zecche di bue si dev’essere rincitrullito, non capisce la classe...e che t’ha detto d’altro?”

Bue: “Le solite cose sull'autore, sul bene e il male, la storia che scrive. Dice che è tutto collegato, compreso noi. Buuuuhh! L’autore fa esempio del fatto che in stoccazzodimondo come lo chiama lui fumare le canne è considerato un male mentre tenere i bambini per chiedere l’elemosina è considerato un bene anzi, un affare! ha notato che vicino  ad una zingara che mendicava mostrando il bambino per impietosire i bischeri c’era un banco dove esponevano immagini di altri bambini che morivano di fame con in primo piano il principe Carlo che chiedeva soldi per loro ed ha visto chiudersi il cerchio, cioè il sistema che nomina mali inesistenti per coprire i suoi traffici ignobili. L’uccellino dice che questo è un mondo di cannibali, di mostri abominevoli e che il bene non esiste.”

Som: “Come...e le carrube?”

“Bue: “Boooouh…dagli con ste carrube, stiamo facendo un discorso serio,  l’uccellino dice che solo i cannibali possono fare i signori in un mondo così, che l’esempio della donna che chiede l’elemosina rappresenta una goccia nel male ma si guarda bene dal giudicare, ha messo tutto allo scoperto e lo sta guardando con logica.”

Som: “Cos’è la logica?...per caso roba che si mangia? È meglio delle carrube?”

Bue: “Sei proprio un somaro, la logica è l’arte del ragionamento, matematica pura espressa in parole.”

Som: “Ih ahhhah...sarà ma a me se una cosa non si mangia..."

Bue: “Per questo sarai sempre un somaro...drizza le orecchie, ascolta, l’uccellino dice che i cannibali non lo sanno di essere  male e si considerano bene e di conseguenza vedono la ragione come un male e questo è logico, il male in sè è bene anche se solo nominale, questa logica è invertita per effetto del peccato originale che ha messo un muro tra il nome e la forma.”

Som: “Vuoi dire fra di noi? ma tra di noi c’è una mangiatoia, non un muro.”

Bue: “Per essere un somaro questa volta l’hai detta giusta...l’autore ha già inserito il dato ma adesso la questione è la favola di Ji e Jia, Ji è il nome rimasto solo e Jia è la forma che ha sposato il cannibale, la forma è universale, la Città.

Tra i due c’è un muro che divide, positivo e negativo, un amore nominale con la forma dell’odio ed un odio formale  con il nome di amore.

La forma di questo amore è l’odio, il muro che divide il nome dalla forma e questo muro è il vero male da abbattere.”

“Som: “ih ahhaahhaahh...ma se la forma del bene è il male ed il muro è male il muro è la forma di un bene. “Però...per essere un somaro parli come un filosofo, è vero, l’autore dice che stoccazzodimondo è un male quindi la forma di un bene  ma questo bene non è un bene adesso perchè adesso sta male, dev’essere un bene da qualche altra parte dove sta bene...nella storia scrive che la Città mette in discussione il suo essere necessario e così il principe parte e se ne va in crociera per il mondo lasciandola al suo destino. Risultato la Città va in rovina. Hai capito?”

Som: “Ih ahhhaah…no!”

Bue: “Perchè sei un somaro! È ovvio, si tratta del suo essere necessario, la necessità della ragione umana, senza di lui la Città va in rovina. Tutto questo a chi giova?”

Som: “A nessuno, è andata in rovina, a chi dovrebbe giovare.”

Bue: “Appunto. A chi dovrebbe giovare? Questa è la domanda essenziale.

Essendoci solo il nome e la forma il male della forma può giovare solo al nome e l’autore dice che il nome è un segno la cui forma è un male ma che questo segno appartiene ad un codice maggiore ed è questo che ha probabilità di giovarsi del male. In questo codice maggiore ci sono altri segni simili al suo che usano il suo male come dimostrazione dell’essere necessario nei  codici che danno loro forma. È  chiaro?”

Som: “Ihh aah…come le carrube che si mangiano gli altri…”

Bue: “Booooh! Il tuo è puro humor asinino.”

“Som: “Non ho capito, ih ahhahhhah…quale humor?"

Bue: “Per forza, sei un somaro! Adesso la questione torna alla zingara che chiede l’elemosina col bambino. L’autore dice che dietro ci devono essere traffici innominabili ma la donna ed il bambino sono solo vittime, conseguenze di questi traffici, effetti quindi non possono assolutamente essere considerati male anche se appaiono tali. Il male va cercato nella causa e la causa non è l’effetto ma ha la forma dell’effetto e l‘effetto è universale. I cannibali non lo sanno di essere il male, agiscono in modo naturale ma la causa che tiene quella donna sul marciapiede a chiedere l’elemosina è proprio il sistema dei bifolchi ammaestrati nobili e borghesi benpensanti e moralisti che vanno a messa i quali si giovano del male di cui sono causa per rivestirsi della forma di bene.

È il sistema che produce il male, il sistema che si è sostituito alla legge naturale della ragione produce la delinquenza e tutto ciò che è considerato male. Questo sistema a sua volta è effetto della separazione tra Ji e Jia, tra il nome, la ragione umana e la forma, la Città universale.”

Som: "Vuoi dire che Ji si addossa la colpa se Jia lo odia?”

Bue: “Non si tratta di colpa ma di necessità. Il principe abbandona la Città ma è stata la Città a mettere in dubbio la sua necessità quindi causa della sua partenza. Non esiste colpa, è tutta naturale conseguenza causa effetto, un esempio necessario per dimostrare la necessità.”

Som: “E le carrube.”

Bue: “Naturalmente.”

Som: “Rimane la questione della mangiatoia tra il nome e la forma.”

Bue: “Boooooh?…approfondiremo.”

In quel momento entra il ragazzino col frustino, lo fa schioccare per aria un paio di volte e dice: “Bestie! Buoni solo a mangiare e cagare, che fareste senza di me!” Appioppa una bella frustata sulle  natiche del bue che risponde con un muuuuh di dolore ed un’altra su quelle del somaro che replica con un sonoro i ahhahhah d’effetto poi riempie la mangiatoia e se ne va.

Siccome la destra e la sinistra non si vedono più c’è solo un centro dove sta la mangiatoia e dentro la mangiatoia c’è il cibo.

Rimasti soli il bue ed il somaro concludono:

Som: “Ih ahah!…che male! vuoi forse dire che la forma di questo male è un bene?…”

Bue: “Boooooooh?”

                              Africa.


Pomeriggio inoltrato, la tempesta si sta allontanando, il sole splende, il vento soffia ancora forte increspando il mare, grosse ondate ci sorpassano cavalcate a pelo da sogni verso l’Africa.

Siamo a venti miglia dalla costa. Drago lascia il timone a Uncino e ci invita a seguirlo. Mentre scendiamo sul ponte dice: “Vorrei nascondere la nave prima che faccia notte ma è meglio controllare che non ci siano sorprese, sono anni che non usiamo questo rifugio.”

“Veramente ci sono i cannibali?”

“Ce ne sono a frotte. La città più vicina è a mille chilometri nell’interno, altre ce ne sono sulla costa ma più lontane. I cannibali sono numerosi, la maggior parte sono castrati e non sono pericolosi a meno che siano in tanti allora possono attaccare e non te li consiglio. Solitamente si tengono alla larga dagli uomini per via dei cacciatori che li catturano per venderli come schiavi ma non si può mai sapere, prenderemo tutte le precauzioni possibili.”

“A me piacerebbe vederli…”

“Non sono un bello spettacolo...non fanno che mangiarsi tra loro, comunque se troviamo il tempo vedrò di accontentarti.”

Ci avviciniamo ad un gruppo di marinai intenti a stringere i bulloni allentati alla base dell’albero maestro. Drago chiama uno piccolo e magro: “Kicco, vieni.”

L’uomo posa gli arnesi e gli si mette davanti sull’attenti.

“Kicco, hai voglia di volare?”

“Sempre!”

“Bene, che ne dici di tirar fuori l’aquilotto, devi perlustrare tutta quella zona…”  gli indica uno spazio oltre la costa fitto di vegetazione,  "Assicurati che il nostro rifugio sia ancora al suo posto e poi torna a riferire. Abbiamo poco tempo, fai in fretta ma non tralasciare nulla.”

“Viva il Drago!” esclama il marinaio toccandosi il petto con una mano poi corre verso una botola sul ponte tra l’albero e la poppa, la apre, chiama dei marinai vicini per farsi aiutare e tira fuori un piccolo aliante bianco con la punta terminante a becco di rapace, la coda d’uccello con una penna centrale sollevata, le ali a freccia coi bordi ondulati ed una cavità sul dorso per il pilota con il timone ed alcune leve. Sulle ali sono sistemate due piccole eliche  alimentate da  batterie che vengono usate solo in quota. L’aliante viene portato a prua e legato ad un argano, Kicco ci sale dentro, si sistema un casco con visiera calata sugli occhi, una sciarpa di seta al collo e fa segno di ok.

Drago avverte la sala macchine di accelerare, il vento si impadronisce dell’aliante ed inizia a sollevarlo come un aquilone, a duecento metri d’altezza si sgancia dirigendosi verso l‘entroterra.

“Che giocattolo!" esclamo,  "Questo me lo devi proprio insegnare!”

“Bello vero? L’ha costruito Archimede ed è utile per le ricognizioni. Purtroppo non ha molta autonomia ma Archimede sta cercando di migliorarlo. Chiedi a Kicco di fartelo provare...ti avverto, ne è gelosissimo.”

“Ci credo!”

Lo guardiamo volare ed allontanarsi sopra la giungla tra le grida dei gabbiani spaventati. 

“Chiederò ad Archimede di costruirne un altro oppure me lo farò da me ancora più bello!”

“Come corri!” dice Drago ridendo.

La nave si è avvicinata alla costa frastagliata e piena di piccoli scogli affioranti, si vede la foce di un fiume con le rive coperte da una vegetazione fitta ed intricata con grandi alberi che si sollevano a cupola o a fungo coi rami popolati da scimmie ed uccelli di specie mai viste, tutti urlanti sopra il fragore delle onde.

Sul mare un branco di tonni luccicante di sole si sposta a filo d’acqua sollevando spruzzi di libertà, uno stormo di grossi albatri li segue starnazzando allegramente, lontano, rasente l’orizzonte, un gruppo di balene galleggia a pelo d’acqua in giri oziosi ma forse è solo un miraggio.

Drago fa fermare la nave. Con una breve cerimonia i corpi dei morti vengono avvolti in un drappo e consegnati al mare, qualche strillo di tromba ed è tutto finito.

Un grido dalla vedetta: "Arriva Kicco!”

L’aliante esce veloce da sopra la giungla, compie due  giri sulla nave, una giravolta tra gli urrà dell’equipaggio poi si allontana di duecento metri e torna indietro planando verso il ponte. I marinai tendono una lunga fascia elastica e quando l’aliante tocca il ponte lo bloccano. 

Kicco salta fuori e viene a riferire: “La zona è libera, nessuno in vista, il fiume percorribile...c’è solo un problema...ad una decina di chilometri da dove termina la giungla, in mezzo alla savana, ho visto una costruzione umana, era troppo lontana per identificarla, dalla forma non sembra civile...probabilmente una missione dei caproni o qualcosa del genere.”

Drago impreca: “Questa non ci voleva! se è una missione sono in contatto coi cannibali...potrebbero avvertirli…ci fermeremo il tempo necessario per riparare la nave e camuffarla, una settimana basterà...non credo faranno in tempo a scoprirci e comunque non abbiamo scelta, andiamo!”

Torniamo sul ponte di comando, Drago prende il timone e coi motori al minimo dirige la nave verso l’imboccatura del fiume. La foce è larga, così ad occhio,  cinquecento metri, l’acqua dolce scontrandosi col mare si allarga in una chiazza  biancastra e fangosa turbinante di mulinelli. La nave entra sicura e si immerge nella giungla mantenendo la rotta al centro del fiume. Sulle rive al nostro passaggio stormi di uccelli si levano in volo spaventati e numerosi gruppi di scimmie saltellando sui rami lanciano grida acute e continue che ridondano all’interno della giungla sollevando le grida di altri animali, si sentono ruggiti feroci, lunghi barriti, risate di iene, ululati, grugniti...gruppi di ippopotami escono dall’acqua frettolosamente per nascondersi tra la vegetazione...numerosi coccodrilli, certi enormi lunghi più di dieci metri, acquattati nella melma delle sponde aprono le fauci e ci ringhiano contro beffardi...confusi tra le liane di tanto in tanto si vedono grossi serpenti sganciarsi dagli alberi e gettarsi in acqua, seguire per un po’ la nave con la testa fuori e poi immergersi sollevando vibranti cerchi che si allargano dietro la nostra scia.

“Con questo casino i cannibali saranno tutti in allarme..." mormora Drago.”

“Di che ti preoccupi?”

"Di nulla! ma sarà meglio mettere delle vedette ed andare a controllare quella missione.”

Non fa in tempo a finire la frase che all’interno della giungla si accende un concerto frenetico di tam tam che rullano all’impazzata.

“Ecco! ci hanno sentito.” dice Drago.”

“Ci attaccheranno?"  chiediamo eccitati.

“Finora non lo hanno mai fatto... però verranno a curiosare intorno al Iago, staremo attenti.”

Arriviamo ad una deviazione, la nave entra in un affluente che dopo trecento metri si apre in un ampio lago circolare limitato di fronte da picchi rocciosi a strapiombo da dove precipita una lunga cascata. Senza esitazione  entriamo sotto la cascata e si apre una profonda caverna.

Con uno sbuffo di soddisfazione l’elica si ferma ed i motori cessano di ronzare,  tutta la nave emette un sospiro di sollievo cigolante.

La grotta è immersa nel buio, sul soffitto altissimo sciami fitti di pipistrelli iniziano a volare da tutte le parti, si scontrano con la vela, sulle fiancate, per qualche minuto è un caos di ali nere turbinoso poi molte escono ed altre tornano a nascondersi nel buio. Non parliamo dei moscerini e delle zanzare, ce ne sono a frotte...

“Metteremo le zanzariere.” dice Drago.


È venuta sera, su tutta la nave sono accesi fari che illuminano la grotta a giorno. Alla base delle pareti gira una breve spiaggia di sabbia cristallina che luccica riflettendo la luce come se fosse piena di brillantini. Dei marinai scendono,  vengono fissate delle passerelle, piantati dei tiranti per attraccare la nave, altri han posato delle lunghe scale contro le pareti ai lati dell’apertura, sono saliti e stanno trafficando tra le rocce, battono martellate che risuonano su ferro, muovono leve,  ungono con lunghi oliatori…dopo un po’ un’immensa saracinesca scende chiudendo l’accesso alla grotta. Di colpo zittiscono i rumori di fuori, il fragore della cascata, le urla degli animali, i tam tam.

Dopo i lavori di sistemazione cena sul ponte, una lunga tavolata, riso con carne, pesce, verdure insieme ad un vinello rosato fresco di stiva.

Abbiamo cenato insieme ai ragazzi, Li ò è venuto a prenderci e ci ha trascinato,  abbiamo dovuto far la parte dell’eroe per aver salvato la nave, brindisi a non finire, ad un certo punto Drago ci ha chiamati  per legarci una cintura nera alla vita promuovendoci suo luogotenente al posto dell’altro morto nell’esplosione  tra gli urrà e le grida di viva il Drago dell'equipaggio. S’è sentito anche qualche viva la tigre...Drago è rimasto pensieroso e ci ha guardati con aria preoccupata.

I ragazzi invece ci guardavano cogli occhi luccicanti. Furfante era combattuto tra invidia ed ammirazione ed alla fine ci ha sfidati ad un incontro di lotta, ho accettato ma dato che è più grande gli ho imposto di poter scegliere il tipo di sfida, lui nicchiava ma sotto la pressione degli altri non ha potuto dire di no.

Li ò, Scintilla e Saetta sono i più giovani.  Le due ragazze non sono cinesi, Scintilla è della Città Gemella nel paese dei vulcani e Saetta dello stato Centrale, il cuore del loro sistema sociale.

Più avanti ci racconteranno la loro storia.

Durante la cena Li ò sedeva alla nostra destra e Scintilla a sinistra, facevano a gara per versarci da bere o riempirci il piatto. Al dolce Saetta si è venuta a sedere in braccio. Ha solo dodici anni ed è ancora acerba ma  diceva delle cose e si muoveva in un modo che ce l’ha fatto rizzare più di una volta.

Dopo cena, a parte quelli del turno di guardia, eravamo tutti ubriachi. Per un po’ si è suonato e ballato poi la stanchezza ha preso il sopravvento ed adesso sono tutti a riposare.

Siamo tornati in cabina con Li ò. È talmente ubriaco che abbiamo dovuto portarlo di peso. Si è buttato sulla branda. Balbettando dice: “Una cintura nera deve avere un giovane aspirante  come scudiero...prendi me.”

“Ci penserò…” rispondiamo ma non deve aver sentito, sta russando come una intera segheria. Abbiamo bevuto ma non abbastanza da avere sonno. Siamo fuggiti dalla Città senza portare nulla ed ora abbiamo un po’ di nostalgia delle cose a cui eravamo abituati...la cabina è spoglia, una tuta nell’armadio, qualche coperta, oggetti per la toelette...nient’altro...neanche un foglio di carta ed una matita per buttar giù qualche schizzo di poesia, una storiella, un ghirigoro d’idea come facevamo  prima che l’incendio divorasse il passato.

Li ò dorme della grossa e non ci va di svegliarlo, ci viene in mente la stanza segreta, il principe ce l’ha lasciata, avrà avuto i suoi motivi, forse là troveremo tutto l’occorrente...e poi a noi piacciono un sacco i  misteri.

Saliamo sul ponte. Le luci illuminano le alte volte della grotta puntute di stalattiti acuminate e gocciolanti, c’è ancora un gruppetto di marinai al tavolo che cantano abbracciati tenendo alti i bicchieri, sotto una luce una ballerina piroetta strascicando mollemente i piedi sul pavimento al suono  di una chitarra .

Passiamo in silenzio e scendiamo nell’alcova.


Micia è seduta al telaio e sta intrecciando un filo dentro una trama di arcobaleni che collegano mondi...non ha sentito il rumore della porta, ci avviciniamo in silenzio e le baciamo il lungo collo morbido.

Le si illuminano gli occhi ed esclama: “Ti sei ricordato di me…”

“Come potrei diversamente?...non ti annoi a star sempre chiusa qui dentro?”

“Perché dovrei? ho sempre tante cose da fare.  Ti sto preparando un chimono, ti piace il colore?”

“Sì.” le sediamo sulle cosce: “Ho saputo che sei una brava ballerina... Potresti insegnare alle giovani... ballano come scimmie senza coda.”

Il suo sguardo si acciglia: “Le giovani?... perchè mi trovi vecchia?…”

“Sono certo che le batti ancora tutte.”

“Bella consolazione...le mie gambe…”

“Potresti insegnare da seduta, i movimenti delle mani, le posizioni…tu come hai imparato?”

“Guardando le più brave e tanto esercizio, ogni giorno, tutti i giorni per anni, la danza non si finisce mai di imparare, un solo movimento si può sviluppare all’infinito e quando credi di farlo bene ti accorgi che si può fare ancora meglio ed allora provi, cambi, riprovi.”

“Ecco, queste cose... perchè non le insegni? Ce n’è qualcuna dotata, Scintilla potrebbe diventare un’ottima ballerina sotto la tua guida.”

“Scintilla...quella mocciosa, viene dalla Città gemella, le giapponesi sono tutte scatenate, non potranno mai avere la nostra grazia.”

“Che importa? Insegnare potrebbe rinnovarti la vita e stare tra i mocciosi mantiene giovani.”

“Allora mi trovi vecchia?...il principe aveva la mia età quando mi prese ed io ero come te, una mocciosa...ci sono altre cose che potrei insegnare, magari a te, non te lo immagini neppure.”

“Credi?...ricorda che sono nato nel bordello della città dell’Amore, ne ho viste…”

“Sbruffone, cosa vuoi aver visto senza di me?”

“Ci accarezza il cazzo da sopra la tuta. "Che ne dici di fare una prova?” Chiede con voce languida.

“Perchè no? Sono sempre arrappato, specialmente da quando ho conosciuto te.”

“Adulatore... con tutte quelle ragazzine…”

“Sono ancora scimmie, che mi importa?”

“Scimmie?” ride illuminandosi,  "Se ti sentisse Scintilla ti caverebbe gli occhi.”

“La conosci bene?...

“Forse...quando ero bambina era venuta in visita al bordello una principessa giapponese…era incantevole...aveva una carica, una luce e ballava in un modo...non so trovare la parola, non avevo mai visto ballare così, imparai molto da lei. Morì l’anno dopo il principe...adesso dovrebbe avere l’età di Scintilla... Certe volte quando la guardo ballare ho l’impressione di rivedere quella luce…”

“Hai appena detto che non hanno grazia…”

“Non hanno la nostra grazia, sono più veloci, più sbrigative a compiere il gesto, il movimento dell’onda è sempre tempesta…bisogna farci l’occhio, forse è solo questione di gusti…al principe piaceva molto, anche Arko, andavamo spesso a letto insieme.”

Mentre parlavamo ce lo ha tirato fuori e lo sta massaggiando delicatamente.

“Sono scomodo.” le dico eccitato. 

"Sì, andiamo a letto.”

L’aiutiamo a sdraiarsi e le sfiliamo il chimono.

“Non hai orrore ad andare con una storpia?” chiede con voce tentennante.

“A me sembri perfetta.” Le baciamo un piede,  “forse sei solo fissata.”

Abbiamo ancora le mani unte dalla cena: "Aspetta, faccio in un attimo.”

Corriamo nel bagno per una doccia veloce e ancora umidi torniamo a letto. Le divarichiamo le gambe e le alziamo sulle nostre spalle. È completamente depilata ed ha una stellina tatuata intorno all’ombelico.

Le baciamo la figa sulla punta annusandola. “mmm, che buona, com’è morbida…”

Lei ci stringe i capelli con le dita e mormora: “Moccioso...alla tua età sai già fare queste cose?"

“Ho avuto buone maestre…” iniziamo a mordicchiarla alternando brevi leccatine fin quando si aprono le labbra inumidendosi di rugiada, ha il clitoride corto e largo, lo mordicchiamo un po’ succhiandolo con forza e poi le infiliamo la lingua dentro la vagina cercando di salire fin dove arriva continuando ad accarezzarla con le labbra ed a mordere. “Come sei buona…” diciamo eccitatissimi,  “sai di menta e rosmarino, un po’ pepato, adesso si scioglie, si sta aprendo...crema con panna abbondante, fammi sentire meglio…”

Continuiamo a scavare con la lingua su e giù e a mordere tra le labbra aperte bevendo il suo ruscello di goduria...lei prima fa qualche gridolino curioso poi quando sente che facciamo seriamente si lancia in un concerto di miagolii a crescere molto eccitanti, con le mani ci stringe i capelli accompagnando le nostre  fantasie alle sue, tra le leccate continuiamo: “ profumo di fuoco quando il vento lo spalma di neve, brividi di carne, sangue…” Spingiamo scorrendo con la lingua a cercarle le ovaie, un fiume, siamo tutti imbrattati, mordiamo ancora e lei strilla sempre di più…“uva un po’ asprigna...sapore di mosto, ribolle...c’è un leggero retrogusto di canna...fragole con il sale, sì…che buone…adesso sa di femmina,  gusto di puttana, brodo di bagascia, succo di porca…molto porca…” continuiamo  con la lingua ormai nuotando tra i suoi gemiti di piacere, mentre le stiamo succhiando ancora il clitoride leccando con  una foga senza pietà lei improvvisamente inarca il corpo e fa un lungo sospiro gorgheggiante premendoci la testa tra le sue cosce poi ricade sul letto con un gemito soddisfatto.

Continuiamo a leccarla piano poi alziamo la testa sorpresi. “Le tue gambe!” esclamiamo,  “le tue gambe si sono mosse, mi hai stretto.”

Adesso sono nuovamente rilassate, immobili.

“Ti sarai sognato...mmm...da quanto tempo non provavo una cosa così, sei bravo.”

"Non ho sognato, si sono mosse!”

“Impossibile.”

“Sarà…” mormoriamo poco convinti. Intanto c’è venuta una carica...la giriamo  sistemando la sua testa tra le nostre gambe e glielo facciamo ingoiare fino a premere la gola, mentre lei lo lavora ad arte le accarezziamo la schiena, il sedere è bagnato dell’acqua piovuta da sopra, l’ano si apre morbido ed elastico al nostro dito  per un cambio posizione, le mettiamo due cuscini sotto la pancia per farla arcuare e la prendiamo alla pecorina davanti, poi dietro, di nuovo davanti, dietro...lei riprende il concerto di strilli e va avanti così un po‘, cambiamo ancora posizione, sopra, sotto, seduta e capovolta a testa in giù poi le risistemiamo la testa fra le gambe e la facciamo succhiare fin quando veniamo.

Rimaniamo un po’ a coccolarci di bacetti e carezze, qualche parolina dolce assaporando la sensazione di volo dei sensi che prende quando si è abbracciati ad un corpo caldo sfiniti dall’estasi.

Lei si alza atterrando: "Aiutami... " si sistema sulla carrozzella e la spingiamo fino in bagno. Mentre  si rinfresca torniamo nell’alcova davanti alla porta della stanza segreta.


È chiusa. Per riaprirla come fare? Ripetere il giochetto di girare la coda al pesce? Improbabile, quello era solo il sistema di bloccaggio. Non ci sono maniglie, nessun riferimento. Proviamo a bussare, la premiamo, la sfioriamo con i polpastrelli ed al loro tocco la porta si apre. Una leggera vibrazione ci ha solleticato la pelle,  probabilmente il pesciolino ha trasmesso le nostre impronte digitali ed ora la porta le riconosce. Semplice.

Dentro il solito brillio di lucciole che piano piano sale a ricoprire il soffitto per illuminare la stanza.

Entriamo. C’è un’ elegante scrivania con una macchina da scrivere e numerosi cassetti, ne apriamo uno e troviamo fogli e tutto l’occorrente per usarla.

È stata chiusa per anni eppure non c’è un granello di polvere…forse sono quelle strane lucciole, quando la stanza è vuota scendono e la mantengono pulita.

I libri sugli scaffali, ne prendiamo uno a caso, parla di favole, un altro dal titolo impegnato: “Le figure del canone”, uno dalla copertina che spicca per i colori vivaci: “Achille e la tartaruga”, interessante.

Riponiamo i libri incuriositi da un oggetto luminoso al centro dello scaffale. È un cranio umano, lo prendiamo e ci sediamo alla scrivania per studiarlo.

Infiliamo le dita nelle orbite, dentro le mandibole snodate, bussiamo sulla calotta...l’osso emette vibrazioni appena percettibili, è tiepido ed emana una fosforescenza lattiginosa, sembra di toccare una cosa viva.

Veniamo attratti dalle orbite vuote, all’interno sembrano contenere profondità abissali da dove due occhi luminosi son balzati fuori e stanno risalendo velocissimi verso i nostri.

Distogliamo lo sguardo e copriamo il teschio con un panno, lo studieremo con comodo più avanti.

Il pavimento della stanza è rivestito da un soffice tappeto, qua e là ci sono delle frecce, indicazioni, ne seguiamo una e scopriamo un’altra porticina al lato opposto alla prima. La tocchiamo e quella si apre su un corridoio sempre illuminato da quelle strane lucciole che salgono a ricoprire il soffitto. Lo percorriamo ed a una decina di metri troviamo un’altra porta che si apre in uno stanzone pieno di macchinari strani con al centro, fissata a mezz’aria  con tubi d’acciaio collegati al pavimento, al soffitto ed alle quattro pareti, una grande scatola metallica.

Qualcuno si muove tra i macchinari. “Chi c’è?” chiediamo.

“Agli ordini!” sentiamo rispondere.

Così conosciamo Archimede. Un uomo sui cinquant’anni ben portati, alto, i capelli castani brizzolati, gli occhi azzurri dallo sguardo vivo e intelligente con  un paio di occhialini appoggiati sulla punta del naso.

Indossa una tuta da meccanico ed ha mani e piedi lunghi e sottili.  La voce è calda e cordiale. Ci presentiamo, lui ci stringe la mano con calore annuendo verso la porta che abbiamo appena aperto.

Dopo i convenevoli ci chiede notizie della Città dove anche lui è nato,  chiacchieriamo  un po’ e ci diamo appuntamento al mattino dopo.

Il resto della notte lo passiamo tra le braccia di Micia addormentandoci con un suo capezzolo tra le labbra.

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