Cap. 1 Dall'inizio.



                   1      Dall' inizio.


 

Notte stracca, senza idee, qualcosa che valga la pena, ci vorrebbe…esiste quel che ci vorrebbe oltre ai soliti candelotti di dinamite?... Ricorda la poesia del dio Caprone di Pavese, il sole la vigna l’incesto...corona di dei che guardano lo spettacolo, il caprone simbolo del diavolo, il caprone espiatorio inchiodato al palo con tanto di barbetta, il mito di Pan dai piedi caprini che suona lo zufolo mentre le Menadi sbranano Orfeo, cannibalismo sessuale, mette appetito...il filo della storia muove senza caso come I ‘appetito vien mangiando eppure la direzione è il Caso sinonimo di accidente e vuole il caso che sia così: amore senza condizioni.

Piedi o zoccoli di capra? Salvare capra e cavoli... impasto a caso...ci sono paure ancestrali che covano nel subconscio, caproni che danzano intorno ai fuochi fatui delle tombe con streghe grinzose e barbute, notte senza stelle, si vedono appena,  belati mozzi, gemiti gorgoglianti di catarro, ritmo di morti che battono i denti, tip tap di zoccoli, qualche cornacchia nascosta nel buio a intervalli irregolari fa cra cra senza convinzione, i grilli cri  cri...quando non vengono pestati dalla foga danzante.

Il mattino arriva illuminando l’evanescenza della visione, nuvole malate prive di motivazione si muovono nel cielo specchiando i movimenti umani o caprini per non dire caproni.

Guerra senza incentivo, l’argomento scarica e la tempesta non scoppia, storia forzata, caproni che belano menzogne poi spuntano le corna e la ragione traballa senza logica, la direzione è incerta, caso aleatorio, senza come, senza dove, senza perchè.

La voglia di scrivere va di pari passo con la voglia di vivere, seduti a questo tavolo i fogli volano via uno dopo l’altro in un libro di pagine slegate sospese nell’aria da qui a dappertutto.

Potere tra tutti gli atti per scegliere quello necessario, Arte è come guidare un’astronave tra le storie possibili, mondi vergini da esplorare per tuffare il muso dentro le fighette bagnate e levarsi di dosso l’età, l’odio, la paura, la viltà...

Che il sesso abbia sostituito l'istinto antropofago della forma preumana è una probabilità, ricorda l’abbraccio di un corpo innamorato, l’ebbrezza, la leggerezza che solleva il corpo all’altezza del nulla, come quando ci si fa una pera la prima volta, il peccato, un bacio, un morso, un pezzo di carne da masticare lentamente assaporando goccia a goccia il sangue che sprizza, i minuscoli nervetti, la pelle croccante, ancora viva che freme solleticando la lingua, quale amore più squisito? Non ci sono denti per mordere e non c’è nulla da mordere, è una macchina, la carne si è trasformata in un complesso ingranaggio pieno di bulloni e dadi arrugginiti, sputato il ferro si gira la questione per guardarla sotto un’altra luce, una bella fighetta vergine da leccare a piacere con la lingua alle ovaie ed i denti che scavano per raggiungere l’origine, l’inizio, il primo atto di una lunga storia.

Ancora un giro, il moscone ronza dentro le probabilità alla ricerca di qualcosa d’eccitante, un bel culo tornito, duro come il marmo, da tagliare a fette e cucinare sulla brace, un pezzo alla volta, il cuore per ultimo mangiato crudo ancora palpitante tra lacrime di gioia... rimane un mucchietto d’ossa da gettare ai cani ma la fame continua a divorare e intorno c’è il nulla con qualche bolla di sapone emessa da una pipetta fuori uso che volteggia in pensieri oziosi e poi svanisce in uno splash di noia... innamorati di una morta, vermi leccati sulla pelle putrefatta,  la figa emana lezzo d’oltretomba, la carne è spaccata da bolle purulente che lasciano in bocca il gusto di…un sapore che bisognerebbe inventare la parola, tutto marcio, squallido, macabro stile déjà-vu…appare un prato di primavera con una margheritina che brilla di rugiada mentre il sole l’asciuga, la scena cambia ancora e ritornano le nuvole immotivate a far da cornice alla realtà,  anche l’amore vuole motivazioni, così l’argomento scarica senza tempesta,  bufera di sensi, uragano di passione, esplosione atomica di voluttà, disintegrazione universale di una carezza... rimane un foglio di carta su cui stampare paranoie e rimpianti.

Al fuoco! Bruciare tutto e poi soffiare la cenere al vento e dal vento alla nuvola soffice letto per amarsi il passo è breve...a buon intenditor.

Quando il tempo si ferma la storia cammina, accenni sovrapposti dal susseguirsi degli interessi dominanti, il Caso è sempre presente, cammina pari passo con la Necessità ed è oggi ma potrebbe essere miliaia di anni fa oppure a venire, la posizione del tempo ha la forma dello spazio che limita ed è determinato dal movimento dei personaggi, comunque c’è sempre una macchina che ha bisogno di cibo altrimenti si ferma, il movimento è sempre diretto al cibo.
                 

                                  Atlantide


Una notte stellata di quelle che  si potevano vedere in altri tempi quando l’aria era pura e le stelle brillavano vive e sembravano così vicine che si potevano accarezzare e anche pizzicare fa da tetto alla collina dove i fuochi della festa sono tutti accesi. La ribellione fiammeggia tra i giovani partecipanti mentre la città brucia nel caos…

Tutto cominciò dopo la morte dell’ultimo principe.

Qui da noi quando muore il principe il potere passa nelle mani di due reggenti che mantengono la carica fino al momento del suo ritorno. Pochi mesi dopo l'insediamento dei reggenti il caso volle che al porto approdasse una nave mai vista prima tutta nera con le vele color sangue.

Una folla di persone piccole di statura, la pelle olivastra, gli occhi tondi e neri, i capelli corti e ricci, vestiti con braghe e camiciotti di panno grigio cominciò a sbarcare ed a occupare la banchina. Erano tenuti a bada da soldati armati con fruste e piccole clave  chiodate che li spingevano e percuotevano mantenendoli in file serrate.

La guardia della città scese al porto di corsa e li circondò. La sorpresa era evidente, nessuno si aspettava quella nave e ovunque si sentivano suonare le campane di allarme.

I caproni, così li battezzammo dopo il loro arrivo, rimasero tranquilli e si lasciarono circondare senza opporre resistenza tenendo le clave appoggiate al terreno, poi sul ponte della nave comparve una figura spettrale, un tipo allampanato simile agli altri ma molto più alto, vestito con una tonaca nera che lo ricopriva completamente, un cappuccio gli nascondeva la testa di cui si vedeva solo un occhio ammiccare sinistro.

Una ragazza di una bellezza impareggiabile fece capolino intimidita da dietro la tonaca dello spettro. Era vestita con una tunica bianca ricamata da fili d’oro e d’argento, collane, braccialetti e giochi di perle tra i capelli nerissimi e lunghi  acconciati a sbuffi e treccioline.

Quando la videro rimasero tutti a  bocca aperta, fu un flash che in un attimo illuminò il porto. Per farla breve lo spettro e la ragazza vennero accolti al castello dai due reggenti, ci furono feste e banchetti e per un po’ le cose andarono avanti così.
                        

               Dialogo tra Nome e Forma.


                                                       (alta teologia)
 

In questo caso il nome è rappresentato da un somaro e la forma da un bue. L'antinomia è subito evidente perchè il somaro non è il bue ma va chiarito l’aspetto binario della questione, cibo per la parola e cibo per il corpo, capita di sentir dire che un uomo  è un somaro oppure che è un bue per lo stesso motivo si può dire di un somaro che è un bue e di un bue che è un somaro ed il ragionamento fila ineccepibile.

Il  bue ed il somaro sono in una stalla, divisi da una mangiatoia e qui va precisata una questione importantissima. La stalla ha due porte, una a sud ed una a nord quindi per chi entra da sud il somaro è a destra della mangiatoia ed il bue a sinistra mentre per chi entra da nord il somaro è a sinistra ed il bue a destra.

L’asino le parole ed il bue il fieno stanno ruminando tranquilli e nel mentre si sente dire:

Bue: “Come ti sembra?”

Somaro: “Non so come faccia a stare ancora in piedi.”

B: “Non dicevo di lui ma della storia che ha iniziato.”

S: “Ih aaahah! beh... C’è qualche punto poco chiaro, ad esempio la nave, come ha fatto ad entrare nel porto senza essere avvistata prima, per forza dovevano esserci delle vedette all’entrata.

B: “Chissà?...forse c’era la nebbia e nel traffico del porto è passata inosservata poi all’attracco la nebbia si è dissolta e la guardia della città è subito intervenuta.”

S: “Volendola arrangiare può essere andata così, comunque una bella disattenzione, sarebbe meglio intensificare il controllo del porto, non si sa mai... se fossero stati malintenzionati poteva venir fuori un disastro.”

B: “Una nave sola... improbabile, buuuu! Di’ somà, non senti il caldo e quante zanzare?”  

S: "Non dire, mi stan mangiando vivo...buono il fieno oggi, peccato non ci fossero le carrube e magari qualche carota…”

B: “Che vuoi?... quel che passa il convento.”

S: “Già, avaracci...hai visto come nella città  sono subito accorsi? Forse a quei tempi le incursioni erano frequenti ma che tempi erano?“

B: “Doveva essere poco prima del diluvio universale nella città dove venne piantata la prima fontana, da allora devono essere passati tre, forse quattromila anni. Da quel che so dalla città sciamarono diversi gruppi di umani per andare a formare nuove colonie, a quei tempi il pianeta doveva essere completamente colonizzato, tutte le città al loro posto, i popoli, le nazioni, i continenti e tutto aveva centro nella prima città, l’origine. Non credo ci fossero delle vere e proprie guerre, l’espansione demografica…muuuuu...si scaricava nelle migrazioni, le guerre sarebbero venute dopo, piuttosto è probabile che esistessero dei gruppi di dissidenti che vivevano fuori dalla regola esercitando la pirateria contro navi o città costiere, doveva essere molto divertente.”

S: “Se lo dici tu...ih ahaahaaah…preferisco stare tranquillo a brucare l’erbetta,  questi discorsi di guerra mi piacciono poco...il nome della città lo ricordo, si chiamava Amore in onore del suo fondatore, ma la forma…”

B: “Era diventata immensa... buuuu... intorno alla città le campagne si estendevano a perdita d’occhio, di qua dal fiume vigneti e campi coltivati e di là immensi allevamenti di animali da macello, da lavoro, per gli sport... piccoli paesi, ranch isolati, stradine tra gli alberi, fontane e laghetti dappertutto incastonati nell’ambiente come gioielli, un paesaggio da favola. È probabile che i contadini di allora facessero lavorare anche ominidi catturati nella giungla, tutti castrati, li prendevano già così e li addestravano ai lavori pesanti. Ce ne dovevano essere parecchi, vivevano in stalle, come noi, buuuu... e dovevano anche aver sviluppato una specie di linguaggio elementare che lentamente li umanizzava. D’altronde la tradizione si è tramandata fino ai giorni nostri, dagli iloti spartani agli schiavi romani, gli eta giapponesi, i paria indiani, i muzik russi, i neri d’America e quanti altri...il lungo cammino dell’umanità sotto la frusta. Il centro della città era rimasto inalterato, il castello con intorno l’aia ed il percorso delle giostre, le fontane con il tempo si erano trasformate in eleganti quartieri dove uomini e donne si erano sostituiti alle figure d’acqua ed alle storie delle fontane, il giro delle botteghe galleggianti comprendeva i migliori artisti e le stive erano piene di ogni ben di dio,  merce che veniva scambiata per entrare e partecipare o assistere agli spettacoli, dovevano circolare anche dei soldi, bei gettoni d’oro, per facilitare le transazioni. C’era un commercio fiorente con le colonie e navi andavano e venivano dal porto, la città esterna coi suoi quartieri a zucche, cavoli, rape era piena di negozi e di botteghe artigiane, ogni quartiere la sua corporazione… muuuuh…l’aiola con gli edifici a forma di fiori, loti galleggianti nei laghetti con gli uffici amministrativi e commerciali, tutto a puntino, poi…”

S: “Poi arrivarono i caproni…ih ahaaahaah…probabilmente dovevano venire da  una terra al di là del mare, forse un’isola fuori dalle rotte praticate. Il confronto geografico con l’assetto attuale del pianeta non dà probabilità perchè il tempo ha cambiato la forma del pianeta spostando oceani e continenti…”

In quel momento dalla porta nord entra un bambino vispo e ricciuto con le braghe corte e gli occhi azzurri. In mano ha un frustino e lo fa schioccare.

“Dio bastardo!“ strilla, quante volte devo dire che il bue deve stare a destra ed il somaro a sinistra.”

Il bue ed il somaro lo guardano con gli occhi fissi al frustino poi, anche se malvolentieri e sotto le carezze di quello, cambiano posto.

Il bambino senza dir altro riempie la mangiatoia e la vasca dell’acqua e se ne va dalla porta sud.

Il bue ed il somaro tra ragli e muggiti di disappunto si leccano fin dove arrivano con la lingua le parti frustate e poi tra loro concludono:

Somaro: “lh ahaahhaaah... l’altra volta veniva da sud... quando ci siamo girati?  Forse il sud è diventato nord?”

Bue: “Buuuuu?”

     

                Il bastardo figlio di puttana.


Si racconta che fu un uomo venuto dalle stelle a portare la fontana luminosa intorno alla quale è costruita la città, poi  trasferì la parola e rinacque come uno qualsiasi e continua a rinascere ed è il nostro principe.

Qui da noi la nomina a principe non è elettiva e neppure ereditaria come dicono stia avvenendo in alcune parti del mondo, qui da noi si conquista, almeno così era prima che arrivassero i caproni perchè adesso molte cose stanno cambiando e non si sa come andrà a finire.

Becca, così si chiama la ragazza scesa dalla nave misteriosa, è una principessa egizia ed era stata portata nella nostra città per istruirsi agli usi e costumi.

Non è che qui da noi manchino le donne belle, le immagini che girano sono una meglio dell’altra ed ognuna con una particolare luce ma, come dire, lei ha, o meglio aveva perchè è passato qualche anno dal suo arrivo ed il tempo, si sa...una bellezza particolare, esotica, ammaliante, il sorriso, la luce degli occhi, il nasino così grazioso, la sinuosità di una pantera e poi ci sono cose che non si vedono ma si sentono, il profumo, il suono della voce, il fascino femminino oltre ad alcuni pettegolezzi che circolavano riguardo  rapporti avuti in passato con il principe.

Qui da noi guardiamo alle cause e non agli effetti e lei è stata un docile strumento nelle mani di un potere che sa vedere lontano.

Andiamo con ordine. Nascemmo qualche mese dopo il suo arrivo in una casa nel quartiere delle bagasce da una ragazza addetta al servizio della badessa.

Il padre non l’abbiamo mai conosciuto, le bagasce siano puttane o di servizio mettono al mondo i figli con un cerimoniale segreto che si tramandano dalla prima donna. Una volta nati i bambini del bordello vivono in comune accuditi da tutte e da nessuna fino all’età di cinque anni quando vengono portati, come i bambini della città e delle campagne, all’aia per l’istruzione ed a questo punto sono tutti figli di se stessi.

Dei primi anni ricordiamo ben poco, avevamo una passione sviscerata per i racconti di favole, i nostri preferiti erano gli artisti che le sapevano raccontare meglio e c’erano anche artigiani e contadini e non ci stancavamo mai di ascoltarle.

Quando scoprimmo i libri cominciammo ad appassionarci alle figure, ce li facevamo leggere seguendo con il dito lo scorrere delle parole scritte ed a quattro anni sapevamo già leggere meglio di loro.

Gli uomini non venivano certo per leggere o raccontare favole, nel bordello la festa è iniziata miliaia di anni fa e continua ancora, cene favolose,  musica e danze, fuochi pirotecnici, tutto quel che si può desiderare in fatto di amore e piacere fisico, dalle orge più sfrenate ai particolari più piccanti, per tutti i gusti e per tutte le nature, tutto quel che si vuole  tra fontane, piscine, soffici letti o... che cazzo ne so... a volte catturavamo qualcuno da torturare per i racconti ma era difficile così ci chiudevamo nei nostri nascondigli, ne avevamo parecchi e nei posti più impensati e passavamo ore a leggere.

Quando cominciammo ad inventare e raccontare storie sorprendemmo tutti...fu da allora che per noi le cose cambiarono, c’era chi ci studiava, chi ci amava in modo morboso e chi ci evitava o trattava con odio...ma a quei tempi che cosa potevamo capire?

A cinque anni, quando entrammo nell’aia venimmo accolti coi soliti lanci di sassi e scherzi feroci dai bambini più anziani, l’inizio è un momento cruciale e non tutti riescono a superarlo. Nella nostra città si celebra la vita e la morte è solo un breve passaggio della parola, i bambini che nascono malformati vengono subito annullati e poi è una continua selezione che tende a mettere in luce le qualità di ogni individuo ad esempio della natura.

Imparammo subito cominciando ad aggregare un paio di nuovi e rispondevamo alle sassate con una foga da eroi. A quei due se ne aggiunsero altri e presto formammo una vera e propria banda e facevamo paura ai più grandi. Poi trovammo il modo di entrare nelle simpatie di alcuni capibanda anziani ed il resto fu facile, specialmente quando cominciavamo a raccontare favole oppure quando c’era da organizzare feste e burle.

Dopo un anno di quella vita cominciò la scuola e fino a dieci anni andò avanti così, come uno qualsiasi. Nella nostra città non si finisce mai di imparare e la scuola dura in pratica tutta la vita. I primi anni sono formativi, danno una base e aiutano a sviluppare le inclinazioni naturali di ogni bambino. Finite le elementari dove si è nutriti ed alloggiati a spese dello stato si entra ufficialmente nel mondo e bisogna trovarsi casa e lavoro. Non è difficile, le botteghe degli artisti, le corporazioni, la marina e le campagne  compiono una prima scelta spartendosi gli elementi migliori e quel che rimane si adatta a quel che resta ma nessuno rimane disoccupato.

Venimmo ammessi alla scuola di teatro e ci portammo dietro i due che per primi si erano associati alla banda istruendoli per il provino di ammissione, diversamente sarebbero finiti uno a zappare e l’altro a pascolare vacche, non sono particolarmente astuti ma si adattano a fare di tutto e poi sono alti e forti e come spalle coprono bene.

Era una vita dura: al mattino teoria, lettere, sintassi, matematica, geometria, storia,  geografia, ecc. al pomeriggio pratica, aiutare i maestri a progettare e costruire le scene, pulizia del teatro, struttura della commedia, recitazione ecc. la sera ancora scuola, aiutare gli attori a vestirsi, lavoro al bar, alle macchine sceniche, ai botteghini ecc. la notte, finiti gli spettacoli, ci si butta sul letto e fino al mattino un unico sonno.

Avevamo un solo giorno libero alla settimana e ne approfittavamo per riunirci con gli altri della banda, ognuno aveva preso strade diverse, ci raccontavamo le nostre esperienze ed intanto davamo sfogo ai nostri giovani anni in feste scatenate dove imitavamo i grandi in goffe parodie. La banda continuava ad allargarsi e si erano aggiunte anche molte bambine.

Le bambine entrano nell’Aia a cinque anni come i maschi ma hanno un loro settore per evitare le naturali disparità di forza. I sessi cominciano ad unirsi finite le elementari per il lavoro comune. Quasi tutte le bambine vorrebbero fare le bagasce ma solo le migliori riescono, ci vuole grazia, una naturale inclinazione alla danza, alla recitazione, alla cucina e naturalmente al sesso.  Comunque anche loro si sistemano tutte.

Le prime ad entrare nella banda furono due bambine che studiavano con noi nella bottega di teatro e poi...ne parleremo più avanti.

 

 

Quando la nave arrivò tutti si stupirono della facilità con cui Becca ed il suo precettore vennero accolti al castello. Sia ben chiaro: qui da noi l’ospitalità è una tradizione sancita dalla legge lasciataci dal primo uomo, in città ci sono delegazioni stabili di tutti i popoli e centinaia di alberghi per i numerosi turisti che ogni giorno vengono a visitarci ed a spendere i loro soldi ma una cosa così non si era mai vista. Si pensava ad una visita di pochi giorni ed invece non se ne andarono più.

Il castello è un’immensa costruzione nel centro della nostra città, è circondato da un intricato gioco di fontane d’acqua luminosa che formano archi tra getti continui che cambiano continuamente forma e direzione, l’acqua è poi convogliata in un canale che va ad alimentare le numerose fontane presenti nella città interna. Ci sono passaggi tra i giochi d’acqua, certi segreti, certi si aprono a determinati orari, certi fissi come ai quattro portoni ed alle logge dei reggenti.

Il castello è diviso in quartieri ad immagine della città e del mondo occupati dalle principesse custodi poi c’è la torre dove è custodito l’archivio segreto e la biblioteca del principe e due costruzioni ai lati del portone centrale dove risiedono i reggenti. Sono pochi quelli che possono entrare, la privacy è totale come in ogni casa della città, ci vuole un invito speciale oppure una grande occasione diplomatica.

La privacy è totale eppure tutti sanno quel che avviene al suo interno e questo perchè le principesse custodi visitano spesso il bordello anzi, c’è chi dice che siano le più pagate e naturalmente hanno le loro corti private che si mescolano ai partecipanti e sembra siano dei pettegoli formidabili, poi ci sono ben quattro giornali che si occupano esclusivamente di scandali e raccolgono i pettegolezzi megafonandoli   ai quattro venti facendogli fare il giro del mondo. E così che si seppe tutto, i reggenti accolsero gli ospiti nei locali adibiti a tale scopo ed i primi giorni grandi cene, feste e baldorie con luminarie artificiali che duravano tutta la notte poi dopo una settimana le custodi cominciarono a dar segni di impazienza, Becca le metteva in ombra, tutta l'attenzione era solo per lei e loro, abituate al ruolo di prime donne non sopportavano di essere declassate, si parlò di interi servizi di cristallerie e vasellami preziosi  andati in frantumi durante le loro sfuriate e poi al bordello chiassate a non finire, tutta la città rideva.

Dopo un mese avvenne il primo incidente, una principessa morì tragicamente precipitando da una delle finestre più alte del castello. Ci furono indagini della polizia ma durarono pochi giorni, il caso venne archiviato come una disgrazia ed i reggenti avallarono la sentenza.

Naturalmente le dicerie, i sospetti e le proteste non mancarono, si sentiva come se nell’aria qualcosa fosse cambiato. Le custodi rimaste si calmarono e dopo qualche giorno Becca prese ufficialmente il posto della principessa scomparsa vincendo il concorso di miss Universo indetto per sostituirla.

Ci furono altre proteste, i posti di portinaie del castello erano prerogativa delle donne della città e non era mai successo che venisse ammessa una straniera ma i reggenti furono inflessibili, parlarono di necessità diplomatiche e cose del genere e dopo un po’ la cosa venne dimenticata.

I caproni scesi dalla nave con Becca non entrarono in città e si sistemarono in uno spazio fuori dalle mura concesso loro dal comune. Piantarono tende e padiglioni e cominciarono subito a costruire un  muro di pietra intorno all’accampamento. 

Da diversi punti di osservazione si guardava il loro lavoro, c’erano anche numerose donne che aiutavano gli uomini, vestivano tonache scure ed avevano il viso coperto da un velo nero che pendeva da una specie di turbante che gli fasciava la testa. La cosa che sorprese maggiormente è che erano tutte incinte. Sembravano formiche agitate, chi portava pali, chi portava teli... le donne velate mettevano una tristezza, gli uomini le trattavano come schiave e non avevano alcun divertimento se non delle noiosissime cerimonie dove non facevano altro che biascicare litanie nel loro linguaggio incomprensibile, battersi il petto piangendo e sacrificare caproni neri che poi cauterizzavano su are di pietra prima di mangiarli.

Anche in questo caso si credeva che sarebbe durato pochi giorni come avveniva in casi analoghi invece anche loro non se ne andarono più e col tempo tra nuovi arrivi e i figli che nascevano diventarono numerosi.

Ci furono molte proteste ma i reggenti parlarono di solidarietà per motivi che nessuno capì e che casi simili si erano già verificati in passato e lo stesso principe l’aveva permesso. Naturalmente nessuno se lo ricordava ma la cosa passò anche perchè i caproni se ne stavano tranquilli e non entravano in città e poi la notizia delia morte della prima custode deviò l’attenzione dell’opinione pubblica su altri argomenti.

Dopo la sistemazione i becchi montarono fucine e laboratori artigiani ed iniziarono a fabbricare oggetti utili alle campagne a prezzi concorrenziali e col tempo avviarono un lucroso commercio, i soldi guadagnati però se li tenevano e non tornavano in circolazione, tutto quel che occorreva al loro fabbisogno se lo fabbricavano, allevavano animali, per lo più ovini e pollame ed il grano gli arrivava per mare dalla loro terra d’origine. Subito nessuno fece caso a queste cose, il  grosso del commercio delle nostre industrie è destinato ai mercati esteri e le cianfrusaglie dei becchi passavano inosservate ma quando con gli anni i soldi in città cominciarono a mancare il problema scoppiò in tutta la sua gravità.

Le donne non uscivano mai dall’accampamento e raramente  dalle tende, solo pochi maschi lo facevano per commerciare e vendere i loro prodotti ed alcuni vestiti con umili sai e con la testa incappucciata si recavano a visitare i villaggi di ominidi nelle campagne.

Il precettore di Becca si stabilì nell’abitazione di uno dei reggenti. Un piccolo appunto per dire che la nostra città è divisa in due settori separati dal fiume, uno prevalentemente agricolo e artigianale e l’altro industriale con grandi allevamenti di animali. I reggenti sono rappresentanti dei due settori ed i dirigenti onorari dei loro partiti che a turno, questa volita per elezione popolare, governano la città e con essa il mondo.

Uno, il partito agricolo, è considerato tradizionalista e conservatore mentre l’altro, quello degli allevatori, è innovatore e populista. Naturalmente non mancano le eccezioni.

Altro compito dei reggenti è il controllo dei servizi segreti che sono sparsi in città e nel resto del mondo ma questa è una cosa delicata e ne parleremo poi.

Il precettore si stabili nella casa del capo del partito agricolo e a quelli che li videro insieme sembrava che si conoscessero da lungo tempo.

Usciva raramente, sempre chiuso nella sua tonaca nera e incappucciato girava  per l’Aia accompagnato da un piccolo servo gobbo, brevi apparizioni, si fermava solitamente a guardare i bambini giocare o il via vai dei visitatori.

Ci capitava spesso di vederlo alle elementari. Una volta lo sorprendemmo a fissarci, uno sguardo penetrante e feroce che ricambiammo come una sfida. Anche altri dissero la stessa cosa. Aveva un alone di squallore che lo circondava ovunque andasse e profumava di morte.

A noi bambini era antipaticissimo. Una volta con la  banda preparammo una buca piena di merda che poi mascherammo a dovere, lo aspettammo in agguato e quando arrivò cominciammo a giocarci intorno. Sapevamo che evitava la nostra vicinanza e così lo facemmo spostare e  guidammo i suoi passi fino alla buca. Ci cascò dentro e si immerdò dalla testa ai piedi. Tutti i bambini presenti nell’Aia, erano miliaia, scoppiarono a ridere, un boato che venne sentito anche in città e l’avvenimento divenne epocale.

Dopo quella volta limitò le sue uscite e lo faceva per lo più all’imbrunire o di notte. Ci fu un’inchiesta ma la maggior parte dei bambini non sapeva nulla e l’omertà tra la banda fu totale. I poliziotti ridevano mentre ci interrogavano.

A volte, mentre giocavamo nell’Aia, sentivamo quello sguardo e ci guardavamo intorno ma lo spettro non c’era, forse era nascosto dietro le fontane o da una finestra del castello o tra le tante statue...continuavamo a giocare poi la cosa ci venne a noia e non ci pensammo più.

Che cosa ci fa Becca al castello?...così diversa dalle altre, timida, riservata, pudica,  ingenua come una bambina che per la prima volta vede il mondo...una santarellina, un’acqua cheta, l’apparenza almeno, nell’Aia circolava la voce che avesse avuto una rivelazione e si fosse convertita ad una nuova ideologia.

Le congetture non servono, la storia è già scritta tra le righe della leggenda, ci deve essere un motivo per spiegare lo strano comportamento dei reggenti che assecondano in tutto l’insediamento dei caproni nella città, un piano preciso, o meglio un piano nel piano dove compaiono burattinai che burattinano venendo burattinati.

La favola di Barbablù, di Amore e Psiche, di Adamo ed Eva, le prime che  vengono in mente tra tante danno un’indicazione: non aprire quella stanza, non guardare il mio corpo, non mangiare quella mela, qualcosa di proibito presente nel castello a cui nessuno può accedere essendo l’ingresso vietato.

Il motivo è plausibile e possono essercene altri, le principesse sono modelle di comportamento ed ognuna ha un vasto seguito in città e nel mondo, ecco quindi la necessità di eliminare una custode e sostituirla con Becca, senz’altro ci devono essere delle spie e dei sicari nelle corti delle principesse e di conseguenza un disegno preciso preparato da tempo fin nei minimi particolari.

Il principe è morto da poco, il castello è senza guida, la via è libera, perchè non approfittarne? Che cosa c’è dentro di tanto importante? Probabilmente l’archivio segreto della torre, il codice della fontana oppure qualche arma micidiale, chi lo sa? Alla morte del principe la torre viene chiusa per essere riaperta al suo ritorno. Ci deve essere un’apertura a combinazione, un codice segreto e la chiave è un mistero che solo lui può svelare. Ogni cosa a suo tempo, adesso Becca sta camminando avanti ed indietro in un fantastico salone del suo quartiere dove si è da poco stabilita, sembra impaziente, indecisa, combattuta interiormente, spaesata in mezzo ad un lusso di una magnificenza indescrivibile, piccole fontanelle luminose sgorgano da eleganti conchiglie di diamante sparse qua e là illuminando la stanza di luce fresca e briosa, le finestre dai vetri lavorati riflettono arcobaleni di sogni, i mobili dai fini ceselli, le pareti d’ambre luccicanti specchiano i giochi d’acqua  e chi più ne ha...

È notte, le custodi sono al quartiere delle bagasce a far casino, le sue serve a dormire, è sola…la porta della torre è vicina, esce dal quartiere, un lungo corridoio,  cammina come una sonnambula, adesso la porta della torre è davanti a lei,  grande, immensa, legno massiccio duro come acciaio, non ci sono serrature, non ci sono fessure, spiragli, cerniere, un corpo unico con la parete, impenetrabile.

Becca l’accarezza, la tasta, la struscia con il corpo, le parla, la tempesta di pugni, di calci e la porta immobile assorbe i colpi senza reagire. Rimane qualche attimo pensierosa poi tira fuori dalla tunica un foglio di carta ed una matita e in pochi minuti disegna la porta ed il muro intorno con tutti i particolari, i fregi e le decorazioni. Finito il lavoro arrotola il foglio e lo nasconde in seno. Domani lo consegnerà al precettore, che ci pensi lui. Si sentono i passi di Becca che rientra in camera da letto poi la finestra si apre al cielo stellato, una zoomata fino alle stelle che da piccine diventano grandi e ci si può tuffare dentro…

 

A quei tempi non pensavamo alla politica, non sapevamo che cosa fosse ed anche adesso, certe volte, ce lo chiediamo senza trovare risposta.

Al terzo anno di teatro coi bambini del  nostro corso avevamo formato una compagnia su esempio dei grandi e ci facevamo chiamare “i Tigrotti”, c’erano scenografi, truccatori, musicisti, attori, regista ed aiuto regista e noi che facevamo un po’ di tutto oltre a scrivere la commedia che poi rappresentammo nell’Aia davanti a miliaia di spettatori. Era una trama semplice, descriveva un viaggio sulla luna passando su un arcobaleno che dal mare risalendo le montagne si trasformava in una scala ed arrivati alla luna si apriva una porta e dentro succedeva tutta una serie di avventure tra mostri, castelli e principesse incantate,  dei dimenticati che si lamentavano della loro eternità, draghi e animali immaginari di ogni tipo, musiche ed esplosioni e finiva che tutti gli attori mettevano le ali,  salivano su un’astronave e partivano per le stelle dove avremmo continuato a scrivere avventure. Fu un discreto successo che replicammo per un mese intero,  molti adulti vennero a vederci dalla città, dalle botteghe delle arti e perfino dal bordello. Seguivano applausi, festeggiamenti e mettemmo su un bel gruzzoletto.

Per noi personalmente invece fu un fiasco, non la commedia che era davvero divertente, fu un fiasco la vita, ci sentivamo inappagati, inconclusi. Già a quei tempi  avevamo il dono del confronto e l’immaginazione necessaria per guardare avanti, confrontammo la storia con le tante che avevamo letto e che ancora dovevamo leggere e ci vedemmo chini sul foglio a scrivere  per tutta la vita mentre a vivere le avventure erano personaggi immaginati, nulla, che senso aveva, noi volevamo vivere, conoscere il mondo, viaggiare, essere un personaggio vero in avventure reali.

Fu la necessità a metterci sulla strada giusta. A quei tempi la città venne scossa da una lunga serie di incidenti, tutti mortali e nella quasi totalità le vittime erano bambini dai dieci ai quindici anni e non a caso. Nel periodo delle elementari tra i bambini si formano numerose bande organizzate gerarchicamente con un capo ed un gruppetto di suoi amici  che fanno da luogotenenti e organizzano le burle e le feste. Questi capibanda li conoscevo tutti.

Dopo lo scherzo al precettore ci furono numerosi bambini che volevano lasciare le loro bande per unirsi alla nostra. I capi lo sapevano e la cosa non gli faceva certo piacere ma nello stesso tempo erano a loro volta ammirati ed anche un po’ invidiosi. Di allargare la banda non avevamo intenzione, eravamo già tanti e poca brigata vita beata, cogliemmo però l’occasione per riunire gli altri capi e con abili stratagemmi formammo una banda di capibanda dove eravamo tutti alla pari ma tra noi contavano le idee migliori.

Fu un successo, tutti i bambini capirono ed aderirono tacitamente. Organizzavamo cacce al tesoro, battaglie e burle colossali, si stava formando l’ambiente per la futura rivoluzione, tutte le rivoluzioni partono dai bambini.

Acqua passata, adesso a morire erano proprio quei capibanda con cui avevamo formato la prima tavola rotonda della storia, chi ucciso dal calcio di un cavallo, chi travolto da una carrozza, chi da una frana di massi mentre passeggiava in montagna, chi annegato al porto, chi... Incidenti casuali all’apparenza, non c’erano quasi mai testimoni e quando c’erano erano tutti concordi nel sostenere la causa della disgrazia.

Nel giorno libero incontravamo quelli della  banda in una piazza del porto dove andavamo spesso a sognare dietro alle navi che partivano, parlavamo di questi fatti e nessuno sapeva trovare una spiegazione. Uno di loro era entrato nella scuola di polizia e diceva che anche lì la cosa puzzava ma non sapevano cosa fare, i fatti parlavano chiaro e indizi per sospettare eventuali assassini non ce n’erano.

D’istinto gli domandammo se la polizia controllava l’attendibilità dei testimoni e lui rispose che non sapeva ma che avrebbe chiesto, gli consigliammo di far schedare quei testimoni e di controllare segretamente le loro mosse e lui ci assicurò che ne avrebbe parlato al suo superiore.

Era quasi mattino, arrivavamo da una tumultuosa battaglia amorosa con due ragazzine del teatro quando da lontano vedemmo un incendio divampare alle finestre della stanza che abitavamo. Arrivammo che era già tutto finito in tempo per vedere portare via uno dei compagni con cui dividevamo la stanza morto per le ustioni. L’altro, erano i due con cui iniziammo la banda, anche lui tutto ustionato, seguiva il feretro piangendo verso l’ambulanza che aspettava fuori scortato dai vigili del fuoco.

Anche se bruciato e annerito notammo che il morto indossava un nostro vestito ed aveva al dito l’anello che le bagasce ci regalarono quando lasciammo il bordello. A pochi passi dall’ambulanza anche il compagno sopravvissuto cadde a terra. Gli infermieri si affannarono per rianimarlo ma non ci fu nulla da fare.

Nella confusione nessuno si era accorto di noi, eravamo  impiastricciati di rossetto e di trucchi che le ragazzine ci avevano spalmato sul viso nei loro giochi e ci sorprendemmo ad ascoltare le voci che ci davano per  morti.

Per un po’ vagammo sotto shock ma ci riprendemmo subito. Mentre l’oriente si accendeva vedemmo le luci del bordello,  all’ingresso erano tutti fuori a guardare gli ultimi bagliori dell’incendio, entrammo senza farci notare e ci rifugiammo  in uno dei nascondigli che usavamo quando vivevamo lì.

 

Un piccolo tempio consacrato ad Amore arciere. Su un supporto scolpito a fuoco e fiamme c’è un bambino ricciuto, le ali aperte, la faretra sulle spalle piena di frecce, con una mano tiene l’arco con l’altra il suo considerevole cazzo da cui fuoriesce uno  zampillo di acqua luminosa che scroscia giù dalla montagna e si raccoglie in una vasca nel pavimento dove nuotano e saltellano eleganti pesciolini dorati. Ogni arte ha la sua disciplina ed ogni disciplina le sue cerimonie.

Un tempo il tempietto era molto frequentato poi ne sono stati costruiti altri più sontuosi e questo è passato nel dimenticatoio. Quando eravamo piccoli e cercavamo un po’ di pace dall’esuberanza festosa e carnale delle bagasce venivamo qui, l’aria sempre piacevolmente fresca, la musica dello zampillo che scorreva tra i piccoli canali sciogliendosi in piacevoli armonie e riflessi iridati, i guizzi dei pesci che accompagnavano e ritmavano il tempo, la serenità di Amore immobile sul suo piedistallo…gli parlavamo, i crucci, i desideri, i dolori per le sculacciate che prendevamo di tanto in tanto...Amore tranquillo continuava la sua pisciata e tutto finiva lì.

Adesso al presente, l’immagine di Amore è sempre al suo posto e nulla è cambiato a parte l’età e la scena di morte da cui siamo fuggiti.

I pensieri corrono spinti dall'agitazione, abbiamo fiutato il pericolo ma è ancora una pura sensazione e non vogliamo soccombere, intanto Amore piscia tranquillo, i pesciolini guizzano nell’acqua luminosa...passano un paio d’ore, abbiamo ritrovato la calma, riflettuto, associato i fatti. Un altro incidente misterioso, altri morti, perché Zappa indossava i miei vestiti? Chi ha acceso il fuoco? Perchè muoiono solo i capibanda?. Guardiamo Amore e lui continua la sua eterna pisciata, fa venir voglia, la facciamo nella vasca dei pesci e poi ci accorgiamo di avere fame.

Durante il giorno, eccetto in festività particolari, l’ingresso nel quartiere delle bagasce è chiuso. Si preparano gli allestimenti per le orge notturne, si pulisce, si organizza, si realizzano idee, si cucina, si spillano botti dei vini più ricercati, si ricevono i fornitori e intanto le bagasce si riposano. Non dovremmo essere qui, potrebbero punirci, magari metterci a pelare patate tutto il giorno. Quando eravamo piccoli andavamo spesso a trovare una bagascia nella sua camera mentre riposava.

È la madre superiore, la capobanda delle bagasce. Una donna bellissima,  statuaria, con un’immensa chioma leonina biondo sfavillante e due tette enormi con dei capezzoloni…ci infilavamo nel suo letto poi la stringevamo forte incollando le labbra ad un capezzolo che ci stava tutto in bocca...spesso aveva il latte ed era delizioso, altre volte era asciutta ed allora la mordevamo a sangue e poi succhiavamo, succhiavamo...lei faceva di quegli strilli poi si accorgeva di noi e ci lasciava fare, sembrava rilassata ma di tanto in tanto sentivamo le unghie dei suoi piedi e delle sue mani scorrerci per il corpo cariche di elettricità e certe volte ci accarezzava anche il pisellino. Avevamo tre, quattro anni, che cosa potevamo capire? La sua camera è vicina, andiamo, male che vada sbucceremo le patate.

La porta è aperta, entriamo senza far rumore...lei sta dormendo distesa sul letto tra variopinte lenzuola ricamate di voli di colombe tra le nuvole e cuscini d’ogni colore, è sempre la stessa, qualche anno in più, qualche segno sulle cosce e sul ventre...ci avviciniamo e le lecchiamo un capezzolo piano. Lei apre un occhio poi l’altro, ci vede e li sgrana dalla sorpresa, si alza di scatto e dice: “Che ci fai qui?... tutti ti credono morto."

“C’era Zappa al mio posto, non sapevamo dove andare, adesso se..."

Ci tappa la bocca con una mano poi indossa una vestaglia e mette un bricco di caffè a scaldare sul fuoco.

"Hai fame?“

“Un po‘.”

“Ti preparo qualcosa, è una fortuna che sei venuto, tutta l’Agenzia è in allarme.”

“Quale agenzia?”

Lei ci guarda pensierosa e chiede: “Qualcuno ti ha visto entrare?”

“Nessuno.”

Ci accarezza passando le dita sui segni di rossetto nel viso.

"Chi ti ha conciato così? Hai fatto il galletto?"

“Che importa?"

Ci spinge in bagno, ci spoglia e ci tuffa nella vasca lavandoci bene con sapone profumato poi cerca un accappatoio in uno stipo e ci asciuga.  Tornati in camera ci serve il caffè con latte e brioscine calde.

“Adesso rimani qui tranquillo, ” dice,  “devo assentarmi un attimo, non aprire a nessuno e non far sentire la tua voce, potrebbero riconoscerti.”

“Ma a chi importa?”

“Non scherzare, ne va della tua vita, sei in grave pericolo.”

“Va bene, aspetteremo.”

La bagascia, si chiama Thema, esce chiudendo la porta a chiave. Finiamo la colazione poi ci corichiamo sul letto e ci appisoliamo.

 

Siamo su una barchetta a vela tutta bianca, siamo per modo di dire, non ci vediamo però vediamo come se ci fossimo, sotto c’è il mare infinito con tonalità azzurre verdi grigie mescolate in una infinità di sfumature e sopra il cielo infinito con tonalità azzurre dallo scuro al chiaro con spruzzi di nuvole che scendono e spruzzi di spuma marina che salgono, all’infinito, una panoramica senza orizzonte,  l’immagine pulsa dentro un fotogramma, si vede uno spazio circoscritto con la barchetta bianca e subito dopo l’infinito senza orizzonti con la barchetta in mezzo, piccina piccina, un puntolino, di nuovo lo spazio circoscritto e poi l’infinito, le immagini si succedono all’infinito…di fronte c’è uno scoglio, rocce aguzze incollate una sopra l’altra con le onde del mare che gli si frangono contro,  cerchiamo di aggirarlo ma se proviamo ad andare a destra il vento soffia da sinistra e ci spinge indietro e se proviamo ad andare a sinistra il vento soffia da destra. Sentiamo l’impulso di gridare: “All‘arrembaggio!" e distruggere lo scoglio poi vediamo che siamo soli e allora prendiamo lo scoglio che è diventato piccino e lo scagliamo lontano e continuiamo in direzione dello scoglio mentre le immagini continuano a succedersi finito e infinito...

Il  rumore di una porta che sbatte ci sveglia.

È  tornata Thema con un tipo vestito da facchino, il berretto tirato sugli occhi, con due grosse valigie.

“Chi hai portato?” le domando,  “avevi detto che doveva essere un segreto, ”

Thema fa un cenno con il dito premendolo al naso in verticale poi indica i muri e quindi un suo orecchio.

Il facchino ha posato le valigie e si è avvicinato levandosi il berretto. È un uomo sui trentacinque anni, ha il portamento eretto e la testa alta, snello eppure solido e muscoloso, un viso bellissimo, femmineo con occhi nerissimi ed i capelli lisci e corti altrettanto neri. Per un minuto che sembra non finire mai restiamo a fissarci negli occhi con un punto interrogativo in mezzo che rimbalza da una parte all’altra.

Tutta la sua figura emana una forza straordinaria ed anche una ferocia, come dire...la ferocia micidiale, ferina, letale di una tigre.

Thema ha mosso una leva e da una piccola fontana in un angolo della stanza inizia a sgorgare una cascatella d’acqua che mette in movimento un carillon che diffonde nell’aria una musichetta allegra.

Il facchino ci fa cenno di parlare piano e dice: “Sei tu che hai suggerito a Picchio di far controllare i testimoni?"

“Chi sei?“

“Un amico…forse. Rispondi alla domanda.“

“Se ci pare…l’altro giorno, ora ricordo, sì.”

"Perchè?”

“Ovvio...se fossi un assassino e ammazzassi la gente cercando di far apparire i delitti come incidenti non lascerei certo in giro dei testimoni, quindi se ci sono testimoni…sei della polizia? Che ci fai vestito così?”

L’uomo ci guarda sempre fisso e  un leggero sorriso gli illumina gli occhi.

“Chi ti ha insegnato queste cose?”

“Nessuno, è come fare due più due, è facile.”

“Forse per te... credi che siamo degli stupidi? questa notte l’hai scampata per un pelo, l’attentato era destinato a te.”

“Questo l’avevo già capito, sono morti Secchio e Zappa...Zappa indossava i miei vestiti e l’anello.”

“Sì, in tua assenza si divertiva ad imitarti, era il suo passatempo preferito.“

“Che sciocco...come fai a saperlo?”

"Credi che gli uomini non sappiano amare?...sono mesi che vi teniamo sotto controllo, sapevamo che eri con le ninfette, i miei uomini ti han seguito tutta la notte e poi ti han perso di vista...ti stavano cercando dappertutto e non è facile muoversi di questi tempi.”

“Ci controllavate?...e non avete fatto nulla per salvare Zappa e Secchio. Secchio è morto dopo, non sembrava ferito.”

L’uomo ci guarda con un espressione serissima e in un sussurro dice: “È stata una fortuna per te, non ci pensare.”

Facciamo per ribattere ma l’uomo ci tronca la parola ribattendo: “Una fortuna,  adesso ti credono morto e guarderanno altrove, tu però devi partire subito, immediatamente, c’è una nave che ti aspetta al porto.”

“Quanta fretta, che cosa sta succedendo?”

“Non posso dire nulla.”

“Chi credi di essere, babbuino scodato?...non farò un passo senza sapere.”

L’uomo rimane un attimo in silenzio guardandoci con stupore poi si rivolge a Thema e dice: “Lo hai sentito?...babbuino scodato mi ha chiamato…”

 Thema ride e risponde: “Di che ti sorprendi? Te l’avevo detto che è terribile, sapessi quel che mi faceva quando era piccolo…”

“L’uomo torna a rivolgersi a noi e continua: “Va bene, ma non qui, parleremo strada facendo, non c’è un attimo da perdere. Prenderai il posto del ragazzo che mi ha accompagnato, nessuno si accorgerà di niente.”

Apre una valigia ed estrae un’uniforme simile alla sua, ce la porge dicendo: “Indossa questa.”

Finito di vestirci ci calca sulla testa un berretto e ci infila un paio di occhiali con le lenti affumicate. Si allontana di qualche passo per osservare l’opera e commenta: “Perfetto, un facchino nato, non ti riconoscerà nessuno, andiamo!”

“Prima di uscire Thema ci abbraccia e dice: "Mi raccomando con tutte le ragazzine che incontrerai, tieni a posto il galletto…”

“Uffa…” La  baciamo morsicandole un capezzolo senza pietà e seguiamo l’uomo fuori dal bordello.

C'è un bel mattino inoltrato con il sole, qualche nuvoletta dalle forme bizzarre accodate come se fosse da poco passata una locomotiva a vapore, un venticello che agita le foglie verde argentate del parco. Nell’Aia poco movimento, i bambini a quest’ora sono a scuola, le fontane zampillano giochi d’acqua come ballerine in continui volteggi e l’aria è satura dei loro gorgoglii, nel quartiere del teatro il palazzo degli alloggiamenti con una finestra annerita dal fumo.

“Come è successo?" domandiamo all’uomo che cammina davanti spingendo un carretto carico di pacchi.

“I particolari non li conosciamo ancora…i sicari dovevano essere nascosti dentro,  hanno tramortito Zappo scambiandolo per te e poi hanno appiccato il fuoco. Il resto lo sai.”

Percorriamo velocemente il tragitto fino alle botteghe galleggianti, le passiamo e saliamo su una carrozza con le insegne dei trasporti che parte subito verso il porto.

“Perchè devo fidarmi di te?” gli chiedo.

“Non hai scelta.“ Risponde lui.

Alziamo una spalla per noncuranza  guardando fuori dal finestrino la cittadella dell’Arte allontanarsi sempre più. Chissà se la vedremo ancora.

“Non ti sei ancora presentato.”

“Babbuino scodato, per servirti…” risponde lui piccato.

“Uffa, quante storie, m’è scappato.”

"Già, cose che capitano...il fatto è che c’era un altro che mi chiamava così quando ero bambino ed il sentirlo dire da te...possibile?...comunque mi chiamo Ernesto.”

Ci stringiamo la mano e continuo: “Nell’Aia tutti mi chiamano Bastardo, è il mio nome di battaglia, anche per certi scherzetti…”

Ernesto ride…“Qualche cosa è trapelato.”

“Non sembri un facchino, chi sei veramente?”

“Saresti capace di mantenere un segreto anche sotto tortura?”

“Dipende... quanto è grosso questo segreto?”

“Sei acuto per avere solo tredici anni... ti sei accorto delle cose successe da quando sono  arrivati i caproni?”

“Non credo siano loro gli autori dei delitti, se entrassero in città si riconoscerebbero subito, ci deve essere per forza qualcuno dei nostri che si è venduto, i reggenti ad esempio.”

“Sai già tutto!” esclama lui meravigliato.

“Non so perchè non li fermate se lo sapete anche voi.”

 “È vero, così è. Ci sono stati molti morti anche in città, tra i politici e gli esponenti più importanti delle corporazioni e sono stati tutti sostituiti da elementi sospetti. Stanno cambiando i vertici ed eliminano i probabili."

"E voi li lasciate fare?”

“Sì, questo è l’ordine, fare nulla.”

 “Fare nulla? Chi ha dato questo ordine?”

“Il  principe prima di morire. Aveva previsto tutto, anche la sua morte e le modalità del suo ritorno. Far nulla ci disse.”

“Far nulla...anche i reggenti? Siete tutti d’accordo?”

“Ernesto, sarà poi il suo vero nome? ci guarda con  occhi che ardono ed esclama: “Io sono un reggente! L’altro ci sta aspettando sulla nave. Quelli al palazzo sono falsi.”

“Non capisco…”

“II principe ha voluto così, è lui che li ha scelti, è lui che ha fatto tutto. Dovremmo essere noi al loro posto invece ci ha tenuti nell'ombra assicurandoci una copertura insospettabile insieme a pochi fedelissimi deviati dai servizi segreti. Aveva previsto tutto, l’arrivo dei caproni, Becca, le morti... Ci disse che è una guerra che va avanti da miliaia di anni, vita dopo vita, una guerra spietata e eravamo arrivati al finale. Fare nulla, solo tenere d’occhio i loro movimenti ed al momento opportuno raccogliere i probabili e mandarli in Giappone. Dove e a fare cosa non lo disse ma Arko lo sa.”

“Chi è Arko e chi sono i probabili?”

“Arko è il principe di quella terra...almeno lo  era, adesso si è ritirato e vive come un eremita dentro un vulcano. Da bambini il nostro principe e Arko passarono molto tempo insieme sia qui che laggiù, poi presa la carica continuarono a vedersi qua e là per il mondo durante i loro viaggi. Quel che devi fare a noi non l’ha detto…e per quel che riguarda i probabili lo devi capire da te, non è cosa che si può spiegare.”

“Come fare due più due…” rispondiamo eccitati dall’idea di andare a vivere dentro un vulcano.”

Al finestrino si stanno profilando i contorni dell’immensa statua di Amore alato con la fiaccola del faro che sovrasta il porto. L’aria profuma di iodio ed è satura di riflessi marini, la musica delle onde, i richiami dei marinai, le campane delle navi, i fischi, il cigolare degli argani, le grida dei gabbiani dal silenzio si fan sempre più chiare, siamo al porto.

Il tempo si è fermato, le lancette han raggiunto l’ora zero e sta per iniziare un nuovo giro.

I primi secondi senza pensare a nulla: “Le due ragazze che erano con me questa notte...loro lo sanno che sono vivo.”

“Ernesto sbuffa: “Le abbiamo trasferite dalle bagasce, penserà Thema a loro.” 

“Buona idea. Come attrici valevano poco, come bagasce avranno più fortuna...sto cominciando a capire, i probabili sono i candidati della cerca?“

“Che cosa sai della cerca?”

“Quello che san tutti: il principe prima di morire nasconde la sua spada e lascia degli indizi per ritrovarla dopo la rinascita. Da bambini era il nostro gioco preferito, la cercavamo dappertutto. Tu l’hai vista?”

“Sì, il principe la portava sempre con sé, non è solo una spada, è molto di più.”

“Com’è fatta?”

“Vuoi sapere troppo. Cercala e se la troverai lo vedrai da te…adesso basta con le domande, siamo arrivati. Fingeremo di portare dei pacchi sulla nave e tu resterai a bordo. Il capitano è già stato avvisato.”

“Chi è?”

“Ti piacerà...era uno dei preferiti del principe quand’era bambino. È un famoso pirata e viaggia in incognito sotto le insegne di una compagnia teatrale itinerante.”

“Sono quelli che hanno rappresentato quel buffo spettacolo con gli aquiloni l’altra notte nell’Aia?”

“Sì, Drago è un maestro con gli aquiloni, ne ha di tutte le misure. Sarà lui a portarti in Giappone. Un’ultima cosa, se riuscirai ad arrivare da Arko non stupirti di nulla. Ha dovuto prolungare il termine della sua vita per incontrarti e sarà certamente intrattabile. Una volta sbarcato Drago ti accompagnerà al vulcano dove vive,  l’accesso del rifugio non lo conosce nessuno e dovrai cercarlo da solo. Sulla nave troverai tutte le informazioni che ti occorrono.”

“Dove sono gli altri probabili?”

“Sono tutti morti, sei rimasto solo tu...ed anche questo il principe aveva previsto.”

 

 

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