1 Dall' inizio.
Notte stracca, senza idee, qualcosa che valga la pena, ci
vorrebbe…esiste quel che ci vorrebbe oltre ai soliti candelotti di dinamite?...
Ricorda la poesia del dio Caprone di Pavese, il sole la vigna
l’incesto...corona di dei che guardano lo spettacolo, il caprone simbolo del
diavolo, il caprone espiatorio inchiodato al palo con tanto di barbetta, il
mito di Pan dai piedi caprini che suona lo zufolo mentre le Menadi sbranano
Orfeo, cannibalismo sessuale, mette appetito...il filo della storia muove senza
caso come I ‘appetito vien mangiando eppure la direzione è il Caso sinonimo di
accidente e vuole il caso che sia così: amore senza condizioni.
Piedi o zoccoli di capra? Salvare capra e cavoli... impasto
a caso...ci sono paure ancestrali che covano nel subconscio, caproni che
danzano intorno ai fuochi fatui delle tombe con streghe grinzose e barbute,
notte senza stelle, si vedono appena,
belati mozzi, gemiti gorgoglianti di catarro, ritmo di morti che battono
i denti, tip tap di zoccoli, qualche cornacchia nascosta nel buio a intervalli
irregolari fa cra cra senza convinzione, i grilli cri cri...quando non vengono pestati dalla foga
danzante.
Il mattino arriva illuminando l’evanescenza della visione,
nuvole malate prive di motivazione si muovono nel cielo specchiando i movimenti
umani o caprini per non dire caproni.
Guerra senza incentivo, l’argomento scarica e la tempesta
non scoppia, storia forzata, caproni che belano menzogne poi spuntano le corna
e la ragione traballa senza logica, la direzione è incerta, caso aleatorio,
senza come, senza dove, senza perchè.
La voglia di scrivere va di pari passo con la voglia di
vivere, seduti a questo tavolo i fogli volano via uno dopo l’altro in un libro
di pagine slegate sospese nell’aria da qui a dappertutto.
Potere tra tutti gli atti per scegliere quello necessario,
Arte è come guidare un’astronave tra le storie possibili, mondi vergini da
esplorare per tuffare il muso dentro le fighette bagnate e levarsi di dosso
l’età, l’odio, la paura, la viltà...
Che il sesso abbia sostituito l'istinto antropofago della
forma preumana è una probabilità, ricorda l’abbraccio di un corpo innamorato,
l’ebbrezza, la leggerezza che solleva il corpo all’altezza del nulla, come
quando ci si fa una pera la prima volta, il peccato, un bacio, un morso, un
pezzo di carne da masticare lentamente assaporando goccia a goccia il sangue
che sprizza, i minuscoli nervetti, la pelle croccante, ancora viva che freme
solleticando la lingua, quale amore più squisito? Non ci sono denti per mordere
e non c’è nulla da mordere, è una macchina, la carne si è trasformata in un
complesso ingranaggio pieno di bulloni e dadi arrugginiti, sputato il ferro si
gira la questione per guardarla sotto un’altra luce, una bella fighetta vergine
da leccare a piacere con la lingua alle ovaie ed i denti che scavano per
raggiungere l’origine, l’inizio, il primo atto di una lunga storia.
Ancora un giro, il moscone ronza dentro le probabilità alla
ricerca di qualcosa d’eccitante, un bel culo tornito, duro come il marmo, da
tagliare a fette e cucinare sulla brace, un pezzo alla volta, il cuore per
ultimo mangiato crudo ancora palpitante tra lacrime di gioia... rimane un
mucchietto d’ossa da gettare ai cani ma la fame continua a divorare e intorno
c’è il nulla con qualche bolla di sapone emessa da una pipetta fuori uso che
volteggia in pensieri oziosi e poi svanisce in uno splash di noia... innamorati
di una morta, vermi leccati sulla pelle putrefatta, la figa emana lezzo d’oltretomba, la carne è
spaccata da bolle purulente che lasciano in bocca il gusto di…un sapore che
bisognerebbe inventare la parola, tutto marcio, squallido, macabro stile déjà-vu…appare
un prato di primavera con una margheritina che brilla di rugiada mentre il sole
l’asciuga, la scena cambia ancora e ritornano le nuvole immotivate a far da
cornice alla realtà, anche l’amore vuole
motivazioni, così l’argomento scarica senza tempesta, bufera di sensi, uragano di passione,
esplosione atomica di voluttà, disintegrazione universale di una carezza...
rimane un foglio di carta su cui stampare paranoie e rimpianti.
Al fuoco! Bruciare tutto e poi soffiare la cenere al vento e
dal vento alla nuvola soffice letto per amarsi il passo è breve...a buon
intenditor.
Quando il tempo si ferma la storia cammina, accenni
sovrapposti dal susseguirsi degli interessi dominanti, il Caso è sempre
presente, cammina pari passo con la Necessità ed è oggi ma potrebbe essere
miliaia di anni fa oppure a venire, la posizione del tempo ha la forma dello
spazio che limita ed è determinato dal movimento dei personaggi, comunque c’è
sempre una macchina che ha bisogno di cibo altrimenti si ferma, il movimento è
sempre diretto al cibo.
Atlantide
Una notte stellata di quelle che si potevano vedere in altri tempi quando
l’aria era pura e le stelle brillavano vive e sembravano così vicine che si
potevano accarezzare e anche pizzicare fa da tetto alla collina dove i fuochi
della festa sono tutti accesi. La ribellione fiammeggia tra i giovani
partecipanti mentre la città brucia nel caos…
Tutto cominciò dopo la morte dell’ultimo principe.
Qui da noi quando muore il principe il potere passa nelle
mani di due reggenti che mantengono la carica fino al momento del suo ritorno.
Pochi mesi dopo l'insediamento dei reggenti il caso volle che al porto
approdasse una nave mai vista prima tutta nera con le vele color sangue.
Una folla di persone piccole di statura, la pelle olivastra,
gli occhi tondi e neri, i capelli corti e ricci, vestiti con braghe e
camiciotti di panno grigio cominciò a sbarcare ed a occupare la banchina. Erano
tenuti a bada da soldati armati con fruste e piccole clave chiodate che li spingevano e percuotevano
mantenendoli in file serrate.
La guardia della città scese al porto di corsa e li circondò.
La sorpresa era evidente, nessuno si aspettava quella nave e ovunque si
sentivano suonare le campane di allarme.
I caproni, così li battezzammo dopo il loro arrivo, rimasero
tranquilli e si lasciarono circondare senza opporre resistenza tenendo le clave
appoggiate al terreno, poi sul ponte della nave comparve una figura spettrale,
un tipo allampanato simile agli altri ma molto più alto, vestito con una tonaca
nera che lo ricopriva completamente, un cappuccio gli nascondeva la testa di
cui si vedeva solo un occhio ammiccare sinistro.
Una ragazza di una bellezza impareggiabile fece capolino
intimidita da dietro la tonaca dello spettro. Era vestita con una tunica bianca
ricamata da fili d’oro e d’argento, collane, braccialetti e giochi di perle tra
i capelli nerissimi e lunghi acconciati
a sbuffi e treccioline.
Quando la videro rimasero tutti a bocca aperta, fu un flash che in un attimo
illuminò il porto. Per farla breve lo spettro e la ragazza vennero accolti al
castello dai due reggenti, ci furono feste e banchetti e per un po’ le cose
andarono avanti così.
Dialogo tra Nome e Forma.
(alta teologia)
In questo caso il nome è rappresentato da un somaro e la
forma da un bue. L'antinomia è subito evidente perchè il somaro non è il bue ma
va chiarito l’aspetto binario della questione, cibo per la parola e cibo per il
corpo, capita di sentir dire che un uomo
è un somaro oppure che è un bue per lo stesso motivo si può dire di un
somaro che è un bue e di un bue che è un somaro ed il ragionamento fila
ineccepibile.
Il bue ed il somaro
sono in una stalla, divisi da una mangiatoia e qui va precisata una questione
importantissima. La stalla ha due porte, una a sud ed una a nord quindi per chi
entra da sud il somaro è a destra della mangiatoia ed il bue a sinistra mentre
per chi entra da nord il somaro è a sinistra ed il bue a destra.
L’asino le parole ed il bue il fieno stanno ruminando
tranquilli e nel mentre si sente dire:
Bue: “Come ti sembra?”
Somaro: “Non so come faccia a stare ancora in piedi.”
B: “Non dicevo di lui ma della storia che ha iniziato.”
S: “Ih aaahah! beh... C’è qualche punto poco chiaro, ad esempio
la nave, come ha fatto ad entrare nel porto senza essere avvistata prima, per
forza dovevano esserci delle vedette all’entrata.
B: “Chissà?...forse c’era la nebbia e nel traffico del porto
è passata inosservata poi all’attracco la nebbia si è dissolta e la guardia
della città è subito intervenuta.”
S: “Volendola arrangiare può essere andata così, comunque
una bella disattenzione, sarebbe meglio intensificare il controllo del porto,
non si sa mai... se fossero stati malintenzionati poteva venir fuori un disastro.”
B: “Una nave sola... improbabile, buuuu! Di’ somà, non senti
il caldo e quante zanzare?”
S: "Non dire, mi stan mangiando vivo...buono il fieno
oggi, peccato non ci fossero le carrube e magari qualche carota…”
B: “Che vuoi?... quel che passa il convento.”
S: “Già, avaracci...hai visto come nella città sono subito accorsi? Forse a quei tempi le
incursioni erano frequenti ma che tempi erano?“
B: “Doveva essere poco prima del diluvio universale nella
città dove venne piantata la prima fontana, da allora devono essere passati
tre, forse quattromila anni. Da quel che so dalla città sciamarono diversi
gruppi di umani per andare a formare nuove colonie, a quei tempi il pianeta
doveva essere completamente colonizzato, tutte le città al loro posto, i
popoli, le nazioni, i continenti e tutto aveva centro nella prima città,
l’origine. Non credo ci fossero delle vere e proprie guerre, l’espansione
demografica…muuuuu...si scaricava nelle migrazioni, le guerre sarebbero venute
dopo, piuttosto è probabile che esistessero dei gruppi di dissidenti che
vivevano fuori dalla regola esercitando la pirateria contro navi o città
costiere, doveva essere molto divertente.”
S: “Se lo dici tu...ih ahaahaaah…preferisco stare tranquillo
a brucare l’erbetta, questi discorsi di
guerra mi piacciono poco...il nome della città lo ricordo, si chiamava Amore in
onore del suo fondatore, ma la forma…”
B: “Era diventata immensa... buuuu... intorno alla città le
campagne si estendevano a perdita d’occhio, di qua dal fiume vigneti e campi
coltivati e di là immensi allevamenti di animali da macello, da lavoro, per gli
sport... piccoli paesi, ranch isolati, stradine tra gli alberi, fontane e
laghetti dappertutto incastonati nell’ambiente come gioielli, un paesaggio da
favola. È probabile che i contadini di allora facessero lavorare anche ominidi
catturati nella giungla, tutti castrati, li prendevano già così e li
addestravano ai lavori pesanti. Ce ne dovevano essere parecchi, vivevano in
stalle, come noi, buuuu... e dovevano anche aver sviluppato una specie di
linguaggio elementare che lentamente li umanizzava. D’altronde la tradizione si
è tramandata fino ai giorni nostri, dagli iloti spartani agli schiavi romani,
gli eta giapponesi, i paria indiani, i muzik russi, i neri d’America e quanti
altri...il lungo cammino dell’umanità sotto la frusta. Il centro della città
era rimasto inalterato, il castello con intorno l’aia ed il percorso delle giostre,
le fontane con il tempo si erano trasformate in eleganti quartieri dove uomini
e donne si erano sostituiti alle figure d’acqua ed alle storie delle fontane,
il giro delle botteghe galleggianti comprendeva i migliori artisti e le stive
erano piene di ogni ben di dio, merce
che veniva scambiata per entrare e partecipare o assistere agli spettacoli,
dovevano circolare anche dei soldi, bei gettoni d’oro, per facilitare le
transazioni. C’era un commercio fiorente con le colonie e navi andavano e
venivano dal porto, la città esterna coi suoi quartieri a zucche, cavoli, rape
era piena di negozi e di botteghe artigiane, ogni quartiere la sua
corporazione… muuuuh…l’aiola con gli edifici a forma di fiori, loti
galleggianti nei laghetti con gli uffici amministrativi e commerciali, tutto a
puntino, poi…”
S: “Poi arrivarono i caproni…ih ahaaahaah…probabilmente
dovevano venire da una terra al di là
del mare, forse un’isola fuori dalle rotte praticate. Il confronto geografico
con l’assetto attuale del pianeta non dà probabilità perchè il tempo ha
cambiato la forma del pianeta spostando oceani e continenti…”
In quel momento dalla porta nord entra un bambino vispo e
ricciuto con le braghe corte e gli occhi azzurri. In mano ha un frustino e lo
fa schioccare.
“Dio bastardo!“ strilla, quante volte devo dire che il bue
deve stare a destra ed il somaro a sinistra.”
Il bue ed il somaro lo guardano con gli occhi fissi al
frustino poi, anche se malvolentieri e sotto le carezze di quello, cambiano
posto.
Il bambino senza dir altro riempie la mangiatoia e la vasca
dell’acqua e se ne va dalla porta sud.
Il bue ed il somaro tra ragli e muggiti di disappunto si
leccano fin dove arrivano con la lingua le parti frustate e poi tra loro
concludono:
Somaro: “lh ahaahhaaah... l’altra volta veniva da sud... quando
ci siamo girati? Forse il sud è
diventato nord?”
Bue: “Buuuuu?”
Il
bastardo figlio di puttana.
Si racconta che fu un uomo venuto dalle stelle a portare la
fontana luminosa intorno alla quale è costruita la città, poi trasferì la parola e rinacque come uno
qualsiasi e continua a rinascere ed è il nostro principe.
Qui da noi la nomina a principe non è elettiva e neppure
ereditaria come dicono stia avvenendo in alcune parti del mondo, qui da noi si
conquista, almeno così era prima che arrivassero i caproni perchè adesso molte
cose stanno cambiando e non si sa come andrà a finire.
Becca, così si chiama la ragazza scesa dalla nave
misteriosa, è una principessa egizia ed era stata portata nella nostra città
per istruirsi agli usi e costumi.
Non è che qui da noi manchino le donne belle, le immagini
che girano sono una meglio dell’altra ed ognuna con una particolare luce ma,
come dire, lei ha, o meglio aveva perchè è passato qualche anno dal suo arrivo
ed il tempo, si sa...una bellezza particolare, esotica, ammaliante, il sorriso,
la luce degli occhi, il nasino così grazioso, la sinuosità di una pantera e poi
ci sono cose che non si vedono ma si sentono, il profumo, il suono della voce,
il fascino femminino oltre ad alcuni pettegolezzi che circolavano riguardo rapporti avuti in passato con il principe.
Qui da noi guardiamo alle cause e non agli effetti e lei è
stata un docile strumento nelle mani di un potere che sa vedere lontano.
Andiamo con ordine. Nascemmo qualche mese dopo il suo arrivo
in una casa nel quartiere delle bagasce da una ragazza addetta al servizio
della badessa.
Il padre non l’abbiamo mai conosciuto, le bagasce siano
puttane o di servizio mettono al mondo i figli con un cerimoniale segreto che
si tramandano dalla prima donna. Una volta nati i bambini del bordello vivono
in comune accuditi da tutte e da nessuna fino all’età di cinque anni quando
vengono portati, come i bambini della città e delle campagne, all’aia per
l’istruzione ed a questo punto sono tutti figli di se stessi.
Dei primi anni ricordiamo ben poco, avevamo una passione
sviscerata per i racconti di favole, i nostri preferiti erano gli artisti che
le sapevano raccontare meglio e c’erano anche artigiani e contadini e non ci
stancavamo mai di ascoltarle.
Quando scoprimmo i libri cominciammo ad appassionarci alle
figure, ce li facevamo leggere seguendo con il dito lo scorrere delle parole
scritte ed a quattro anni sapevamo già leggere meglio di loro.
Gli uomini non venivano certo per leggere o raccontare
favole, nel bordello la festa è iniziata miliaia di anni fa e continua ancora,
cene favolose, musica e danze, fuochi
pirotecnici, tutto quel che si può desiderare in fatto di amore e piacere
fisico, dalle orge più sfrenate ai particolari più piccanti, per tutti i gusti
e per tutte le nature, tutto quel che si vuole
tra fontane, piscine, soffici letti o... che cazzo ne so... a volte
catturavamo qualcuno da torturare per i racconti ma era difficile così ci
chiudevamo nei nostri nascondigli, ne avevamo parecchi e nei posti più
impensati e passavamo ore a leggere.
Quando cominciammo ad inventare e raccontare storie
sorprendemmo tutti...fu da allora che per noi le cose cambiarono, c’era chi ci
studiava, chi ci amava in modo morboso e chi ci evitava o trattava con
odio...ma a quei tempi che cosa potevamo capire?
A cinque anni, quando entrammo nell’aia venimmo accolti coi
soliti lanci di sassi e scherzi feroci dai bambini più anziani, l’inizio è un
momento cruciale e non tutti riescono a superarlo. Nella nostra città si
celebra la vita e la morte è solo un breve passaggio della parola, i bambini
che nascono malformati vengono subito annullati e poi è una continua selezione
che tende a mettere in luce le qualità di ogni individuo ad esempio della natura.
Imparammo subito cominciando ad aggregare un paio di nuovi e
rispondevamo alle sassate con una foga da eroi. A quei due se ne aggiunsero
altri e presto formammo una vera e propria banda e facevamo paura ai più
grandi. Poi trovammo il modo di entrare nelle simpatie di alcuni capibanda
anziani ed il resto fu facile, specialmente quando cominciavamo a raccontare
favole oppure quando c’era da organizzare feste e burle.
Dopo un anno di quella vita cominciò la scuola e fino a
dieci anni andò avanti così, come uno qualsiasi. Nella nostra città non si
finisce mai di imparare e la scuola dura in pratica tutta la vita. I primi anni
sono formativi, danno una base e aiutano a sviluppare le inclinazioni naturali
di ogni bambino. Finite le elementari dove si è nutriti ed alloggiati a spese
dello stato si entra ufficialmente nel mondo e bisogna trovarsi casa e lavoro.
Non è difficile, le botteghe degli artisti, le corporazioni, la marina e le
campagne compiono una prima scelta spartendosi
gli elementi migliori e quel che rimane si adatta a quel che resta ma nessuno
rimane disoccupato.
Venimmo ammessi alla scuola di teatro e ci portammo dietro i
due che per primi si erano associati alla banda istruendoli per il provino di
ammissione, diversamente sarebbero finiti uno a zappare e l’altro a pascolare
vacche, non sono particolarmente astuti ma si adattano a fare di tutto e poi
sono alti e forti e come spalle coprono bene.
Era una vita dura: al mattino teoria, lettere, sintassi,
matematica, geometria, storia,
geografia, ecc. al pomeriggio pratica, aiutare i maestri a progettare e
costruire le scene, pulizia del teatro, struttura della commedia, recitazione
ecc. la sera ancora scuola, aiutare gli attori a vestirsi, lavoro al bar, alle
macchine sceniche, ai botteghini ecc. la notte, finiti gli spettacoli, ci si
butta sul letto e fino al mattino un unico sonno.
Avevamo un solo giorno libero alla settimana e ne
approfittavamo per riunirci con gli altri della banda, ognuno aveva preso
strade diverse, ci raccontavamo le nostre esperienze ed intanto davamo sfogo ai
nostri giovani anni in feste scatenate dove imitavamo i grandi in goffe
parodie. La banda continuava ad allargarsi e si erano aggiunte anche molte
bambine.
Le bambine entrano nell’Aia a cinque anni come i maschi ma
hanno un loro settore per evitare le naturali disparità di forza. I sessi
cominciano ad unirsi finite le elementari per il lavoro comune. Quasi tutte le
bambine vorrebbero fare le bagasce ma solo le migliori riescono, ci vuole
grazia, una naturale inclinazione alla danza, alla recitazione, alla cucina e
naturalmente al sesso. Comunque anche
loro si sistemano tutte.
Le prime ad entrare nella banda furono due bambine che
studiavano con noi nella bottega di teatro e poi...ne parleremo più avanti.
Quando la nave arrivò tutti si stupirono della facilità con
cui Becca ed il suo precettore vennero accolti al castello. Sia ben chiaro: qui
da noi l’ospitalità è una tradizione sancita dalla legge lasciataci dal primo
uomo, in città ci sono delegazioni stabili di tutti i popoli e centinaia di
alberghi per i numerosi turisti che ogni giorno vengono a visitarci ed a
spendere i loro soldi ma una cosa così non si era mai vista. Si pensava ad una
visita di pochi giorni ed invece non se ne andarono più.
Il castello è un’immensa costruzione nel centro della nostra
città, è circondato da un intricato gioco di fontane d’acqua luminosa che
formano archi tra getti continui che cambiano continuamente forma e direzione,
l’acqua è poi convogliata in un canale che va ad alimentare le numerose fontane
presenti nella città interna. Ci sono passaggi tra i giochi d’acqua, certi
segreti, certi si aprono a determinati orari, certi fissi come ai quattro
portoni ed alle logge dei reggenti.
Il castello è diviso in quartieri ad immagine della città e
del mondo occupati dalle principesse custodi poi c’è la torre dove è custodito
l’archivio segreto e la biblioteca del principe e due costruzioni ai lati del
portone centrale dove risiedono i reggenti. Sono pochi quelli che possono
entrare, la privacy è totale come in ogni casa della città, ci vuole un invito
speciale oppure una grande occasione diplomatica.
La privacy è totale eppure tutti sanno quel che avviene al
suo interno e questo perchè le principesse custodi visitano spesso il bordello
anzi, c’è chi dice che siano le più pagate e naturalmente hanno le loro corti
private che si mescolano ai partecipanti e sembra siano dei pettegoli
formidabili, poi ci sono ben quattro giornali che si occupano esclusivamente di
scandali e raccolgono i pettegolezzi megafonandoli ai
quattro venti facendogli fare il giro del mondo. E così che si seppe tutto, i
reggenti accolsero gli ospiti nei locali adibiti a tale scopo ed i primi giorni
grandi cene, feste e baldorie con luminarie artificiali che duravano tutta la
notte poi dopo una settimana le custodi cominciarono a dar segni di impazienza,
Becca le metteva in ombra, tutta l'attenzione era solo per lei e loro, abituate
al ruolo di prime donne non sopportavano di essere declassate, si parlò di
interi servizi di cristallerie e vasellami preziosi andati in frantumi durante le loro sfuriate e
poi al bordello chiassate a non finire, tutta la città rideva.
Dopo un mese avvenne il primo incidente, una principessa
morì tragicamente precipitando da una delle finestre più alte del castello. Ci
furono indagini della polizia ma durarono pochi giorni, il caso venne
archiviato come una disgrazia ed i reggenti avallarono la sentenza.
Naturalmente le dicerie, i sospetti e le proteste non
mancarono, si sentiva come se nell’aria qualcosa fosse cambiato. Le custodi
rimaste si calmarono e dopo qualche giorno Becca prese ufficialmente il posto
della principessa scomparsa vincendo il concorso di miss Universo indetto per
sostituirla.
Ci furono altre proteste, i posti di portinaie del castello
erano prerogativa delle donne della città e non era mai successo che venisse
ammessa una straniera ma i reggenti furono inflessibili, parlarono di necessità
diplomatiche e cose del genere e dopo un po’ la cosa venne dimenticata.
I caproni scesi dalla nave con Becca non entrarono in città
e si sistemarono in uno spazio fuori dalle mura concesso loro dal comune.
Piantarono tende e padiglioni e cominciarono subito a costruire un muro di pietra intorno all’accampamento.
Da diversi punti di osservazione si guardava il loro lavoro,
c’erano anche numerose donne che aiutavano gli uomini, vestivano tonache scure
ed avevano il viso coperto da un velo nero che pendeva da una specie di
turbante che gli fasciava la testa. La cosa che sorprese maggiormente è che erano
tutte incinte. Sembravano formiche agitate, chi portava pali, chi portava teli...
le donne velate mettevano una tristezza, gli uomini le trattavano come schiave
e non avevano alcun divertimento se non delle noiosissime cerimonie dove non
facevano altro che biascicare litanie nel loro linguaggio incomprensibile,
battersi il petto piangendo e sacrificare caproni neri che poi cauterizzavano
su are di pietra prima di mangiarli.
Anche in questo caso si credeva che sarebbe durato pochi
giorni come avveniva in casi analoghi invece anche loro non se ne andarono più
e col tempo tra nuovi arrivi e i figli che nascevano diventarono numerosi.
Ci furono molte proteste ma i reggenti parlarono di
solidarietà per motivi che nessuno capì e che casi simili si erano già verificati
in passato e lo stesso principe l’aveva permesso. Naturalmente nessuno se lo
ricordava ma la cosa passò anche perchè i caproni se ne stavano tranquilli e
non entravano in città e poi la notizia delia morte della prima custode deviò
l’attenzione dell’opinione pubblica su altri argomenti.
Dopo la sistemazione i becchi montarono fucine e laboratori
artigiani ed iniziarono a fabbricare oggetti utili alle campagne a prezzi
concorrenziali e col tempo avviarono un lucroso commercio, i soldi guadagnati
però se li tenevano e non tornavano in circolazione, tutto quel che occorreva
al loro fabbisogno se lo fabbricavano, allevavano animali, per lo più ovini e
pollame ed il grano gli arrivava per mare dalla loro terra d’origine. Subito
nessuno fece caso a queste cose, il
grosso del commercio delle nostre industrie è destinato ai mercati
esteri e le cianfrusaglie dei becchi passavano inosservate ma quando con gli
anni i soldi in città cominciarono a mancare il problema scoppiò in tutta la
sua gravità.
Le donne non uscivano mai dall’accampamento e raramente dalle tende, solo pochi maschi lo facevano
per commerciare e vendere i loro prodotti ed alcuni vestiti con umili sai e con
la testa incappucciata si recavano a visitare i villaggi di ominidi nelle
campagne.
Il precettore di Becca si stabilì nell’abitazione di uno dei
reggenti. Un piccolo appunto per dire che la nostra città è divisa in due
settori separati dal fiume, uno prevalentemente agricolo e artigianale e
l’altro industriale con grandi allevamenti di animali. I reggenti sono
rappresentanti dei due settori ed i dirigenti onorari dei loro partiti che a
turno, questa volita per elezione popolare, governano la città e con essa il
mondo.
Uno, il partito agricolo, è considerato tradizionalista e
conservatore mentre l’altro, quello degli allevatori, è innovatore e populista.
Naturalmente non mancano le eccezioni.
Altro compito dei reggenti è il controllo dei servizi
segreti che sono sparsi in città e nel resto del mondo ma questa è una cosa
delicata e ne parleremo poi.
Il precettore si stabili nella casa del capo del partito
agricolo e a quelli che li videro insieme sembrava che si conoscessero da lungo
tempo.
Usciva raramente, sempre chiuso nella sua tonaca nera e
incappucciato girava per l’Aia
accompagnato da un piccolo servo gobbo, brevi apparizioni, si fermava
solitamente a guardare i bambini giocare o il via vai dei visitatori.
Ci capitava spesso di vederlo alle elementari. Una volta lo
sorprendemmo a fissarci, uno sguardo penetrante e feroce che ricambiammo come una
sfida. Anche altri dissero la stessa cosa. Aveva un alone di squallore che lo
circondava ovunque andasse e profumava di morte.
A noi bambini era antipaticissimo. Una volta con la banda preparammo una buca piena di merda che
poi mascherammo a dovere, lo aspettammo in agguato e quando arrivò cominciammo
a giocarci intorno. Sapevamo che evitava la nostra vicinanza e così lo facemmo
spostare e guidammo i suoi passi fino
alla buca. Ci cascò dentro e si immerdò dalla testa ai piedi. Tutti i bambini
presenti nell’Aia, erano miliaia, scoppiarono a ridere, un boato che venne
sentito anche in città e l’avvenimento divenne epocale.
Dopo quella volta limitò le sue uscite e lo faceva per lo
più all’imbrunire o di notte. Ci fu un’inchiesta ma la maggior parte dei bambini
non sapeva nulla e l’omertà tra la banda fu totale. I poliziotti ridevano
mentre ci interrogavano.
A volte, mentre giocavamo nell’Aia, sentivamo quello sguardo
e ci guardavamo intorno ma lo spettro non c’era, forse era nascosto dietro le
fontane o da una finestra del castello o tra le tante statue...continuavamo a
giocare poi la cosa ci venne a noia e non ci pensammo più.
Che cosa ci fa Becca al castello?...così diversa dalle
altre, timida, riservata, pudica,
ingenua come una bambina che per la prima volta vede il mondo...una
santarellina, un’acqua cheta, l’apparenza almeno, nell’Aia circolava la voce
che avesse avuto una rivelazione e si fosse convertita ad una nuova ideologia.
Le congetture non servono, la storia è già scritta tra le
righe della leggenda, ci deve essere un motivo per spiegare lo strano
comportamento dei reggenti che assecondano in tutto l’insediamento dei caproni
nella città, un piano preciso, o meglio un piano nel piano dove compaiono
burattinai che burattinano venendo burattinati.
La favola di Barbablù, di Amore e Psiche, di Adamo ed Eva,
le prime che vengono in mente tra tante
danno un’indicazione: non aprire quella stanza, non guardare il mio corpo, non
mangiare quella mela, qualcosa di proibito presente nel castello a cui nessuno
può accedere essendo l’ingresso vietato.
Il motivo è plausibile e possono essercene altri, le
principesse sono modelle di comportamento ed ognuna ha un vasto seguito in
città e nel mondo, ecco quindi la necessità di eliminare una custode e
sostituirla con Becca, senz’altro ci devono essere delle spie e dei sicari
nelle corti delle principesse e di conseguenza un disegno preciso preparato da
tempo fin nei minimi particolari.
Il principe è morto da poco, il castello è senza guida, la
via è libera, perchè non approfittarne? Che cosa c’è dentro di tanto
importante? Probabilmente l’archivio segreto della torre, il codice della
fontana oppure qualche arma micidiale, chi lo sa? Alla morte del principe la
torre viene chiusa per essere riaperta al suo ritorno. Ci deve essere
un’apertura a combinazione, un codice segreto e la chiave è un mistero che solo
lui può svelare. Ogni cosa a suo tempo, adesso Becca sta camminando avanti ed
indietro in un fantastico salone del suo quartiere dove si è da poco stabilita,
sembra impaziente, indecisa, combattuta interiormente, spaesata in mezzo ad un
lusso di una magnificenza indescrivibile, piccole fontanelle luminose sgorgano
da eleganti conchiglie di diamante sparse qua e là illuminando la stanza di
luce fresca e briosa, le finestre dai vetri lavorati riflettono arcobaleni di
sogni, i mobili dai fini ceselli, le pareti d’ambre luccicanti specchiano i
giochi d’acqua e chi più ne ha...
È notte, le custodi sono al quartiere delle bagasce a far
casino, le sue serve a dormire, è sola…la porta della torre è vicina, esce dal
quartiere, un lungo corridoio, cammina
come una sonnambula, adesso la porta della torre è davanti a lei, grande, immensa, legno massiccio duro come
acciaio, non ci sono serrature, non ci sono fessure, spiragli, cerniere, un
corpo unico con la parete, impenetrabile.
Becca l’accarezza, la tasta, la struscia con il corpo, le
parla, la tempesta di pugni, di calci e la porta immobile assorbe i colpi senza
reagire. Rimane qualche attimo pensierosa poi tira fuori dalla tunica un foglio
di carta ed una matita e in pochi minuti disegna la porta ed il muro intorno
con tutti i particolari, i fregi e le decorazioni. Finito il lavoro arrotola il
foglio e lo nasconde in seno. Domani lo consegnerà al precettore, che ci pensi
lui. Si sentono i passi di Becca che rientra in camera da letto poi la finestra
si apre al cielo stellato, una zoomata fino alle stelle che da piccine
diventano grandi e ci si può tuffare dentro…
A quei tempi non pensavamo alla politica, non sapevamo che
cosa fosse ed anche adesso, certe volte, ce lo chiediamo senza trovare
risposta.
Al terzo anno di teatro coi bambini del nostro corso avevamo formato una compagnia su
esempio dei grandi e ci facevamo chiamare “i Tigrotti”, c’erano scenografi,
truccatori, musicisti, attori, regista ed aiuto regista e noi che facevamo un
po’ di tutto oltre a scrivere la commedia che poi rappresentammo nell’Aia
davanti a miliaia di spettatori. Era una trama semplice, descriveva un viaggio
sulla luna passando su un arcobaleno che dal mare risalendo le montagne si
trasformava in una scala ed arrivati alla luna si apriva una porta e dentro
succedeva tutta una serie di avventure tra mostri, castelli e principesse
incantate, dei dimenticati che si
lamentavano della loro eternità, draghi e animali immaginari di ogni tipo,
musiche ed esplosioni e finiva che tutti gli attori mettevano le ali, salivano su un’astronave e partivano per le
stelle dove avremmo continuato a scrivere avventure. Fu un discreto successo
che replicammo per un mese intero, molti
adulti vennero a vederci dalla città, dalle botteghe delle arti e perfino dal
bordello. Seguivano applausi, festeggiamenti e mettemmo su un bel gruzzoletto.
Per noi personalmente invece fu un fiasco, non la commedia
che era davvero divertente, fu un fiasco la vita, ci sentivamo inappagati,
inconclusi. Già a quei tempi avevamo il
dono del confronto e l’immaginazione necessaria per guardare avanti,
confrontammo la storia con le tante che avevamo letto e che ancora dovevamo
leggere e ci vedemmo chini sul foglio a scrivere per tutta la vita mentre a vivere le
avventure erano personaggi immaginati, nulla, che senso aveva, noi volevamo
vivere, conoscere il mondo, viaggiare, essere un personaggio vero in avventure
reali.
Fu la necessità a metterci sulla strada giusta. A quei tempi
la città venne scossa da una lunga serie di incidenti, tutti mortali e nella
quasi totalità le vittime erano bambini dai dieci ai quindici anni e non a
caso. Nel periodo delle elementari tra i bambini si formano numerose bande
organizzate gerarchicamente con un capo ed un gruppetto di suoi amici che fanno da luogotenenti e organizzano le
burle e le feste. Questi capibanda li conoscevo tutti.
Dopo lo scherzo al precettore ci furono numerosi bambini che
volevano lasciare le loro bande per unirsi alla nostra. I capi lo sapevano e la
cosa non gli faceva certo piacere ma nello stesso tempo erano a loro volta
ammirati ed anche un po’ invidiosi. Di allargare la banda non avevamo
intenzione, eravamo già tanti e poca brigata vita beata, cogliemmo però
l’occasione per riunire gli altri capi e con abili stratagemmi formammo una
banda di capibanda dove eravamo tutti alla pari ma tra noi contavano le idee
migliori.
Fu un successo, tutti i bambini capirono ed aderirono tacitamente.
Organizzavamo cacce al tesoro, battaglie e burle colossali, si stava formando
l’ambiente per la futura rivoluzione, tutte le rivoluzioni partono dai bambini.
Acqua passata, adesso a morire erano proprio quei capibanda
con cui avevamo formato la prima tavola rotonda della storia, chi ucciso dal
calcio di un cavallo, chi travolto da una carrozza, chi da una frana di massi
mentre passeggiava in montagna, chi annegato al porto, chi... Incidenti casuali
all’apparenza, non c’erano quasi mai testimoni e quando c’erano erano tutti
concordi nel sostenere la causa della disgrazia.
Nel giorno libero incontravamo quelli della banda in una piazza del porto dove andavamo
spesso a sognare dietro alle navi che partivano, parlavamo di questi fatti e
nessuno sapeva trovare una spiegazione. Uno di loro era entrato nella scuola di
polizia e diceva che anche lì la cosa puzzava ma non sapevano cosa fare, i fatti
parlavano chiaro e indizi per sospettare eventuali assassini non ce n’erano.
D’istinto gli domandammo se la polizia controllava
l’attendibilità dei testimoni e lui rispose che non sapeva ma che avrebbe
chiesto, gli consigliammo di far schedare quei testimoni e di controllare
segretamente le loro mosse e lui ci assicurò che ne avrebbe parlato al suo
superiore.
Era quasi mattino, arrivavamo da una tumultuosa battaglia
amorosa con due ragazzine del teatro quando da lontano vedemmo un incendio
divampare alle finestre della stanza che abitavamo. Arrivammo che era già tutto
finito in tempo per vedere portare via uno dei compagni con cui dividevamo la
stanza morto per le ustioni. L’altro, erano i due con cui iniziammo la banda,
anche lui tutto ustionato, seguiva il feretro piangendo verso l’ambulanza che
aspettava fuori scortato dai vigili del fuoco.
Anche se bruciato e annerito notammo che il morto indossava
un nostro vestito ed aveva al dito l’anello che le bagasce ci regalarono quando
lasciammo il bordello. A pochi passi dall’ambulanza anche il compagno sopravvissuto
cadde a terra. Gli infermieri si affannarono per rianimarlo ma non ci fu nulla
da fare.
Nella confusione nessuno si era accorto di noi, eravamo impiastricciati di rossetto e di trucchi che
le ragazzine ci avevano spalmato sul viso nei loro giochi e ci sorprendemmo ad
ascoltare le voci che ci davano per
morti.
Per un po’ vagammo sotto shock ma ci riprendemmo subito.
Mentre l’oriente si accendeva vedemmo le luci del bordello, all’ingresso erano tutti fuori a guardare gli
ultimi bagliori dell’incendio, entrammo senza farci notare e ci rifugiammo in uno dei nascondigli che usavamo quando
vivevamo lì.
Un piccolo tempio consacrato ad Amore arciere. Su un
supporto scolpito a fuoco e fiamme c’è un bambino ricciuto, le ali aperte, la
faretra sulle spalle piena di frecce, con una mano tiene l’arco con l’altra il
suo considerevole cazzo da cui fuoriesce uno
zampillo di acqua luminosa che scroscia giù dalla montagna e si
raccoglie in una vasca nel pavimento dove nuotano e saltellano eleganti pesciolini
dorati. Ogni arte ha la sua disciplina ed ogni disciplina le sue cerimonie.
Un tempo il tempietto era molto frequentato poi ne sono
stati costruiti altri più sontuosi e questo è passato nel dimenticatoio. Quando
eravamo piccoli e cercavamo un po’ di pace dall’esuberanza festosa e carnale
delle bagasce venivamo qui, l’aria sempre piacevolmente fresca, la musica dello
zampillo che scorreva tra i piccoli canali sciogliendosi in piacevoli armonie e
riflessi iridati, i guizzi dei pesci che accompagnavano e ritmavano il tempo,
la serenità di Amore immobile sul suo piedistallo…gli parlavamo, i crucci, i
desideri, i dolori per le sculacciate che prendevamo di tanto in tanto...Amore
tranquillo continuava la sua pisciata e tutto finiva lì.
Adesso al presente, l’immagine di Amore è sempre al suo
posto e nulla è cambiato a parte l’età e la scena di morte da cui siamo
fuggiti.
I pensieri corrono spinti dall'agitazione, abbiamo fiutato
il pericolo ma è ancora una pura sensazione e non vogliamo soccombere, intanto
Amore piscia tranquillo, i pesciolini guizzano nell’acqua luminosa...passano un
paio d’ore, abbiamo ritrovato la calma, riflettuto, associato i fatti. Un altro
incidente misterioso, altri morti, perché Zappa indossava i miei vestiti? Chi
ha acceso il fuoco? Perchè muoiono solo i capibanda?. Guardiamo Amore e lui
continua la sua eterna pisciata, fa venir voglia, la facciamo nella vasca dei
pesci e poi ci accorgiamo di avere fame.
Durante il giorno, eccetto in festività particolari,
l’ingresso nel quartiere delle bagasce è chiuso. Si preparano gli allestimenti
per le orge notturne, si pulisce, si organizza, si realizzano idee, si cucina,
si spillano botti dei vini più ricercati, si ricevono i fornitori e intanto le
bagasce si riposano. Non dovremmo essere qui, potrebbero punirci, magari
metterci a pelare patate tutto il giorno. Quando eravamo piccoli andavamo
spesso a trovare una bagascia nella sua camera mentre riposava.
È la madre superiore, la capobanda delle bagasce. Una donna
bellissima, statuaria, con un’immensa
chioma leonina biondo sfavillante e due tette enormi con dei capezzoloni…ci
infilavamo nel suo letto poi la stringevamo forte incollando le labbra ad un
capezzolo che ci stava tutto in bocca...spesso aveva il latte ed era delizioso,
altre volte era asciutta ed allora la mordevamo a sangue e poi succhiavamo,
succhiavamo...lei faceva di quegli strilli poi si accorgeva di noi e ci
lasciava fare, sembrava rilassata ma di tanto in tanto sentivamo le unghie dei
suoi piedi e delle sue mani scorrerci per il corpo cariche di elettricità e
certe volte ci accarezzava anche il pisellino. Avevamo tre, quattro anni, che
cosa potevamo capire? La sua camera è vicina, andiamo, male che vada sbucceremo
le patate.
La porta è aperta, entriamo senza far rumore...lei sta
dormendo distesa sul letto tra variopinte lenzuola ricamate di voli di colombe
tra le nuvole e cuscini d’ogni colore, è sempre la stessa, qualche anno in più,
qualche segno sulle cosce e sul ventre...ci avviciniamo e le lecchiamo un
capezzolo piano. Lei apre un occhio poi l’altro, ci vede e li sgrana dalla
sorpresa, si alza di scatto e dice: “Che ci fai qui?... tutti ti credono
morto."
“C’era Zappa al mio posto, non sapevamo dove andare, adesso
se..."
Ci tappa la bocca con una mano poi indossa una vestaglia e
mette un bricco di caffè a scaldare sul fuoco.
"Hai fame?“
“Un po‘.”
“Ti preparo qualcosa, è una fortuna che sei venuto, tutta
l’Agenzia è in allarme.”
“Quale agenzia?”
Lei ci guarda pensierosa e chiede: “Qualcuno ti ha visto
entrare?”
“Nessuno.”
Ci accarezza passando le dita sui segni di rossetto nel
viso.
"Chi ti ha conciato così? Hai fatto il galletto?"
“Che importa?"
Ci spinge in bagno, ci spoglia e ci tuffa nella vasca
lavandoci bene con sapone profumato poi cerca un accappatoio in uno stipo e ci
asciuga. Tornati in camera ci serve il
caffè con latte e brioscine calde.
“Adesso rimani qui tranquillo, ” dice, “devo assentarmi un attimo, non aprire a
nessuno e non far sentire la tua voce, potrebbero riconoscerti.”
“Ma a chi importa?”
“Non scherzare, ne va della tua vita, sei in grave
pericolo.”
“Va bene, aspetteremo.”
La bagascia, si chiama Thema, esce chiudendo la porta a
chiave. Finiamo la colazione poi ci corichiamo sul letto e ci appisoliamo.
Siamo su una barchetta a vela tutta bianca, siamo per modo
di dire, non ci vediamo però vediamo come se ci fossimo, sotto c’è il mare
infinito con tonalità azzurre verdi grigie mescolate in una infinità di
sfumature e sopra il cielo infinito con tonalità azzurre dallo scuro al chiaro
con spruzzi di nuvole che scendono e spruzzi di spuma marina che salgono,
all’infinito, una panoramica senza orizzonte,
l’immagine pulsa dentro un fotogramma, si vede uno spazio circoscritto
con la barchetta bianca e subito dopo l’infinito senza orizzonti con la
barchetta in mezzo, piccina piccina, un puntolino, di nuovo lo spazio
circoscritto e poi l’infinito, le immagini si succedono all’infinito…di fronte
c’è uno scoglio, rocce aguzze incollate una sopra l’altra con le onde del mare che
gli si frangono contro, cerchiamo di
aggirarlo ma se proviamo ad andare a destra il vento soffia da sinistra e ci
spinge indietro e se proviamo ad andare a sinistra il vento soffia da destra.
Sentiamo l’impulso di gridare: “All‘arrembaggio!" e distruggere lo scoglio
poi vediamo che siamo soli e allora prendiamo lo scoglio che è diventato
piccino e lo scagliamo lontano e continuiamo in direzione dello scoglio mentre
le immagini continuano a succedersi finito e infinito...
Il rumore di una
porta che sbatte ci sveglia.
È tornata Thema con
un tipo vestito da facchino, il berretto tirato sugli occhi, con due grosse
valigie.
“Chi hai portato?” le domando, “avevi detto che doveva essere un segreto, ”
Thema fa un cenno con il dito premendolo al naso in verticale
poi indica i muri e quindi un suo orecchio.
Il facchino ha posato le valigie e si è avvicinato levandosi
il berretto. È un uomo sui trentacinque anni, ha il portamento eretto e la
testa alta, snello eppure solido e muscoloso, un viso bellissimo, femmineo con
occhi nerissimi ed i capelli lisci e corti altrettanto neri. Per un minuto che
sembra non finire mai restiamo a fissarci negli occhi con un punto
interrogativo in mezzo che rimbalza da una parte all’altra.
Tutta la sua figura emana una forza straordinaria ed anche
una ferocia, come dire...la ferocia micidiale, ferina, letale di una tigre.
Thema ha mosso una leva e da una piccola fontana in un
angolo della stanza inizia a sgorgare una cascatella d’acqua che mette in
movimento un carillon che diffonde nell’aria una musichetta allegra.
Il facchino ci fa cenno di parlare piano e dice: “Sei tu che
hai suggerito a Picchio di far controllare i testimoni?"
“Chi sei?“
“Un amico…forse. Rispondi alla domanda.“
“Se ci pare…l’altro giorno, ora ricordo, sì.”
"Perchè?”
“Ovvio...se fossi un assassino e ammazzassi la gente
cercando di far apparire i delitti come incidenti non lascerei certo in giro
dei testimoni, quindi se ci sono testimoni…sei della polizia? Che ci fai
vestito così?”
L’uomo ci guarda sempre fisso e un leggero sorriso gli illumina gli occhi.
“Chi ti ha insegnato queste cose?”
“Nessuno, è come fare due più due, è facile.”
“Forse per te... credi che siamo degli stupidi? questa notte
l’hai scampata per un pelo, l’attentato era destinato a te.”
“Questo l’avevo già capito, sono morti Secchio e
Zappa...Zappa indossava i miei vestiti e l’anello.”
“Sì, in tua assenza si divertiva ad imitarti, era il suo
passatempo preferito.“
“Che sciocco...come fai a saperlo?”
"Credi che gli uomini non sappiano amare?...sono mesi
che vi teniamo sotto controllo, sapevamo che eri con le ninfette, i miei uomini
ti han seguito tutta la notte e poi ti han perso di vista...ti stavano cercando
dappertutto e non è facile muoversi di questi tempi.”
“Ci controllavate?...e non avete fatto nulla per salvare
Zappa e Secchio. Secchio è morto dopo, non sembrava ferito.”
L’uomo ci guarda con un espressione serissima e in un
sussurro dice: “È stata una fortuna per te, non ci pensare.”
Facciamo per ribattere ma l’uomo ci tronca la parola ribattendo:
“Una fortuna, adesso ti credono morto e
guarderanno altrove, tu però devi partire subito, immediatamente, c’è una nave
che ti aspetta al porto.”
“Quanta fretta, che cosa sta succedendo?”
“Non posso dire nulla.”
“Chi credi di essere, babbuino scodato?...non farò un passo
senza sapere.”
L’uomo rimane un attimo in silenzio guardandoci con stupore
poi si rivolge a Thema e dice: “Lo hai sentito?...babbuino scodato mi ha
chiamato…”
Thema ride e
risponde: “Di che ti sorprendi? Te l’avevo detto che è terribile, sapessi quel
che mi faceva quando era piccolo…”
“L’uomo torna a rivolgersi a noi e continua: “Va bene, ma
non qui, parleremo strada facendo, non c’è un attimo da perdere. Prenderai il
posto del ragazzo che mi ha accompagnato, nessuno si accorgerà di niente.”
Apre una valigia ed estrae un’uniforme simile alla sua, ce
la porge dicendo: “Indossa questa.”
Finito di vestirci ci calca sulla testa un berretto e ci
infila un paio di occhiali con le lenti affumicate. Si allontana di qualche
passo per osservare l’opera e commenta: “Perfetto, un facchino nato, non ti
riconoscerà nessuno, andiamo!”
“Prima di uscire Thema ci abbraccia e dice: "Mi
raccomando con tutte le ragazzine che incontrerai, tieni a posto il galletto…”
“Uffa…” La baciamo
morsicandole un capezzolo senza pietà e seguiamo l’uomo fuori dal bordello.
C'è un bel mattino inoltrato con il sole, qualche nuvoletta
dalle forme bizzarre accodate come se fosse da poco passata una locomotiva a
vapore, un venticello che agita le foglie verde argentate del parco. Nell’Aia
poco movimento, i bambini a quest’ora sono a scuola, le fontane zampillano
giochi d’acqua come ballerine in continui volteggi e l’aria è satura dei loro
gorgoglii, nel quartiere del teatro il palazzo degli alloggiamenti con una
finestra annerita dal fumo.
“Come è successo?" domandiamo all’uomo che cammina
davanti spingendo un carretto carico di pacchi.
“I particolari non li conosciamo ancora…i sicari dovevano
essere nascosti dentro, hanno tramortito
Zappo scambiandolo per te e poi hanno appiccato il fuoco. Il resto lo sai.”
Percorriamo velocemente il tragitto fino alle botteghe
galleggianti, le passiamo e saliamo su una carrozza con le insegne dei
trasporti che parte subito verso il porto.
“Perchè devo fidarmi di te?” gli chiedo.
“Non hai scelta.“ Risponde lui.
Alziamo una spalla per noncuranza guardando fuori dal finestrino la cittadella
dell’Arte allontanarsi sempre più. Chissà se la vedremo ancora.
“Non ti sei ancora presentato.”
“Babbuino scodato, per servirti…” risponde lui piccato.
“Uffa, quante storie, m’è scappato.”
"Già, cose che capitano...il fatto è che c’era un altro
che mi chiamava così quando ero bambino ed il sentirlo dire da
te...possibile?...comunque mi chiamo Ernesto.”
Ci stringiamo la mano e continuo: “Nell’Aia tutti mi
chiamano Bastardo, è il mio nome di battaglia, anche per certi scherzetti…”
Ernesto ride…“Qualche cosa è trapelato.”
“Non sembri un facchino, chi sei veramente?”
“Saresti capace di mantenere un segreto anche sotto
tortura?”
“Dipende... quanto è grosso questo segreto?”
“Sei acuto per avere solo tredici anni... ti sei accorto
delle cose successe da quando sono
arrivati i caproni?”
“Non credo siano loro gli autori dei delitti, se entrassero
in città si riconoscerebbero subito, ci deve essere per forza qualcuno dei
nostri che si è venduto, i reggenti ad esempio.”
“Sai già tutto!” esclama lui meravigliato.
“Non so perchè non li fermate se lo sapete anche voi.”
“È vero, così è. Ci
sono stati molti morti anche in città, tra i politici e gli esponenti più
importanti delle corporazioni e sono stati tutti sostituiti da elementi
sospetti. Stanno cambiando i vertici ed eliminano i probabili."
"E voi li lasciate fare?”
“Sì, questo è l’ordine, fare nulla.”
“Fare nulla? Chi ha
dato questo ordine?”
“Il principe prima di
morire. Aveva previsto tutto, anche la sua morte e le modalità del suo ritorno.
Far nulla ci disse.”
“Far nulla...anche i reggenti? Siete tutti d’accordo?”
“Ernesto, sarà poi il suo vero nome? ci guarda con occhi che ardono ed esclama: “Io sono un
reggente! L’altro ci sta aspettando sulla nave. Quelli al palazzo sono falsi.”
“Non capisco…”
“II principe ha voluto così, è lui che li ha scelti, è lui
che ha fatto tutto. Dovremmo essere noi al loro posto invece ci ha tenuti nell'ombra
assicurandoci una copertura insospettabile insieme a pochi fedelissimi deviati
dai servizi segreti. Aveva previsto tutto, l’arrivo dei caproni, Becca, le
morti... Ci disse che è una guerra che va avanti da miliaia di anni, vita dopo
vita, una guerra spietata e eravamo arrivati al finale. Fare nulla, solo tenere
d’occhio i loro movimenti ed al momento opportuno raccogliere i probabili e
mandarli in Giappone. Dove e a fare cosa non lo disse ma Arko lo sa.”
“Chi è Arko e chi sono i probabili?”
“Arko è il principe di quella terra...almeno lo era, adesso si è ritirato e vive come un
eremita dentro un vulcano. Da bambini il nostro principe e Arko passarono molto
tempo insieme sia qui che laggiù, poi presa la carica continuarono a vedersi
qua e là per il mondo durante i loro viaggi. Quel che devi fare a noi non l’ha
detto…e per quel che riguarda i probabili lo devi capire da te, non è cosa che
si può spiegare.”
“Come fare due più due…” rispondiamo eccitati dall’idea di
andare a vivere dentro un vulcano.”
Al finestrino si stanno profilando i contorni dell’immensa
statua di Amore alato con la fiaccola del faro che sovrasta il porto. L’aria
profuma di iodio ed è satura di riflessi marini, la musica delle onde, i
richiami dei marinai, le campane delle navi, i fischi, il cigolare degli
argani, le grida dei gabbiani dal silenzio si fan sempre più chiare, siamo al
porto.
Il tempo si è fermato, le lancette han raggiunto l’ora zero
e sta per iniziare un nuovo giro.
I primi secondi senza pensare a nulla: “Le due ragazze che
erano con me questa notte...loro lo sanno che sono vivo.”
“Ernesto sbuffa: “Le abbiamo trasferite dalle bagasce,
penserà Thema a loro.”
“Buona idea. Come attrici valevano poco, come bagasce
avranno più fortuna...sto cominciando a capire, i probabili sono i candidati
della cerca?“
“Che cosa sai della cerca?”
“Quello che san tutti: il principe prima di morire nasconde
la sua spada e lascia degli indizi per ritrovarla dopo la rinascita. Da bambini
era il nostro gioco preferito, la cercavamo dappertutto. Tu l’hai vista?”
“Sì, il principe la portava sempre con sé, non è solo una
spada, è molto di più.”
“Com’è fatta?”
“Vuoi sapere troppo. Cercala e se la troverai lo vedrai da
te…adesso basta con le domande, siamo arrivati. Fingeremo di portare dei pacchi
sulla nave e tu resterai a bordo. Il capitano è già stato avvisato.”
“Chi è?”
“Ti piacerà...era uno dei preferiti del principe quand’era
bambino. È un famoso pirata e viaggia in incognito sotto le insegne di una
compagnia teatrale itinerante.”
“Sono quelli che hanno rappresentato quel buffo spettacolo
con gli aquiloni l’altra notte nell’Aia?”
“Sì, Drago è un maestro con gli aquiloni, ne ha di tutte le
misure. Sarà lui a portarti in Giappone. Un’ultima cosa, se riuscirai ad
arrivare da Arko non stupirti di nulla. Ha dovuto prolungare il termine della
sua vita per incontrarti e sarà certamente intrattabile. Una volta sbarcato
Drago ti accompagnerà al vulcano dove vive,
l’accesso del rifugio non lo conosce nessuno e dovrai cercarlo da solo.
Sulla nave troverai tutte le informazioni che ti occorrono.”
“Dove sono gli altri probabili?”
“Sono tutti morti, sei rimasto solo tu...ed anche questo il
principe aveva previsto.”
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