2 Dialogo tra Nome e Forma
(alta teologia)
Somaro: “Ih ahaaahahaahah huu ihihih ahaahahaahah... "
Bue: “Muuuuh…boooooh…muuuuh…”
Il bue ed il somaro sono rispettivamente alla destra ed alla
sinistra della mangiatoia, siccome destra e sinistra sono relativi al punto di
vista e non sapendo più dove ci troviamo non possiamo precisare.
La greppia è quasi vuota ma il bue ed il somaro sono grassi
segno che hanno mangiato e stanno rimasticando pigramente il loro cibo.
Somaro: “Ih ahaahah, che sbafata…peccato non ci fossero le
carrube.”
Bue: “buuooooh... dagli con ste carrube, non sei mai
contento.”
Som: "non sono mica un bue come te che basta aver la
pancia piena e ci si è tolti la pena... sono un tipo ricercato io…”
Bue: “Ricercato dalle bastonate, quello sì…boooooh, hai
sentito la storia, il Bastardo parte per il Giappone, chissà perchè l’autore lo
manda fin laggiù, all’altro capo del mondo?”
Som: "Secondo me non lo sa neanche lui ma ormai è
lanciato e non si può più tirare indietro. Comunque deve aver capito che la
società prediluviana doveva essere tutto il contrario di quella attuale
imperniata sulla pietà e sul traffico di carne umana avariata. Scrive che il principe
decide l’ora della sua morte e che Arko la rimanda per incontrare il probabile.
Esempi tramandati da confrontare ce ne sono pochi, forse il Giappone. Certo a quei tempi non si
chiamava così e doveva essere completamente diverso, probabilmente unito al continente, comunque i
vulcani non mancavano e doveva essere un gran bel posto. Fino a pochi secoli fa
i giapponesi praticavano il suicidio rituale e questo devono averlo ereditato dai tempi prima del
diluvio, come si spiegherebbe altrimenti?... quella società non conosceva la
vecchiaia, la vita non doveva superare i
cinquant’anni ed a ragione, perchè diventare vecchi quando si può rinascere
belli nuovi? Il credo della rinascita, il suicidio rituale, il quartiere delle
geishe di Kioto ed il palazzo sembrano una copia tramandata della prima
città."
Bue: “Boooooh... vorresti dire che a quei tempi arrivavano a
cinquant’anni e poi si suicidavano?”
Som: "Qualcosa del genere... ho dato una sbirciatina
negli appunti dell’autore ed ho trovato accenni alla praxi marxista della
rivoluzione di classe confrontati con la locuzione del ricambio generazionale,
seguiva un due più due uguale...
I bambini che si formavano nell’Aia si disponevano in una
gerarchia dove erano presenti in embrione tutti gli aspetti della società
futura, lavoro, arte e amministrazione, diventati adulti si mettevano contro i
vecchi e attraverso una rivoluzione prendevano il loro posto. A differenza di
Marx dove il ricambio avviene tra la classe dominante e la classe dominata lì
era tra allievi e maestri con gli allievi che superavano i maestri prendendone
il posto e rinnovando la società.”
Bue: “Interessante...che succedeva ai maestri superati?”
Som: “Ihih ahahah... l’autore fa il confronto con gli
anticorpi prodotti dall’organismo umano. Quando
diventano vecchi vengono attaccati dai giovani e fagocitati come se
fossero diventati agenti di una malattia, è il sistema naturale degli animali
per rinnovare le difese immunitarie. Quel che succedeva veramente l’autore non
lo sa ma il risultato era quello. I maestri spodestati morivano per rinascere
alla prossima rivoluzione. Ih ahaaaahaaaah?"
Bue: “booooh...una legge sociale naturale che si ripete a
tutti i livelli biologici, interessante... ma così, uccidendo i capibanda la
rivoluzione veniva bloccata.”
Som: "Però, sei arguto per essere un bue... è vero,
uccidendo i capibanda la nuova generazione perde i suoi riferimenti naturali,
le guide alla praxi. L’autore sa quello che scrive, per saperlo anche noi e
capire perchè il vecchio principe prima di morire ha ordinato di far niente e
lasciare che le cose andassero così bisognerebbe salire di qualche centinaio di
miliaia di chilometri e vedere il pianeta, il mondo di allora, nel suo
universale.”
Bue: “Booooh muuuu... questo lo so, me l’ha detto proprio
ieri l’uccellino mentre mi beccava le zecche ed i tafani che si erano incollati
al groppone, tu lo sai che gli uccellini non mentono... bisogna guardare la
storia dall’inizio, le prime migrazioni dalla Città, la società si sdoppiava e
sciamava come fanno api e formiche o
come facevano gli antichi greci quando partivano per fondare colonie in Asia ed in Europa. Si formavano
gruppi dove era presente un capo di riferimento, rappresentanti delle botteghe, delle
corporazioni e dei cittadini, caricavano
tutto il necessario su una nave e partivano verso una nuova terra da abitare.
Il capo della sciamata prendeva con sè un getto della fontana da piantare una
volta arrivati e così si formavano altrettante città ad esempio della prima.
Queste città continuavano il movimento ed ognuna produceva nuove sciamature che
a loro volta producevano…
È probabile che ci fosse un disegno e che queste migrazioni
non avvenissero a caso. Nei suoi appunti e dall’osservazione dei movimenti del
canone che è formato da dodici semitoni musicali l’autore vede dodici città
principali, le prime, le più antiche, intorno alle quali si sviluppano le altre
formando così dodici stati o popoli che si dividono il mondo.”
Som: “Ih ahhhhaah... doveva essere quel mondo chiamato
Atlantide che Platone scrive in non ricordo più quale libro e che venne poi
distrutto da un immane cataclisma.”
Bue: “Boooooh?...non sapevo che i somari leggessero
Platone...comunque qualcosa del genere, la leggenda si è tramandata fino a noi
quindi qualcosa di vero dev’esserci. L‘uccellino che vive in casa dell’autore e
sa tutto quel che gli passa per la mente dice che le prime colonie utilizzavano
ominidi locali catturati nella giungla per i loro lavori e che questi ominidi
in certe zone erano scuri di pelle, in altri avevano gli occhi a mandorla e
cosi via. I primi ominidi asserviti dopo un certo tempo si civilizzarono e si
fusero con i coloni dando così forma a dodici razze diverse bianche e nere con le differenze somatiche che esistono
tuttora. In sintesi furono le immagini della fontana e la ricerca dell’arte ad
elaborare la forma che evolse la specie umana dai primitivi babbuini scodati,
ma questo è un tema già trattato, quel che interessa ora è vedere come le
migrazioni con il tempo abbiano completamente saturato lo spazio. È la fine di un’epoca.
Il progresso viene
bloccato, le città continuano e produrre un surplus di energia umana che non
può più migrare, quest’energia rimarrà compressa nelle città causando problemi
demografici insostenibili per l’ordine pubblico ed è proprio quello che sta
avvenendo.”
Som: “lh ahhhahhah...bravo bue, l’hai azzeccata in pieno, a
quei tempi...i nostri tempi...il principe prima di rinascere, ihh
ahhaaahah!…doveva aver calcolato queste cose per ordinare ai suoi reggenti di
far nulla per fermare l’insediamento dei caproni.”
Bue: “Boooooh?...doveva avere un piano ma questo lasciamolo
raccontare all’autore.”
Som: “L’uccellino che altro ti ha detto?"
Bue: “L’autore è certo che a quei tempi esistesse un’evoluta
forma di tecnologia ma non riesce a vedere quale non avendo riferimenti per
calcolare le probabilità se non qualche favola tramandata come le leggendarie
navi dei Feaci che riportarono Odisseo ad Itaca e quindi vuole usare la fantasia e sbizzarrirsi
a modo suo.”
Som: “Bene, sono curioso di vedere come, ih
ahhhaaahhaaahahah.”
In quel momento non si sa se dalla porta sud o dalla porta
nord entra il solito bambino ricciuto con la frusta, guarda le due bestie
accovacciate ai lati della mangiatoia, la destra e la sinistra relative, le porte,
alza il frustino, lo fa vibrare nell’aria con qualche schiocco sfiorando i
lombi del bue e del somaro quindi riempie la mangiatoia, la vasca dell’acqua e
se ne va uscendo da una porta, non si sa quale anche perchè che importanza ha?
Rimasti soli il bue ed il somaro tirano un sospiro di
sollievo e tra loro concludono:
Som: “Questa volta l’abbiamo scampata bella, niente
frustate, che cosa sarà mai successo?”
Bue: “Boooooooh?”
Rabbi.
Corvaccio, spettro, caprone, il precettore di Becca un nome
doveva pur averlo ma nessuno lo conosceva. Quando lo facemmo cadere nella fossa
di merda dovettero intervenire le guardie del palazzo per tirarlo fuori. Era
furioso, sbavava in preda alle convulsioni, urlava ed agitava i pugni verso di
noi maledicendoci con la bocca che schizzava sangue. Tutti i bambini dell’Aia
si tenevano la pancia dal gran ridere, quelli della banda che avevano
partecipato all'azione si erano truccati coi colori di guerra e le penne per non essere riconosciuti e dopo il
misfatto erano corsi a nascondersi in mezzo al mucchio ed erano quelli che
ridevano più forte, avevamo calcolato tutto a puntino e non sapevamo di avergli
dato un segno in piccolo di quel che sarebbe poi successo in grande.
Da quel giorno cominciammo a chiamarlo Rabbioso che dopo
qualche tempo venne diminuito in Rabbi e Rabbi cominciarono a chiamarlo anche
nelle botteghe ed in città. Il nome gli stava a pennello.
Il mattino dopo che Becca aveva preso i disegni della Porta,
di buon ora, Rabbi esce dal palazzo del reggente imbacuccato e incappucciato
come al solito scortato da due uomini della guardia. Fuori dal giro delle botteghe trovano una grossa carrozza nera ad
aspettarli nel piazzale d’ingresso alla città seminascosta dall’ombra di
immensi platani.
Rabbi vi sale a bordo e dentro ci sono quattro uomini che al
suo ingresso si alzano in piedi e lo salutano inchinandosi per baciargli il
grosso anello che porta al dito medio della mano sinistra. Tre sono caproni del
ghetto con le casacche nuove ornate con
fiocchi viola sul petto, l’altro uno della città con il viso annerito dal
carbone, irriconoscibile.
Per un po’ parlottano sottovoce tenendo le teste chine
vicine tra loro, poi uno dei caproni gli consegna un voluminoso sacchetto e dei
fogli arrotolati legati con un cordino.
Rabbi, con l’aria compiaciuta, soppesa il sacco e poi se lo
mette sulle ginocchia posandoci sopra le mani con fare adunco, dà delle
istruzioni ai tre, altre al carbonaro quindi
esce dalla carrozza e scortato dalla guardia, col sacco nascosto nella
tonaca, ritorna al palazzo.
Giunto nella sua stanza si chiude dentro a chiave facendo
girare tutti gli scatti, serra le finestre con gli scuri calando le tende,
accende una luce sul tavolo e ci rovescia sopra il contenuto del sacco:
centinaia di bei gettoni d’oro, la moneta della Città, che cadono
sparpagliandosi sul tavolo con una piacevole musichetta di tintinnii.
Rabbi, con gli occhi accesi di cupidigia, si siede, appoggia
la testa sulle monete, per un po’ se le fa scorrere sui capelli raccogliendole a manciate poi inizia a
contarle formando pile da dieci, disfa le pile e le riconta altre tre volte, le
rimette nel sacco con delicatezza quindi legge i fogli ricevuti nella carrozza,
annuisce col capo e li nasconde in un cassetto.
Si alza, raggiunge un
armadio ad un angolo della stanza e preme un bottone invisibile nascosto dietro
ad un piede del mobile. L’armadio ruota spostandosi e lascia scoperta una
botola di ferro sul pavimento. Rabbi infila una lunga chiave sottile in un
minuscolo foro ad un angolo della botola, la gira un po’ verso destra ed un po’
verso sinistra per più volte, si sente un tac! secco e subito dopo la botola si
apre. Nell’interno c’è una spaziosa cavità piena zeppa di sacchi simili a quello
che ora sta deponendo. Resta qualche minuto a guardarli, gli manda baci, schiocchi affettuosi e brusii con le
labbra, li accarezza ed infine con un
sospiro da innamorato richiude la botola e fa girare l’armadio al suo posto.
Ritorna a sedersi al tavolo, lo tamburella con le dita, si
versa un liquorino e lo beve sorseggiandolo piano piano, finalmente si accorge
che ci sono dei fogli in una cartellina che sporge da un cassetto. Li prende ed
alla prima occhiata la sua espressione cambia e si fa attenta e interessata.
Sono gli schizzi della Porta fatti da Becca. Per il resto
della mattina li studia misurandoli accuratamente con riga e compasso, a
mezzogiorno, la campana del castello aveva appena scoccato l’ora, li ripone in
un cassetto sotto una pila di altri fogli, chiude a chiave e si dirige verso la
sala da pranzo.
Una notte, ora fonda, nel castello son tutti a dormire,
Becca e Rabbi camminano furtivamente nel corridoio che porta alla Porta.
Rabbi si è vestito da donna con una fluente capigliatura
nera che gli copre parte del viso e Becca lo segue col viso stanco e
imbronciato, quasi di malavoglia. Sono diverse notti che provano senza successo
di aprirla ma questa è proprio la notte
che...Rabbi ha portato uno scalpellino sottile ed un martello foderato di
stoffa per non far rumore. Prima prova ancora con un lungo spillone a pungerla qua e là senza ottenere nulla poi si
china e con lo scalpello, a piccoli colpi di martello, cerca di scalfire
l’angolo in basso a destra dove la Porta si congiunge col muro. I colpi battono
ovattati dalla fodera di stoffa, spazientito dà un colpo più forte e
improvvisamente la Porta inizia a vibrare, da piano a sempre più forte, Rabbi
si alza sollevando le braccia in un impeto di gioia...dura poco.
La vibrazione si
trasforma in un sibilo acuto, una sirena che inizia ad urlare furiosa,
la campana della torre prende a battere all’impazzata e la Porta si scalda,
diventa rovente, incandescente, di fuoco e dal fuoco traspare prima la testa di
un caprone, una figura malefica, diabolica e subito dopo si aprono due fauci
irte di denti aguzzi che inghiottono il caprone e tra le fiamme appare la testa
ruggente di una tigre che si scaglia contro Rabbi.
È solo un effetto ottico, Rabbi rimane paralizzato dal
terrore ed intanto la sirena urla sempre più forte e la campana ha già
svegliato il castello e tutta la città.
Becca non ha perso la calma, afferra Rabbi per un lembo
della tunica e lo trascina correndo verso le sue camere, riescono ad entrare
appena in tempo, da tutte le parti si sentono i passi di gente che accorre.
Dopo qualche ora la porta si spense e rimase inalterata come
se non fosse successo nulla ma per molti giorni Rabbi continuò a vedere il
ghigno beffardo della tigre che lo fissava dopo aver ingoiato il caprone e tra sé
continuava a ripetere: “Possibile?...che sapesse?...lo aveva previsto?”
Il fatto fece molto scalpore in città, ci furono numerose
inchieste naturalmente inutili, infine i reggenti misero tutto a tacere parlando
di un incidente dovuto ad una leggera
scossa di terremoto che nessuno aveva sentito...
Ricordiamo ancora quella notte, era la settimana prima che
lasciassimo il bordello per essere portati all’Aia, avevamo appena compiuto
cinque anni e festeggiavamo con una bagascia che aveva il turno di riposo.
Eravamo a letto e le stavamo succhiando una tetta, il suo latte era un
nettare...
La
bestia nera
Si può dire: “Intanto il tempo passa e passava anche
all’ora, ” infatti sono trascorsi dieci anni dallo sbarco dei caproni nella nostra
città. Eravamo da poco entrati nella scuola di teatro e le notizie da fuori
giungevano come da un altro mondo.
Se ne sentiva parlare, voci che riferivano quel che altri
avevano detto che a loro volta... eravamo lontani ed a nessuno importava
niente.
Dopo dieci anni erano diventati davvero tanti, tra gli
arrivi che si succedevano continui ed i figli che le loro donne sfornavano ad
un ritmo impressionante il loro numero era centuplicato e nel ghetto che si
erano costruiti fuori dalla città non ci stavano più. Fu allora che
cominciarono ad entrare, dapprima erano mendicanti, storpi, sciancati, donne
con bambini pieni di rogne e parti del corpo mutilate, cose da far ribrezzo ai
morti, si trascinavano nei punti più frequentati e chiedevano l’elemosina. Poi
fu la volta del bordello. Un consorzio anonimo comperò un vecchio palazzo che
stava per essere demolito, lo ristrutturò e lo adibì a casa di piacere
riempendolo con le giovani donne cacciate dal ghetto, le più bellocce, le più
indocili...come dire? la loro evoluzione era ancora ad uno stadio primitivo e
più che a donne assomigliavano a scimmie, pelose, sgraziate, la pelle scura e
ruvida eppure avevano una luce negli occhi, un odore di selvatico, un profumo
di novità che avevano successo. Offrivano un sesso stracciato, senza cerimonie
e convenevoli, spiccio e tanti ci andavano.
C’è da dire che la
Città, per usare un termine caro a Nietzsche, stava passando un periodo
di "decadance", una noia esistenziale conseguenza di miliaia di anni
di benessere senza limiti e tutto quel che era contrario ai consolidati costumi
veniva subito accolto con entusiasmo.
C’è un’altra cosa da dire. In città si stava formano un
movimento di opinione che vedeva con simpatia lo strano modo di vivere dei
caproni. Erano quei che a Firenze, prima di diventarlo tutti, chiamavano
bischeri, si usava anche allora… Impiegati, operai, semplici bottegai e le
donne non abbastanza carine per partecipare alla grande alle feste ed alle orge
delle nostre celebrazioni cominciavano a prestare orecchio alle notizie che
riferivano i contadini che commerciavano coi caproni ed alle sfigate piaceva il
comportamento di Becca, umile casta sobria proprio come loro erano costrette a
vivere. I contadini raccontavano che i caproni avevano un sistema economico completamente
diverso dal nostro dove i soldi è obbligatorio spenderli, loro risparmiavano e
li davano in custodia ad un banchiere che versava una percentuale mensile sull’ammontare
dell’importo. Inoltre a differenza dei nostri usi dove gli accoppiamenti sono
liberi e possono essere anche plurimi i caproni potevano avere una donna sola
che doveva essere umile e sottomessa e non andare con altri uomini.
Mentre la parte gaudente della Città se la rideva di simili
usanze i bischeri e le sfigate che prima non avevano altri riferimenti e
partecipavano alla vita festaiola standone ai margini ora venivano a contatto
con un modo di vivere che in un certo senso era già il loro e incominciarono a
corrompersi. Come conseguenza gli uomini si fecero crescere la barbetta e le
donne adottarono la moda castigata delle caprone.
Poi c’era il problema dei villaggi di ominidi che lavoravano
nelle campagne. I missionari del ghetto erano riusciti ad organizzarli e
gli avevano insegnato la loro lingua e
la loro buffissima religione. Parla di un dio poco preveggente che aveva
plasmato il primo uomo dal fango e di altre stronzate che adesso non vale la
pena menzionare. Tutti gli ominidi vi aderirono ed i missionari costruirono
delle rustiche chiese dove solo i maschi erano ammessi mentre le donne che
sempre per la loro religione dovevano scontare una pena da cui non avrebbero
potuto mai redimersi stavano fuori e per tutta la durata delle cerimonie
dovevano battersi il petto e gemere di vergogna. I missionari organizzarono
tutto a puntino, fecero anche venire dei preti dal ghetto per celebrare le
funzioni, preti con la tonaca nera e le basette lunghe che ciondolavano sotto i
cappelli come orecchie di capra.
I contadini non vedevano di buon occhio queste cose ed
all’inizio cercarono di opporsi ma poi, visto che gli ominidi continuavano a
lavorare e che non solo lavoravano meglio e di più ma erano anche più
tranquilli, lasciarono fare.
Nei tre anni che seguirono prima della nostra partenza le
cose si evolvettero a suon di iperbole. Per contenere i nuovi arrivi e le
nascite i caproni costruirono un altro ghetto attaccato al loro ed in breve
tempo si formò una città satellite cinta da mura e divisa da un muro quasi a
somiglianza della nostra che è invece divisa da un fiume attraversato da numerosi
ponti.
Bischeri e sfigate formarono un partito che sosteneva
apertamente Rabbi, avevano eletto dei
loro rappresentanti al governo e spesso sfilavano in corteo formando lunghe
processioni che seguivano l’insegna di un caprone nero inchiodato ad una croce
che nella loro religione è il simbolo del male. A queste processioni spesso
seguivano zuffe con morti e feriti, negozi saccheggiati, monumenti ed opere d’arte distrutte, i morti
venivano considerati martiri e ricordati nelle preghiere.
Naturalmente, per quanto sfigate, le donne della Città che
aderirono al partito non vollero saperne di restar fuori dalle chiese a gemere
di vergogna, un conto le caprone che non conoscevano altra vita ma loro...si
formò così una religione riformata dove le donne erano ammesse alle cerimonie
ma dovevano essere vestite sobriamente con i capelli coperti da un velo.
La riforma valeva solo per la Città, nel ghetto le cerimonie
continuarono nel solito modo, non riconoscevano i riformati, li ricoprivano di
anatemi e li consideravano blasfemi, inoltre maledissero le donne fuggite che avevano formato il bordello
bandendole da ogni loro consorzio.
Dulcis in fundo i bischeri cominciarono a risparmiare.
Spendevano lo stretto necessario, non partecipavano alle feste cittadine e si
dedicavano esclusivamente al lavoro ed al loro passatempo preferito, la cura
degli orti e dei giardini che circondavano le loro case. Inizialmente i soldi
risparmiati li nascondevano sotto il materasso mentre i politici del loro
partito brigavano per ottenere cambiamenti della legge che obbligava a
spenderli. Chissà come improvvisamente la Città venne invasa dai ladri, è
incredibile il numero dei bischeri che lamentavano il furto dei propri
risparmi. Accusavano i cittadini che non appartenevano al loro partito,
soprattutto i giovani dell‘Aia, ci furono proteste a non finire, cortei,
incidenti e molti, per paura dei ladri,
iniziarono ad affidare i loro soldi a novelli banchieri che sapevano immanicati
con Rabbi. Questi banchieri prendevano i soldi, li restituivano prontamente in
caso di richiesta e pagavano gli interessi che solitamente andavano ad
aggiungersi alle somme depositate.
Siccome non c’era una zecca che stampasse a vuoto ed i soldi
che circolavano quelli erano e quelli dovevano essere, il denaro in città
cominciò a scarseggiare e questo causò un calo del lavoro ed un aumento dei
prezzi e del malcontento, altri cortei questa volta contro i caproni ed il
partito dei riformati e giù botte e bastonate...la città dell’Amore si stava
trasformando nella città dell’odio avviandosi spedita alla rovina.
Nella cittadella dell’arte i disordini non entravano.
Seguendo la tradizione le giostre giravano, gli artisti creavano, le bagasce
amavano...anche adesso mentre saliamo in incognito sulla nave che ci porterà
all’altro capo del mondo.
La nave.
Com’erano le navi prima del diluvio? Un bel problema, se
chiedessimo al bue quello di sicuro risponderebbe: “boooooh?” ed a ragione
perchè come si fa?… Confronti con la mitologia ce ne sono pochi, le navi dei
Feaci che volavano sopra le nuvole, il carro del sole che precipitò Fetonte nel
Po, ogni dio aveva un carro volante trainato da destrieri o da altri animali,
carro sta a carica, la forma di una nave dipende dalla propulsione, la
navicella dell’ingegno di Dante, l’Olandese volante, i mostri ed i draghi che
popolavano i mari nelle leggende medievali, il vascello fantasma…proviamo a
tirar fuori qualcosa.
Il porto della Città è immenso, diviso in settori,
commerciale, passeggeri, turismo,
privato, navi di tutte le dimensioni e forme a perdita d’occhio
allineate alle banchine, sottili e affusolate, aerodinamiche, grandi da miliaia
di tonnellate di carico, navi che partono e arrivano ad ogni momento, vele
multicolori, bandiere di tutte le nazioni che sventolano gaie, gru, antenne,
sirene, lavoro febbrile ventiquattro ore al giorno, passeggeri che salgono e
scendono al ritmo delle onde del mare, c’è da perdersi.
Al centro della baia che lo contiene si erge la gigantesca
statua di Amore con la luce del faro sempre accesa, di notte e di giorno, un
immenso fuoco visibile a centinaia di chilometri nel sereno e nella tempesta,
il centro del mondo.
Vestiti da facchino, carichi di pacchi, seguiamo Ernesto tra
la folla che anima la banchina.
Il campanile della capitaneria sta suonando mezzogiorno, è
il diciannove giugno, fa caldo, l’aria profuma di pesce arrostito e fa venire
appetito, c’è un leggero vento ed il sole splende.
Arriviamo ad una nave. A prima vista sembra un veliero,
infatti ci sono marinai che stanno issando le vele, in cima all’albero maestro
la coffa col marinaio di vedetta che sta gridando qualche cosa a quelli giù,
sulla punta sventola una bandiera rossa con la stella bianca. Così a occhio la
nave è lunga duecento metri e cinquanta dov'è più larga, la prua è affusolata,
la poppa è rialzata con una costruzione a pagoda al centro, per il resto è tutto
ponte. Sulle fiancate di legno ci sono numerosi oblò quasi tutti aperti con
gente affacciata che guarda il via vai sulla banchina, qualcuno saluta
sventolando fazzoletti colorati.
Saliti a bordo ci viene incontro un marinaio con le braghe
corte, scalzo, la casacca sbottonata sul petto abbronzato, gli occhi
leggermente a mandorla ed i capelli lunghi e neri intrecciati sotto la nuca. Ernesto
scambia qualche parola col marinaio e questo ci guida ad un boccaporto sotto il
ponte di poppa, entriamo, una breve
scala di legno lucido, un corridoio con numerose porte, un piccolo atrio. C’è
un piacevole profumo di trementina screziato un po’ dall’odore di sudore umano.
Il marinaio suona un gong e intanto Ernesto ci fa posare i pacchi. Si apre una
porta ed appare un tipo grande e grosso con una benda nera sull’occhio destro,
l’altro occhio è cupo e minaccioso, ci guarda torvo, guarda Ernesto, torna a
guardare noi ed infine scoppia in una risata fragorosa, tutta denti. Comincia
col prendere a pacche sulle spalle Ernesto, lo abbraccia, forse sarebbe meglio
dire lo stritola perchè emana una forza erculea, lo bacia sulla bocca facendo
schioccare rumorosamente le labbra e finite le effusioni ci prende in braccio e
ci solleva spingendoci per aria fino a toccare il soffitto poi ci afferra in volo rimettendoci a terra e
ci stringe la mano, sentiamo tutte le ossa scricchiolare.
“Siete arrivati finalmente!” esclama l’omone.
“Ti presento Drago." dice Ernesto.
“Piacere... " rispondiamo, intimiditi da tutta quella
esuberanza.
“Venite…” continua Drago,
“il pranzo è pronto.”
Ci fa entrare in una cabina spaziosa arredata a chi più ne
ha, barili e bauli, scaffali con libri e mappe, un grande mappamondo rotante,
quadri raffiguranti macchine volanti sopra il mare o le nuvole, scene di
arrembaggi, tramonti e albe con vele gonfie di vento in primo piano, nella
parete di fronte all’entrata una porta aperta oltre la quale si intravvede
un’alcova con un grande letto a baldacchino.
Ad un tavolo sotto due oblò aperti sono seduti un uomo coi
capelli biondi ramati, gli occhi azzurri, tratti femminei, alto, sembra l'alter
ego di Ernesto e una donna bellissima, capelli neri raccolti in una lunga
treccia che gira sulle spalle passando
per l’incavo dei seni fin sotto l'ombelico, gli occhi a mandorla neri e brillanti come stelle, il naso
delicato leggermente all’in su, la bocca accesa di rossetto dalle labbra
sensuali, il collo lungo, il corpo flessuoso vestito con una tunica bianca
corta e aderente ricamata con voli di farfalle a filo d’oro e d’argento, le
mani dalle dita lunghe e affusolate, le unghie anch’esse lunghe smaltate di
rosso acceso. Drago ci ha messo uno zampone da orso sulla spalla e li presenta:
“Quella è Micia, la regina della nave e quello è Oscar, vi siete già visti?''
I due salutano con un cenno del capo senza scomporsi. Ci
guardano fisso, con aria curiosa, ilare, Micia ha lo sguardo penetrante, sembra
scrutarci dentro.
“Come ti chiami?" domanda. La voce è vellutata, femminile, sensuale.
La mano di Drago che preme la spalla, il suo sguardo
invadente, insomma!
“Sono il Bastardo!" rispondiamo battendo un piede a
terra e poi mordiamo la mano di Drago che reagisce con una risata da circo
dandoci subito un vivace scappellotto sulla nuca.
"Piano piano…così si trattano gli ospiti? Vieni…” Micia
ci fa un cenno invitante con la mano.
Ci avviciniamo, lei ci accarezza i capelli e dice: "Non
farci caso, sembra un orso ma è buono come un cagnolino…”
“Qualche volta!” sbotta Drago, “altre sputo fuoco...avanti,
sedetevi, ho una fame che mangerei una nave intera carica di tori.”
Suona un gong e subito arriva un uomo paffutello col
cappello da cuoco e la tuta rossa spingendo un carrello carico di recipienti
fumanti.
Micia scosta la sedia vicino a lei e ci fa sedere, Ernesto
si accomoda di fronte vicino a Oscar e Drago a capotavola. Il cuoco comincia a
riempire i piatti con un’insalata di mare condita con una salsa tiepida
profumata di mandorla e limone, Drago fa saltare il tappo rumorosamente ad una
bottiglia col vetro appannato dal gelo e riempie i bicchieri di vino bianco spumeggiante.
“Alla salute!" esclama, alzando il calice.
Il pranzo procede senza particolari novità, i brindisi si alternano alle portate, arriva
il dolce, la frutta, tutto squisito non fosse per le scomode bacchette che
abbiamo dovuto usare al posto delle posate per un po‘ poi seguendo l’esempio di
Drago abbiamo mangiato con le mani e tutto è diventato più semplice.
Soliti discorsi, come sta questo, come sta quello, che si fa
da quelle parti, Micia continua a fissarci, è imbarazzante, ogni tanto
ricambiamo lo sguardo ed abbiamo l’impressione di perderci in ricordi
dimenticati da lungo tempo...caffè, un liquorino, siamo tutti un po’ brilli e molto allegri
quando la conversazione cade su un fatto successo recentemente. Drago racconta:
“Han cominciato così, prima hanno messo un accampamento di caproni vicino alla
capitale, erano schiavi che usavano in campagna, li hanno addestrati in segreto
con la scusa che rendevano meglio, il Faraone lasciava fare poi son cominciate
le morti misteriose, i disordini in città, il partito dei riformati, poi è
morto il Faraone in un incidente di caccia ed i reggenti che han preso il suo
posto dopo un ennesimo scontro in città costato la vita a centinaia di persone
hanno indetto lo stato d’emergenza, sciolto il parlamento ed adesso comandano
loro all’ombra di un pretaccio del tutto simile al vostro Rabbi. Tutte le
libertà sono state soppresse, hanno il coprifuoco ed ogni giorno decine di
persone spariscono senza lasciare traccia.
Ernesto e Oscar si sono fatti attenti. Oscar dice:
“Conosciamo queste cose, la Città sta per fare la stessa fine e non sappiamo
più come muoverci. Il principe è stato chiaro: “Far nulla, lasciate che le cose
vadano come vanno.” disse, “c’eri anche
tu quando ci riunì per l’ultima volta.”
"Certo…maledizione!" esclama
Drago, “Molte zone dell’oriente si sono
staccate dal potere centrale e le Aie sono state soppresse quando non distrutte
prima dalle rivolte, perchè far nulla e lasciare che tutto vada in malora?”
Ernesto, col naso
rosso per il vino, accaldato dal discorso rincara la dose: “Fossimo stati noi
al posto di quei falsi reggenti mai e poi mai avremmo permesso ai caproni di
entrare! Il principe doveva essere impazzito quando diede quell’ordine.”
Oscar: “I bischeri e quell’assurdo partito, una religione
dove san solo odiare un povero caprone inchiodato ad una croce e biascicare
litanie, nascondono i soldi, la città piena di ladri, sono impazziti tutti.”
Micia ascolta indifferente. Ha sparso degli stuzzicadenti
colorati sul tavolo e con le dita li sposta, contando sottovoce i movimenti.
Approfittando di un attimo di silenzio diciamo: “Ai bischeri
piace quello che fanno, a voi che importa?"
“Come che importa?” risponde Oscar piccato, “stanno facendo andare in malora la città!”
Con un mezzo sorriso ribattiamo: “I bischeri non lo sanno di
essere bischeri, se il principe ha detto di far nulla avrà avuto i suoi
motivi.”
Ernesto continua: “Quali motivi giustificherebbero la
distruzione della città e del mondo?”
“Che ne so? Che c’è sotto? Chi è Rabbi? Dove trova i soldi
per corrompere?” Oscar ci guarda interessato e domanda: "Quanti anni hai?”
"Quasi quattordici.”
Ragioni bene per la tua età...il principe ci aveva parlato
di una mafia sotterranea e diceva che finchè sarebbero stati sommersi non ci
sarebbe stato nulla da fare, bisognava farli emergere...probabilmente Rabbi è
uno di loro e adesso…” Oscar e Ernesto si guardano con gli occhi sgranati come
se avessero capito chissà che e Oscar dice, guardandoci fisso negli occhi:
“Sentiamo signor prodigio, secondo te perchè ci ha sostituiti con quei
fantocci?”
Abbiamo l’impressione di essere entrati in un discorso
troppo grande e rispondiamo automaticamente: "Mi sembra ovvio, che fine
hanno fatto il Faraone e gli altri dirigenti? voi avreste fatto meglio una
volta morti? Quello che sta capitando non dev’essere frutto del caso, chissà da
quanto tempo stanno preparando questa rivolta…dove trovano i soldi, chi li
finanzia?"
Oscar ed Ernesto si fissano sbalorditi, sentiamo lo sguardo
penetrante di Micia e Drago risponde: “Questo credo di saperlo... sono i
caproni del ghetto, per paura dei ladri danno tutti i loro soldi a una banca
che probabilmente li consegna a Rabbi...i ladri è lo stesso Rabbi che li
controlla...almeno questa è l'opinione che gira tra noi pirati...lo sai che
sono un pirata?”
Ernesto continua: “Gli ho accennato...quello che dici può
essere ma se usano i soldi per finanziarsi come faranno a restituirli?”
Oscar: “Adesso che incassano anche i soldi dei bischeri
diventeranno potentissimi...intanto il lavoro viene a mancare, quelli del
partito girano per le case dei lavoratori in difficoltà e offrono aiuto facendo
sempre più proseliti, di questo passo...ma come faranno a restituire i soldi? A
meno che..."
Ernesto e Oscar tornano a guardarsi sbalorditi e scoppiano a
ridere, evidentemente capiscono al volo.
Segue una pausa di silenzio che interrompiamo dicendo: “In
questa storia anche Becca ha la sua
parte…”
Come pronunciamo il nome Becca Micia sparpaglia confusamente
i bastoncini con cui stava giocando, solleva la testa guardandosi intorno smarrita, impallidisce e
si rivolge a Drago con la voce strozzata: “Portami in camera.”
Drago si alza, la prende in braccio sollevandola
delicatamente ed entra nell’alcova chiudendo la porta.
“Cosa è successo?” domandiamo.
Oscar risponde: “È
meglio che non pronunci più il nome di Becca in sua presenza, Micia è una principessa cinese, aveva
quattordici anni quando il principe la prese con sè. Poi lui conobbe Becca e
prese anche lei. Tra le due ci fu qualche
screzio, cose che capitano tra donne... quando il principe morì Becca
tornò nella sua terra mentre Micia non ne volle sapere e decise di morire per
rinascere con lui. Si avvelenò, prese tanto veleno da uccidere una mandria di
elefanti ma non morì, rimase un mese in coma e poi si riebbe. Aveva perso l’uso
delle gambe per sempre, era cambiata, un’altra, aveva visto la morte ed era
tornata, decise di vivere ma in Cina, in quelle condizioni, non voleva più
tornare…Drago era, come noi, tra i giovani al seguito del principe, le chiese
di rimanere con lui e viaggiare sulla nave che il principe gli aveva lasciato.
Lei accettò ed adesso lui la cura con un amore impossibile e lei…”
Ernesto continua: “Acqua passata...adesso ci son cose più
importanti da affrontare. Resta qualche attimo in silenzio a guardarci e
prosegue: "Hai detto cose molto interessanti…il principe aveva previsto
tutto ma a noi disse solo una parte di quel tutto, tu sei l’unico rimasto dei
probabili e forse...dovrai affrontare un lungo viaggio ed alla fine si vedrà,
ora prova a rispondere...la città sta cadendo nelle mani di Rabbi e la nostra
copertura rischia di saltare. Se tu fossi il principe che cosa ci
consiglieresti di fare?”
“Se fossi? che presunzione, a me piaccio come sono,
comunque…adotterei il sistema che usavo alle elementari con le bande
rivali…cercherei di mettere delle spie nel partito di Rabbi, nei gradi alti e
tra gli esecutivi, quindi…”
Oscar ci interrompe: “Vorresti dire che dovremmo far finta
di farci corrompere?”
Perchè no? almeno sarete al sicuro se non vi fate scoprire e
intanto più in alto salite e più…”
Ernesto continua: “Non dire altro, abbiamo capito.”
In quel momento ritorna Drago, si siede al tavolo sospirando
e guardandoci con l’occhio stranamente sereno dice: “Non pronunciare più quel
nome con lei…” quindi prende la bottiglia del liquore e riempie tutti i
bicchieri per un brindisi che facciamo silenzioso.
Oscar dice: “Noi dobbiamo andare e voi è meglio che partiate
subito, prima che sia troppo tardi.”
“La nave è pronta, ad un mio cenno si salpa." Risponde
Drago.
“Bene. Allora addio o arrivederci e che la fortuna vi accompagni.”
I due si alzano, uno biondo e l’altro bruno sembrano
gemelli, facciamo cenno di accompagnarli ma loro ci dicono di rimanere in
cabina fin quando la nave sarà uscita dal porto.
Ci abbracciano poi abbracciano Drago con la solita effusione
di pacche sulle spalle ed escono. Drago si versa ancora un bicchiere ed esce
anche lui. Dopo qualche minuto, con un lieve ronzio, la nave si mette in
movimento.
Partenza.
“Sono una parte
della forza che vuole sempre il male e opera sempre il bene.”
risponde Mefistofele presentandosi a Faust nella tragedia di
Goethe. La lotta tra bene e male merita uno studio particolare, eserciti di
filosofi, teologi, poeti e scrittori si sono cimentati sul tema, Goethe è un
esempio poi per citarne alcuni c’è il sogno di Ivan Karamazov e il Faust
maestro di Bulgakov. Buona letteratura ma nessuno come Goethe ha azzeccato in
pieno la questione. Che Goethe fosse un secchione ed abbia elaborato il suo
Faust dal precedente di Marlowe il quale a sua volta ecc. è un fatto, l’arte è
come una corsa a staffetta dove gli artisti di generazione in generazione si
passano il testimone portando su vecchi miti dai tempi dei tempi, quel che
centra è questo nome senza forma reale, il diavolo, che opera il bene facendo
il male.
Occorre mettersi al di là del concetto di bene e di male e
considerarlo come un computer. Chiunque abbia giocato a scacchi con il computer
sa che per quanto difficile ed elaborato il programma risponde sempre con le
stesse mosse e così, fatta la mano, lo si può anticipare e battere facilmente.
Nella logica pura il bene ed il male sono come il nome e la
forma, il nome non è forma quindi se il bene è nome la forma del bene è il
male. Il nome è causa, la forma è effetto, il male è effetto del bene quindi si
può dire che il bene produce il male e viceversa che il male produce il bene,
esattamente come risponde Mefistofele a Faust.
E' il principe a scegliere i reggenti che permettono a Rabbi
di insediare i caproni, sapeva che in questo
modo avrebbe provocato il male ma sapeva anche che questo male senza volerlo
avrebbe prodotto il bene...
Bene e male sono giudizi a priori che si riferiscono ai
fenomeni sociali, pure interpretazioni di comodo, è una legge naturale che il
male si ritorca contro se stesso e operi il bene. Una terapia d’urto.
Ecco un esempio:
La nave è appena partita che dall’oblò aperto sentiamo una
voce megafonata gridare: "Fermate le macchine, ordine dei reggenti, la
nave è sequestrata.”
Ci affacciamo all’oblò e vediamo Drago al parapetto di poppa
gesticolare verso un drappello di guardie appostati sulla banchina con piccoli
cannoni puntati verso la nostra nave.
“Non è possibile! Abbiamo il permesso della capitaneria,
tutto è in ordine, questo è un sopruso!” grida Drago.
“Fermate la nave o apriamo il fuoco!" urla il capitano delle guardie in risposta.
La situazione si fa tesa, la banchina è gremita di folla ad
osservare lo spettacolo, scorgiamo anche
Oscar ed Ernesto in divisa da facchini dietro le bitte del molo con l’aria
preoccupata. Drago fa cenno ai marinai di fermare ma l’ordine si interrompe a
metà per l’arrivo improvviso sulla scena di una processione di bischeri del
partito riformato.
In testa al corteo si vede traballare una croce con sopra
inchiodato un caprone nero, è ancora vivo e le ferite sanguinano, agita la
testa emettendo strazianti belati di
dolore alternati agli slogans gridati dai bischeri: “Libertà!…Rabbi al governo…
Teniamoci i soldi…Basta con gli sprechi…ladri!"
Una parte canta l’inno del partito, altri recitano ad alta
voce preghiere della nuova religione e tutti inveiscono contro il povero
caprone crocifisso alzandogli i pugni
contro.
La fiumana di manifestanti invade la banchina facendosi
largo tra la folla numerosa già presente, in breve vengono a contatto col
drappello di guardie armate contro la nave, spingono gli spettatori che si
stringono intorno alle guardie rompendogli l’allineamento, molti finiscono in
acqua, altri iniziano a scazzottarsi, ci sono mocciosi delle elementari che lanciano
uova marce contro la testa della processione, si vedono bastoni alzarsi e
calare violentemente, sì sentono vetri infranti, sirene suonare, campane
battere a stormo, molte navi sganciano gli ormeggi e si allontano dal molo,
bagliori di fiamme, insomma il caos!
Approfittando dell’occasione Drago fa spiegare la vela ed
ordina di filare a tutta velocità, siamo già in mezzo alla baia diretti verso l’uscita,
molte navi si sono allontanate dal porto e stanno fuggendo dietro a noi, molte
di quelle rimaste hanno preso fuoco, si vedono le fiamme dal porto levarsi
altissime, un vero inferno ma ormai i rumori giungono attutiti dal vento e
l’eccitazione del pericolo copre il resto.
Abbiamo quasi raggiunto l’uscita quando vediamo arrivare due
navi della marina militare a bloccarci il passaggio con tutti i cannoni
puntati.
La baia del porto è circolare, ha un diametro di circa dieci
chilometri ed è circondata da un promontorio roccioso con pareti a strapiombo
che declinano verso l’uscita a livello del mare aprendo un varco di circa mezzo
chilometro. Nel centro della baia su un isolotto si erge l’immensa statua di
Amore con la fiaccola del faro sollevata, una lunga spada fiammeggiante
alimentata da un vulcano sotterraneo e sui lati dell’uscita, dove terminano le
due ali del promontorio ci sono le torri
di guardia alte circa duecento metri, anch’esse con un fuoco acceso sulla
sommità.
Drago al timone compie una veloce manovra di inversione
andandosi a mettere in coda alle navi in fuga dal porto. Queste han già superato l’isolotto del faro e la
paura dell’incendio ha messo loro le ali, filano a tutta velocità, non li
fermerebbe nemmeno il diavolo, nei pressi dell’uscita si crea un
imbottigliamento e siccome nessuna accenna a diminuire la velocità molte si
urtano o si speronano, le navi militari sparano alcuni colpi di avvertimento ma
è come buttare benzina sul fuoco, la massa dei fuggiaschi li investe e vengono
travolte, alcune navi prendono fuoco, altre cominciano ad affondare e si sente
un continuo rumore di cozzi violenti.
Senza perdere la calma Drago costeggia il promontorio di
destra, trova un varco libero rasentando una Torre e riesce ad uscire dalla
baia senza danno.
Vele spiegate, mare aperto, nessun ostacolo per il momento.
Ci siamo goduti lo spettacolo vicino a lui sul ponte di
comando, è veramente un abile marinaio, non è stato facile destreggiarsi in
mezzo a quel caos e reagire prontamente agli ostacoli, la nave si manovra che è
un piacere, non è solo mossa dal vento, c’è un’elica che sporge a poppa dietro
la costruzione a pagoda che gira vorticosa e spinge tanto che la prua rimane
sollevata dall’acqua. Ci sono altre cose, come scopriremo poi questa è una nave
speciale, unica.
"Allora moccioso, ti sei divertito?” chiede Drago
sollevandoci da terra con le braccia dopo aver lasciato il timone ad un
marinaio.
“Niente male…” rispondiamo e poi cambiando tono: “Mettimi
giù scimmione, sacco di merda, per chi
mi hai preso?”
I marinai intorno scoppiano a ridere. “Permalosetto
l’amico…” dice Drago mettendoci a terra,
"hai bisogno di una drizzatina, vedremo di…”
“Drizzati l’uccello nel culo, babbuino!” gli gridiamo facendogli una linguaccia.
Drago avvampa, solo un momento, ritrova la calma, scoppia in
una risata fragorosa e poi ci molla una pedata nel sedere facendoci fare un
volo di qualche metro.
Risata generale della nave. Ci lanciamo su di lui buttandoci
a sorpresa contro una gamba, nello stesso tempo gli sgambettiamo l’altra e lo
facciamo cadere a terra grande e grosso com’è poi gli afferriamo i capelli e lo
mordiamo alla gola.
Sentiamo delle braccia che ci staccano e ci sollevano
separandoci. Drago si rialza fregandosi la gola da dove cola del sangue.
“Cominciamo bene..." dice guardandoci stupito poi grida
alla ciurma assiepata intorno: “Basta! la festa è finita, tornate ai vostri
posti.”
I marinai si allontanano borbottando. Rimasti soli ci
fissiamo per qualche secondo e notiamo che non ha più la benda.
“L‘occhio…” diciamo indicandolo.
Drago scoppia in un’ennesima risata ed esclama: “Noi marinai
beviamo molto allora per non vederci doppio copriamo un occhio.”
La gola non gli sanguina più, ci strofina sopra del liquore
da una bottiglietta che si sfila di tasca, si asciuga e ci porge la mano.
“Facciamo la pace? Chiede, con voce bonaria.
“Ok.”
La cosa finisce lì. Il resto del pomeriggio lo trascorriamo
a curiosare qua e là. Ci sono numerosi marinai, tutti giovani e allegri con gli
occhi a mandorla ed il codino ed indossano tute bianche con fasce colorate strette alla vita da cui
penzola uno spadino lungo e sottile.
Ci sono anche donne giovani e carine occupate nei lavori
leggeri, indossano tuniche corte anche queste fasciate in vita e sono molto
sexy.
Abbiamo notato un gruppetto di ragazzi della nostra età, le
femmine ci guardavano interessate mentre i maschi con cipiglio mostrando i
muscoli.
Intanto la nave fila verso il sole al tramonto, una lunga
scia di luce infocata che indica la strada. Il cielo è rosso screziato da
nuvole che rimbalzano la luce verso le stelle che stanno per sorgere, stormi di
gabbiani danzano nell’aria la loro libertà...suona una campana, è ora di cena,
siamo invitati da Micia nella sua cabina mentre lo zampillo delle idee butta a
vulcano.
Morale: ecco come una processione di bischeri organizzata
per scompigliare l’ordine pubblico permette alla nave di fuggire facendo del
bene dove non voleva farlo.
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