Cap. 7 Sul fiume.




                     7        Sul fiume.


Proseguiamo per mezzo chilometro senza incontrare ostacoli seguendo la riva alla nostra destra. Tutto intorno sfavillano i colori della giungla, dal grigio azzurro  dell’acqua luccicante di sole all‘esplosione di verde della vegetazione mossa di vento e fremiti animali.

Furfante e Li ò sono truccati con gli occhi da drago, Scintilla con un sole che si leva sulla fronte ricoprendo di raggi il resto del viso, noi a bocca di squalo spalancata con i denti acuminati che fanno da cornice.

Improvviso il grido d’agonia di una bestia azzannata si alza dal folto zittendo ogni suono e continua scemando fino all’ultimo rantolo. Dopo qualche secondo dal silenzio spiccano le urla agitate di una scimmia seguite da quelle di centinaia di altre e a seguito riesplode il concerto animale, pulsa di vita  allungando invisibili tentacoli verso il cielo.

A quel punto il fiume si allarga formando un piccolo lago, spingiamo la canoa fuori dalla corrente e facciamo una sosta.

Nella fretta abbiamo improvvisato ed ora bisogna organizzare.

“Drago ci metterà a pelare patate per un anno.” brontola Fu,  “Questa volta l’abbiamo fatta grossa.”

“Sei pentito?” gli chiediamo.

“Sì e no...per noi la disciplina è importante e disobbedire agli ordini è una mancanza grave, però... questa giungla è selvaggia, magnifica.”

“Ci penseremo poi... Drago mi deve una vita e se non voleva che lo seguissimo perchè ha lasciato la mappa della zona bene in vista e le canoe pronte all‘uscita?”

Ci facciamo passare lo zaino da Fu e prendiamo la tromba per darla a Li ò.

“Questa come funziona?" chiede  portandola alla bocca e soffiandoci dentro dopo aver schiacciato un tasto a caso.

Dalla tromba esce uno squillante chicchirichì da galletto battagliero.

Scoppiamo tutti a ridere. Li ò cambia tasto, soffia e si sente un cinguettio d’usignolo gorgheggiante.

“Che diavoleria è?" domanda Fu.

“Un’invenzione di Archimede.” Tiriamo fuori il libricino con le istruzioni e cerchiamo alla voce tigre: “Eccola! Premi il primo tasto e subito dopo il terzo a metà…soffia forte.”

Li ò esegue. Il ruggito spaventoso e tonante di una tigre risuona lungo e selvaggio ammutolendo per qualche secondo tutta la giungla.

“La voce della tigre fa sempre effetto. Da adesso ti nomino trombettiere, ricorda i tasti da premere, questo sarà il nostro segnale di battaglia, siete d’accordo?”

Sci e Fu, ancora rintronati dal verso, assentono col capo.

“ln questa zona del mondo non ci sono tigri.” dice la ragazza.

“Adesso c’è.”

Prendiamo la pistola spara aghi. Controlliamo che il caricatore sia pieno con  il colpo in canna e la diamo a Sci spiegandole come funziona:  “Lascia la sicura inserita, gli aghi sono velenosi ed è meglio non rischiare di ferirci tra noi. La userai solo in caso di necessità.”

“Ok.” assente osservando l’arma con curiosità.

“Fu, hai portato la fionda?”

“Eccola!” risponde, traendo da una tasca della tuta una fionda di legno ad ipsilon con un lungo e spesso elastico cilindrico. “Con questa posso centrare un moschino sulla fronte di un cannibale a cento metri e farlo secco. Qui ho i proiettili.” Estrae una manciata di bilie metalliche da un sacchetto pieno e continua: “Se non bastano sassi se ne trovano da tutte le parti.”

“Qui ce ne sono altre.” diciamo estraendo dallo zaino le dieci mine elettriche:

"Queste sono per i coccodrilli, me le ha date Archimede, al contatto con l’acqua sprigionano elettricità, se ci attaccheranno li faremo ballare.”

Togliamo l’arco e la faretra e li sistemiamo sulla canoa.

“Anche quelli te li ha dati Archimede?" domanda Sci.

"No, questi li ho ricevuti in eredità.”

“Ed a me?” strilla Li ò,  “Mi dai una tromba come arma?”

“Perchè?... secondo te la paura non è un’ arma? Suona ancora.”

Li ò soffia nella tromba premendo due tasti a caso e si sente uno zelante beeeeeeh di pecora facendo nuovamente ridere tutti.”

“Il primo ed il terzo tasto a metà!”

Li ò li preme, gonfia le gote e soffia con tutta la sua forza. Un ruggito terrificante squarcia l’aria. Tutta la giungla tace.

“Sentito? Si cagano tutti sotto quando canta la tigre. Ora torniamo a risalire il fiume, più avanti la giungla finisce ed inizia la savana. Arriveremo fin lì e se non troveremo Drago torneremo indietro.”

Fu interviene: “Resta ancora una cosa da chiarire. Chi comanda la spedizione?"

“Mettiamolo ai voti. Li ò? Sci?"

“Ji!” rispondono insieme.”

“Sentito? La maggioranza ha parlato.”

“Un momento!” esclama Fu ingrugnito,  “Sono il più vecchio ed il più forte, se vuoi provare…”

“È vero…” continuiamo ridendo,  “qui sta la sfida. Metteremo a confronto la tua forza con la mia astuzia e vedremo chi vincerà.”

“Come sarebbe? Pensi che sia scemo?”

“lo sono il tuo scudiero e farò solo quello che dici tu!” strilla Li ò.

“Ed io anche!” replica Sci facendo una linguaccia a Fu.

“Ho capito…” borbotta Fu,  “siete tutti contro di me...era meglio se stavo sulla nave.”

“Aspetta a dirlo, forse ti divertirai. La forza e l’astuzia stanno bene insieme da buoni amici, hanno bisogno uno dell’altro, non dimenticare che ho buttato giù Drago e se avessi morso al punto giusto lo avrei ucciso.”

“Ma lo hai preso di sorpresa, non se l’aspettava. Credevo che ti avrebbe fatto a pezzi ed invece…volevo riscattare il suo onore!”

“Forse ha solo rimandato…”

“Che vuoi dire?”

Interviene Sci: “Uffa, quante chiacchiere... andiamo altrimenti si fa notte.”

“Sì, andiamo.”

Torniamo a risalire il fiume tenendoci ad una distanza di venti metri dalla riva su un tracciato dove la corrente è meno forte. Dall’altezza del sole sono quasi le undici, fa caldo. Allontanandoci dalla foce l'acqua si fa più limpida con un intenso via vai di pesci multicolori che guizzano sotto ed intorno la canoa, alcuni grossi a forma di siluro nuotano lenti  a qualche metro di profondità.

Gli odori della giungla sono intensi, molti alberi sono fioriti ed allungano lunghe e sinuose spire profumate che il vento mescola con le esalazioni del fiume e l’afrore selvatico degli animali.

Percorriamo un chilometro in silenzio ascoltando in sottofondo i moscerini ronzare tra le orecchie e gli sciaff delle pagaie nell’acqua. Dopo un po’ ci si fa l’abitudine.

Il fiume devia di trenta gradi verso sinistra iniziando il primo tratto della esse. Sulla sponda più lontana della curva, su una spiaggetta assolata, ci sono una decina di grossi coccodrilli. Al nostro passaggio alzano tutti la testa, si rizzano sulle corte gambe sbattendo la coda e due si tuffano nel fiume subito seguiti dagli altri.

"Aiuto!” strilla Li ò, vedendoli avvicinare,  “devo suonare la tromba?”

“Aspetta, voglio provare se le invenzioni di Archimede funzionano.” Togliamo la sicura ad una mina e la passiamo a Fu: “Lanciala davanti al coccodrillo più vicino.”

Fu la sistema nella fionda e tira guardando il bersaglio  senza prendere la mira.

La mina cade un paio di metri davanti al muso dell’animale e si accende improvvisamente passando da un colore blu elettrico ad un bianco accecante.

I due coccodrilli più vicini saltano fuori dall’acqua, per qualche attimo ci danzano sopra con la coda poi  ricadono sollevando spruzzi giganteschi e in preda a tremori rimangono a galleggiare intontiti, quelli dietro fanno un rapido dietrofront e ritornano alla spiaggia.

“Evviva!” strilla Sci.

“Speriamo si passino parola, così ci lasceranno in pace.” aggiunge Fu e  Li ò soffia nella tromba facendo rimbombare il ruggito della tigre...poi preme due tasti a caso e si sente un allegro qua qua qua di ochette.

“È davvero divertente questa tromba.” conclude guardandola ammirato.

Le sponde via via che procediamo si restringono, ora sono ad una  distanza di duecentocinquanta metri. Immense chiome di alberi cariche di liane penzolanti con scimmie che ci dondolano sopra o saltano fra i rami strepitando si allungano sopra il fiume oscurandolo d’ombre che qualche raggio di sole, filtrando dalle foglie, accende di riflessi scivolando sul pelo dell’acqua.

Un gruppo di ippopotami sonnecchianti ci guarda passare rimanendo immobile.

"Tiriamo una mina?" chiede Fu.

“Perchè? lasciamoli tranquilli, meglio non sprecarle.”

“È così selvaggio... peccato non ci sia Saetta, si divertirebbe.” dice Sci.

“Siete molto amiche?” le domandiamo.

“Per forza, in mezzo a questi mangia rane.”

Fu gira la testa e la guarda torvo: “Ricominciamo?”

“A me le rane non piacciono, son tutte ossa.” commenta Li ò.

“Tu sei diverso... devi ancora crescere.”  dice Sci.

“Che facevi a Shanghai prima di imbarcarti?” le chiediamo.

“Chi te l’ha detto?”

“Zuzù mi ha raccontato la sua storia.”

“Zuzù... la zucca?” ride Sci,  "si è sistemata bene, sempre in chimono, la chiamano Zucca ma secondo me è una furbacchiona.”

“Intanto ti ha sfamata quando vagabondavi per Shangai.” dice Fu.

“È vero!”  interviene Li ò,  “Zuzù è buona!”

“Bah…ognuno ha le sue storie.”  sospira Sci.

“La tua qual’ è? Le chiediamo.

“Vuoi saperla?”

“Sì, racconta.”

“Storie come le mie se ne sentono dappertutto di questi tempi. Sono nata in Giappone su un’isola dominata da un vulcano che la faceva tremare tutti i giorni. I miei erano pescatori, avevano cinque barche, dei primi anni ricordo le albe sul mare quando mi portavano con loro, le reti coi pesci argentati che guizzavano da tutte le parti, le giostre al parco, gli spettacoli del teatrino…il nostro era un piccolo villaggio, un gruppo di case variopinte ed un porticciolo allo sbocco di una valle circondata da colline ricoperte di ciliegi. In primavera  quando fiorivano era uno spettacolo... a cinque anni mi portarono all’Aia. Non c’ero mai stata e rimasi sbalordita... fontane da tutte le parti, padiglioni da favola, laghetti ricoperti di loto, aiole fiorite, c’era un profumo che faceva venir voglia di volare, bambini che giocavano schiamazzando nei parchi, negozi,  botteghe piene di arte.

“Parli della Città Gemella?”

“No…la capitale non l’ho mai vista, mi sarebbe piaciuto ma le cose andarono diversamente... la nostra era una comune cittadina di provincia.

A scuola ero brava, riuscivo in tutte le materie... beh... in matematica ero così così e la geografia...che noia imparare a memoria tutti quei nomi…la mia passione era la danza, la maestra che avevo mi prese a vivere nella sua casa e tutti i giorni  passava ore a insegnarmi, anche fuori orario quando le mie compagne giocavano, sempre alla sbarra a provare con lei che contava i passi... diceva che ero un fenomeno, che mi avrebbero chiamata alla capitale, che avrei vinto tutti i concorsi, che sarei diventata la prima principessa... finì le elementari con un punteggio alto ed ero la migliore nella danza, venni ammessa di diritto tra le novizie del bordello. Ci rimasi un anno, il più bello da che ero nata, sembrava di vivere in una favola, i costumi sfavillanti, le coreografie, le luci... ma durò poco.

In città si era formato un partito  di bischeri  che seguivano una religione che adorava i morti e odiava i vivi. Praticavano, almeno a parole, la castità e l’umiltà  con preti esaltati dalla testa rasata che li incitavano continuamente all’odio contro l’arte e gli artisti.

Un giorno i bischeri si radunarono davanti alle porte della cittadella, combinazione proprio quel giorno i soldati della guardia erano stati allontanati con la scusa di un’incursione di pirati su un’isola lontana e non c’era nessuno a difenderci. Gli artisti ed i garzoni delle botteghe tentarono di opporsi ma fu inutile, non se l’aspettavano ed erano disorganizzati, ci furono incidenti con morti alle porte, i bischeri riuscirono a sfondare ed  entrarono, con loro c’erano migliaia di schiavi che erano fuggiti dalle campagne, dovevano aver preparato ogni cosa da tempo, invasero la cittadella, distrussero e incendiarono i padiglioni, smontarono le fontane…gli artisti morirono quasi tutti bruciati nelle loro botteghe, il bordello fu raso al suolo, le bagasce fatte a pezzi... prima che attaccassero la maestra di danza delle elementari mi era venuta a prendere e di nascosto, travestite da bischere,  eravamo scappate dalla cittadella. Corremmo al porto mentre alle nostre spalle infuriava l’incendio, le fiamme arrivavano al cielo, le grida dei feriti erano strazianti... ci imbarcammo su una nave che stava partendo per la Corea. La maestra conosceva il capitano che ci accolse con cortesia e ci diede rifugio.”

La interrompiamo per dire: “Non sapevo nulla di queste cose, nell’Aia da noi i giornali non ne parlavano.”

Interviene Fu: “Questi bischeri stanno distruggendo la civiltà! Manca un potere centrale, le città sono divise, anche a me è successa una cosa simile...per fortuna ero già imbarcato.”

 "Anche a me…” dice Li ò,  “i porti sono pieni di bambini cacciati dalle scuole... sembra che ce  l’abbiano soprattutto con noi.”

“Non deve essere un caso…” continuiamo,  “così interrompono il ciclo delle rinascite. Sci continua a raccontare e intanto teniamo d’occhio le sponde caso mai qualche coccodrillo ci scambi per bistecche.”

Sci rimane qualche secondo con gli occhi persi nel ricordo e riprende: “Dalle voci che si sentono in giro in Giappone solo la capitale resiste, i pochi rimasti fedeli alla legge invocano Arko, il nostro principe che si ritirò dal potere prima che iniziassero i disordini, dicono che è ancora vivo nascosto in un vulcano, ci sono molte leggende che circolano su di lui.”

“Me lo auguro... Drago mi deve portare proprio lì.”

"Veramente? Allora verrò con te, forse siamo ancora in tempo.”

“Vedremo…adesso continua la storia.”

“Che storia... arrivammo in vista della Corea che fummo sorpresi da uno tsunami, una tempesta spaventosa, la nave venne sbattuta e capovolta, non so come mi ritrovai in mare con un salvagente legato intorno alla vita, le onde mi trascinavano sulla loro furia e poi mi precipitavano addosso sprofondandomi negli abissi... lottai finchè ebbi forze ed a un certo punto  persi i sensi.”

Fu ridacchiando commenta: “Mmm…per me la esageri un po’.”

“Cosa ne sai?…mi svegliai su una spiaggia in mezzo a gente che scappava da tutte le parti urlando. Su quella costa della Corea era appena scoppiato un vulcano, il terreno tremava, si vedevano incendi da tutte le parti. Vicino a me c’era una bambina che si era fermata per soccorrermi. Mi teneva alta la tasta spruzzandomi acqua fredda sul viso. Era Saetta, ricordo le sue prime parole:

“Alzati presto, sta arrivando la lava, scappiamo!”

“Riuscì a mettermi in piedi e Saetta mi trascinò via proprio mentre un fiume di lava ardente si riversava nel punto dove giacevo svenuta…”

“Ti è ancora andata bene…”  commenta Fu.”

“Spiritoso... pensa alle rane!”

Furfante indica una scimmia in cima ad un albero che dondola appesa ad un ramo con la coda e dice, sarcastico: “Guarda quella come ti somiglia.”

Sci scatta: “Polentone! Come ti permetti?”

Interviene Li ò: “Siete davvero ridicoli…forse è proprio per i vostri stupidi odi che il nostro mondo sta andando in rovina.”

“Venduto…” lo apostrofa Fu,  “da che parte stai?”

Interveniamo: “Basta così. Abbiamo detto tregua fino al ritorno!”

Segue un attimo di silenzio alla fine del quale Sci chiede: “Vuoi sentire come finisce la  storia?” senza aspettare risposta continua: “Non so quanto abbiamo corso, avevo i polmoni che scoppiavano, c’era tanto fumo e piovevano lapilli infocati grossi come macigni, c’erano case che bruciavano da tutte le parti.

Ci fermammo per riprendere fiato su una spiaggia deserta, il vulcano era esploso nuovamente e vedevamo un’immensa colata di lava scendere verso di noi, c’era una barca abbandonata sulla spiaggia, senza remi. La spingemmo in acqua e ci abbandonammo al mare. La tempesta si era calmata ma le onde erano ancora alte, ci presero nel loro vortice e ci spinsero al largo appena in tempo. La lava aveva raggiunto la spiaggia e si riversò in mare sollevando un nuvolone nero alto chilometri... eravamo finite in una corrente contraria che ci spinse lontani dalla costa sempre più al largo, ad un certo punto non la vedemmo più e non avevamo neppure un remo. Ero sfinita, assetata... Saetta piangeva disperata. Trovai la forza di rincuorarla e rimanemmo abbracciate fin quando una nave di passaggio ci raccolse e ci portò a Shangai. Il capitano ci mise a pelare patate per pagare il viaggio e quando arrivammo ci diede qualche soldo che durò poco. La città era divisa dagli scontri, il cibo era caro, la fame tanta. Giravamo per le strade chiedendo lavoro ma come noi ce n’erano centinaia, tutti bambini cacciati dalle rivolte. Incontrammo Li ò che chiedeva l’elemosina recitando poesie ai passanti. Ci unimmo a lui danzandogli intorno, qualcuno ci buttò degli spiccioli e così formammo una compagnia e continuammo insieme…”

“Che tempi, che fame…” aggiunge Li ò.

“Sci continua: “Poi incontrammo Zuzù, aveva soldi ed era sola, la accettammo nella compagnia, le sue tette attiravano molti spettatori. Riuscimmo a tirare avanti per un po’ poi…il cibo costava sempre più caro e mancava anche agli abitanti, compagnie di bambini che offrivano spettacoli ormai ce n’erano ad ogni angolo di strada, i  soldi di Zuzù erano finiti, i passanti ci insultavano…fu una fortuna quando vedemmo gli aquiloni ma questo dovrebbe avertelo raccontato lei.“

“Sì…è stata una fortuna anche per me incontrare Drago, ho visto i miei migliori amici ardere vivi al mio posto, in città i preti non comandano ancora ma il loro partito è in continua ascesa e c’è una mafia di assassini che uccide in modo scientifico e mirato. Acqua passata... adesso siamo qui.”


Le rive del fiume continuano a restringersi, stiamo per arrivare al secondo tratto della esse, la corrente è leggera e la canoa fila veloce sull’acqua.

“Da allora non hai più ballato?” chiediamo a Sci.

“Qualche volta... durante gli spettacoli di aquiloni o alle feste... ma non è la stessa cosa, la danza è un arte e senza gli esempi non si può crescere.”

“Sulla nave c’è Micia, ho sentito dire che ai suoi tempi è stata una grande ballerina, lei potrebbe aiutarti.”

“Micia…la Farfalla... lo so, ne ho sentito parlare molto quand’ero novizia. È stata l’iniziatrice della danza dell’Onda che ora viene insegnata in tutte le scuole del mondo... almeno quelle che resistono ancora.”

“La danza dell’Onda, in cosa consiste?”

Scintilla rizza la testa sul collo, inizia a dondolarsi leggermente e sinuosamente col corpo poi aumenta di velocità fino a scrollarsi facendo roteare le braccia quindi ride e risponde:

“È un’impostazione del corpo che segue il movimento dell’onda, non solo quella d’acqua ma anche del suono e della luce. Prima di iniziare il corso, da novizia, mi fecero imparare a memoria una poesia che il principe aveva scritto per Micia, la maestra diceva che era l’idea della danza. Aspetta, fammela ricordare... è breve, vuoi sentirla?”

“Sì!” rispondono Li ò e Furfante precedendoci.

Scintilla si fa seria e con voce cantilenante recita:                                        

                                          “Culla d’onda sinuosa
                                           sale scende alba e tramonto
                                           vento parola brezza d’amore
                                           donna oceano di carne
                                           acqua viva del sogno
                                           fiamma di voluttà.” 

Rimane qualche secondo in silenzio e continua: “Subito non la capivo ma poi, parlandone con la maestra e le altre allieve ne rimasi ammaliata, mi faceva sentire l’oceano dentro, sulla pelle, dappertutto, la musica era il vento che mi faceva nascere onda d’acqua per volare al fuoco del sole passando attraverso la tempesta dei suoni per poi placarmi e tornare acqua, alba e tramonto…l’hai capita?”

Interviene Fu piccato: “Perchè parli solo al damerino?"

“Chi sarebbe il damerino?... vuoi provare una freccia nel culo?” gli chiediamo.

Interviene Li ò: "Se bisticciate voi due finiamo ai pesci…che bella poesia... secondo me alba e tramonto sono oriente e occidente e l’oceano di carne l’umanità, l’onda delle idee che scorre tra le due rive, è questo che intende.”

Sci continua: “Il movimento del corpo, di tutto il corpo è l’onda tra acqua suono e luce, bisogna annullarsi, scorrere nell’onda, sentirsela dentro, sentire l’accelerazione una metamorfosi progressiva alla luce, non è facile da spiegare.”

“Ho capito... Micia dice  che le giapponesi dell’onda vedono solo la tempesta e non hanno la grazia per completare la danza.”

“Per forza, sono  scimmie scatenate!” esclama Fu.

Sci scintillando gli occhi  chiede: “Posso togliere la sicura alla pistola?” rimane un attimo a pensare e continua: “Forse Micia ha ragione, in Giappone  interpretiamo  l’onda in un modo diverso ma non è vero che non abbiamo grazia, potrei dire lo stesso di lei che è troppo lenta, i cinesi sono tutti polentoni, se non ci fossimo noi a dargli il fuoco…”


Arriviamo al secondo tratto della esse, il fiume devia di trenta gradi verso destra, la sua larghezza ora è stabile più o meno sui duecento  metri. L’acqua è profonda e limpida popolata di pesci che si rincorrono per mangiarsi, la giungla sulle sponde è fitta, impenetrabile. A tratti si scorgono passaggi tra la vegetazione, animali che si abbeverano, facoceri, piccoli lupi dalle grandi orecchie, due pantere... al nostro passaggio tutti ci guardano curiosi poi scompaiono frettolosamente nel fitto. Incontriamo altri coccodrilli ma nessuno ci attacca. Gli alberi sono super popolati di scimmie, ci strillano dietro, certe saltellando di ramo in ramo, altre dondolando appese alla coda, altre lanciandosi in salti acrobatici, numerosi uccelli variopinti aprono le ali e ci salutano sbattendole, molti volano via spostandosi nell’interno.

Il sole è quasi sulla verticale, sono le undici passate.

“Sei stanco?”  chiede Fu posando il remo per sgranchirsi le braccia.

“No...e tu?”

“È da mesi che non uso la pagaia, sono fuori allenamento. Dove hai imparato?”

“A scuola. Fin dal primo anno delle elementari pratichiamo tutti gli sport, sono i nostri giochi. Prendi quel remo e pagaia, siamo ancora lontani, ci riposeremo all’arrivo, vuoi perdere la sfida?”

“Ci mancherebbe…” borbotta Fu rimettendosi a pagaiare.

Sulla linea del fiume che seguiamo la corrente è debole, non si fa una gran fatica e la canoa fila che è un piacere.”

“Cosa c’è nello zainetto che mi hai dato?” chiede Li ò.

“Materiale di pronto soccorso, caso mai qualcuno si ferisse.”

Scintilla batte una pacca sullo zaino che tiene tra le gambe.

“Avete fame?” chiede.

Li  ò sospira: “Un po’ di appetito ce l’ho…”

Fu continua: Son due ore che remo...mangerei un maiale intero.

Scintilla ride: “Per te ho portato un barattolo di rane in carpione.”

Fu senza scomporsi risponde: “Hai fatto bene. A me le rane piacciono, hanno un sapore molto delicato.”

“Meglio aspettare a far colazione…” diciamo,  “tra un’ora e mezza se continuiamo così  siamo arrivati. Mangeremo lì.”

Fu protesta: “Comandi sempre tu! E se volessi mangiare adesso?”

“Mangia, chi te lo impedisce? se non sei capace a dominare lo stomaco.”

Fu brontola qualcosa tra i denti e continua a remare.

Passiamo un altro gruppo di ippopotami sommersi nell’acqua vicino alla riva. Ci guardano sventolando le code ma nessuno ci attacca.

“Che paura fanno quei bestioni, brrr…” dice Li ò.

“Non si chiama paura, è emozione.” 

“Chiamala come vuoi…”

Porta la tromba alla bocca e squilla un feroce ruggito di tigre.

Gli ippopotami alzano tutti la testa e rispondono con fischi e barriti di sfida sollevando spruzzi d’acqua con la coda.

“Sei pazzo?” gli chiediamo.

“Non avevi detto che la tigre spaventa tutti?"

“Sì...ma quelli sono tanti e grossi e nel loro elemento...meglio lasciarli in pace.”

Per fortuna gli ippopotami rimangono al loro posto, la canoa si allontana, adesso non si vedono più

Li ò sospira: “Brrr, che pa...emozione…è tutta così la giungla?”

“Più o meno.”

Li ò riprende il discorso: “La poesia di prima, che bella...in poche parole è racchiuso tutto l’universo ed il suo movimento, l’onda. A me piace la poesia, ogni tanto ne compongo, volete sentirne una?” senza aspettare risposta continua:
                        

                                    “usignolo m’hai toccato il cuore
                                      adesso tu canti ed il volo
                                      cerca il ramo dove posare i sogni
                                      e leggero tornare alle stelle…”


“Già finita?” chiede Fu.

“Sì...la poesia è un attimo...non servono tante parole.

Sci continua: “Dal ramo alle stelle, mi piace. Quando l’hai scritta?”

"Adesso, sul momento, mi è venuta così.”

“Non lo sapevo che sei un poeta...è bella…” dice Fu,  “ogni tanto capita anche a me di comporne ma le mie non sono poesie...sono…non lo so che cosa sono, volete sentirne una?”

Senza aspettare risposta recita: 

                                      “hai giocato coi miei occhi
                                        adesso son perle che rotolano
                                        giù dal mio corpo
                                        e su per la montagna
                                        verso le nuvole
                                        e giù tra la pioggia
                                        una lacrima nel tuo bicchiere
                                        per l’ultimo brindisi.” 

“A me sembra poesia.” dice Li ò.

“Anche a me.” conferma Sci.

“Davvero? Mi fa piacere... tu come la trovi?” ci chiede Fu.

“Interessante... sotto quella montagna di muscoli nascondi un animo sensibile…forse un po’ triste, andrebbe rallegrato.”

“A me piace così.”

“Anche tu ne scrivi, sei un aspirante poeta.” dice Sci guardandoci.

“Qualche volta…se incontro una bella ballerina che mi fa innamorare…il quaderno delle poesie è bruciato nel rogo insieme al passato, forse ne scriverò ancora…per me la poesia è una sfida, un superamento della banalità rappresentata dai luoghi comuni espressi dalle parole, dev’essere originale, unica e non sempre riesco a non ripetermi.”

“Un poeta non scrive mai cose banali.” ribatte Li ò.

“Dipende dal grado di perfezione che pretendi da te stesso, forse non sono banali per gli altri ma per me sì.”

Interviene Fu: “Non sono d’accordo. Sono sempre gli altri che decidono se una poesia è bella o no. Che sarebbe una poesia senza nessuno che l’ascolta?”

“Una cosa è ascoltare ed una cosa è comporre, si tratta di mestiere, di perfezionamento dell’uso delle parole atte a descrivere poi sempre le stesse cose, bisogna trovarne di nuove, inventare, creare, crescere.”

“Parli difficile.” commenta Fu.

Sci dice: “Forse c’è un mondo che capiscono solo i poeti e gli altri non possono entrare. Anche per la danza è così, la mia maestra diceva che la danza è la poesia del corpo, una continua ricerca del gesto... mi piacerebbe sentire una tua poesia.”

“Anche a me!” esclamano insieme Fu e Li ò.

“Al momento non saprei... le poesie vecchie le ho dimenticate e ultimamente non ho avuto il tempo per comporne...dovrei inventarla sul momento.”

“Son le poesie più belle.” dice Li ò.

“Vuoi vedermi danzare?" domanda Sci.

“Vuol fare il prezioso…”  borbotta Fu.

“Che prezioso? Il  maestro di filosofia del teatro diceva che la poesia è essenza logica nel cui interno sono rappresentati codici  complessi, sviluppi matematici che si esprimono attraverso parole che vanno intese come note musicali inserite in un pentagramma ideale. Quando ero bambino, al bordello, un poeta che mi raccontava le favole disse che la poesia è il  frutto che cresce sull‘albero della vita e va colto quando è maturo, a quei tempi ne componevo una ogni momento poi ho cominciato a cercare la perfezione e sono diventate rare, a mettere insieme quattro versi sdolcinati sono capaci tutti.”

“Quante parole!”  sbotta Fu,  “se vuoi dirla bene, altrimenti parliamo d’altro, se non accetti la sfida…”

"Se la metti così proverò ad improvvisarne una poi però non lamentarti. 

                           Suona la tromba terrore avanzano i fulmini
                           furore suona tempesta vento sradica carica
                           impazza avanti l’esplosione tutti i pezzi
                           del corpo fango e fuoco l’avventura dei sensi.” 

“Non l’ho capita, puoi ripeterla?" dice Fu.

“L’ho già dimenticata.”

Li ò interviene: “Io invece ho capito cosa intendi, non sono parole, è musica,   ritmo, assonanza di suoni, usi le parole senza badare ai significati…la tempesta dei sensi avanza nell’illusione... è questo che intendi?”

“Se pare a te.”

Sci, con lo sguardo sognante, dice: "M’hai fatto venir voglia di danzare sull’esplosione di un vulcano, non si capisce subito, bisogna farla scorrere…”

“E la mia non ti ha fatto venir voglia di ballare?” chiede Fu.

“La tua è bella... la sua è un’altra cosa.”

Li ò continua: “Le poesie son tutte belle, è l’espressione che conta. Nel mondo dovrebbero  esistere solo i poeti e le ballerine, tutto il resto è zavorra inutile.” 

“ln tal caso che cosa mangerebbero i poeti e le ballerine?” commenta lapido Fu.

Scintilla risponde: “Nel mondo ci dovrebbe essere posto per tutti ma quando manca la poesia rimane solo la terra arida.”

“Come siete drastici…un maestro a teatro diceva che ogni arte, ogni attività umana ha la sua poesia e che questa è il cibo che nutre la vita sociale degli uomini.”

“Allora perchè ammazzano gli artisti?” chiede Li ò.

"Questa è politica, un altro discorso. So che il principe prima di morire disse di lasciare che le cose andassero come andassero... doveva avere i suoi motivi.”

"Quali motivi?” sbotta Li ò,  “Ti sembra giusto che distruggano le cittadelle dell’arte, che ammazzino gli artisti, che caccino i bambini sulle strade a chiedere l’elemosina?”

“La realtà è così, forse diversamente le cose sarebbero andate peggio, quello che sta avvenendo è un fenomeno sociale naturale, un ciclo dalla nascita alla morte per una successiva rinascita. L’uragano non si ferma soffiandoci contro, quando scoppia la tempesta bisogna avere la pazienza di aspettare che si sbolli e finisca, il sereno torna da solo.”

“Dici che è un’esperienza che gli uomini devono vivere?” chiede Li ò.

“Qualcosa del genere… i preti si sostituiscono agli artisti e come cibo offrono un caprone sanguinante inchiodato ad una croce...una nuova era del mondo, vedremo come andrà a finire…”

“Parli bene tu…” continua Fu,  “si sente che hai studiato, io a dieci anni ero già imbarcato, la scuola l’ho fatta sul mare, mi piacerebbe saper parlare come te.”

“Potremmo scambiarci le esperienze, abbiamo un lungo viaggio davanti.”

“Ma tu…” continua Fu,  “l’equipaggio dice che sei il principe, quelli come te non se la fanno con quelli come me.

“Quale principe, dai retta alle voci?...dacci dentro con quella pagaia.”

Remiamo per un po’ in silenzio, la giungla ci avvolge nella sua musica selvaggia,  mezzogiorno è passato e stiamo per entrare nell’ultimo tratto della esse, lo passiamo...

Fu dice: “Adesso ho proprio fame, sono tre ore che remiamo senza fermarci, uno spuntino potremmo farlo.”

“Anch’io ho un po’ di fame.”  geme Li ò puntandosi un dito sullo stomaco.

“Come facciamo?  se smettiamo di remare la corrente ci trascinerà indietro e le rive sono piene di coccodrilli…”

“Potremmo darvi il cambio.” propone Sci. “So remare.”

“Anch’io.”  dice Li ò.

“No, ai remi è meglio che rimaniamo noi. Manca poco, appena arrivati potrete abbuffarvi quanto volete.”

In quel momento a qualche chilometro di distanza sulla destra del fiume   cominciano a rullare tam tam frenetici, il suono si sposta allontanandosi nel profondo della giungla poi ritorna indietro e ricomincia.

“Cannibali!” esclama Fu.

“Devo suonare la tromba?” chiede Li ò.”

“Ssst… state zitti!”

I tam tam continuano a rullare frenetici, i versi della giungla son passati in sordina, le scimmie sugli alberi si sono immobilizzate nascondendosi tra i rami.

“Dev’essere successo qualcosa,” diciamo,  “ci stiamo avvicinando alla savana, i  tam tam iniziavano da laggiù.”

"Ci avranno scoperti?” chiede Sci, con un po’ di trepidazione nella voce.

“Non credo altrimenti i suoni verrebbero verso di noi...ho letto un libro sul sistema sociale dei cannibali e qualcosa so, stanno comunicando col loro villaggio.”

“A me è passata la fame.” dice Fu.

“Anche a me.” dice Li ò.

“Fatevela tornare. Laggiù ci deve essere Drago, è lui che devono aver scoperto.

Meglio mangiare adesso, chissà quel che troveremo una volta arrivati.  


                              Misura Amore i passi del tempo
                              quale fretta quale ora
                              più lunga del giorno
                              quando il tam tam rulla nella giungla
                              ed i cannibali preparano il banchetto.


Scintilla tira fuori del panini dallo zaino e li distribuisce a Li ò e Furfante mentre noi continuiamo a remare mantenendo la barca in posizione.

“Cosa c'è dentro?” chiede Fu.

Sci risponde: "Formaggio e prosciutto affumicato. Li ha preparati Saetta mentre mi truccavo, è l’unica cosa che siamo riuscite a trovare. In cucina i cuochi erano già al lavoro e nella dispensa c’era troppo via vai. Ho preso anche una fiasca da cinque litri di te freddo ed una bottiglia di vino. Saetta voleva venire con noi, se non ha insistito troppo è perchè stava male, le sono venute le sue cose per la prima volta.”

“Che schifo!” esclama Li ò arricciando il naso.

Furfante addenta il panino e masticando dice: “Cose di donne...sei venuto da lì…”

Li ò guarda il panino come se fosse cosparso di sangue mestruale poi ne addenta un pezzetto masticandolo lentamente.

Sci continua: “Le avessi tu...quante storie, anche a Saetta faceva impressione vedere quel sangue che le colava sulle gambe, l’ho dovuta confortare, adesso è una donna. A me quando sono venute la prima volta…”

Li ò la interrompe. “Basta, lasciami mangiare in pace…”

Fu ha terminato il panino, beve un bicchiere di te e ne inizia un altro.

Sci ci guarda. “Tu non mangi?" chiede.

Stacca un pezzo dal suo panino e ci imbocca e andiamo avanti così, un pezzo per uno.

I tam tam continuano a rullare. Sapere che vicino a noi ci sono miliaia di cannibali è inquietante. Siamo stati frettolosi? Impulsivi? “La paura è il pensiero.” diceva un maestro alle elementari,  “caccia il pensiero e la paura scompare.”

Ad essere sinceri siamo eccitati, ci sentiamo prossimi alla sborrata…

Finita la colazione ci concediamo un bicchiere di vino e riprendiamo a remare di buona lena. Siamo a metà del terzo tratto della esse, la giungla si sta diradando, tra gli alberi si aprono ampi spazi erbosi dove vediamo gruppetti di elefanti, un rinoceronte seguito dal suo piccolo, qualche gazzella immobile con le orecchie tese ai tam tam.

Improvvisamente una leonessa salta fuori da una macchia di cespugli e si getta su una gazzella abbattendola mentre le altre fuggono in tutte le direzioni con lunghi salti zigzaganti.

La leonessa, il muso imbrattato di sangue, la bocca ansante, gli occhi feroci, ci guarda passare tenendo ben salda la  preda tra le zampe.

“Buon appetito!” augura Fu. “Chissà che buona dev’essere quella gazzella.”

“Se troveremo il tempo di andare a caccia  ne mangeremo una anche noi.” gli diciamo, eccitati dalla scena.

“Conti di ammazzare tutti i cannibali?” chiede Li ò.

“Solo se loro cercheranno di ammazzare noi, non sono cattivi, è la loro natura.”

Improvvisamente i tam tam zittiscono. Dopo qualche secondo la giungla si rianima riprendendo il concerto.

Sci alza la testa e guarda nella direzione da dove provenivano i tam tam: “Hanno smesso, che sarà successo?”  chiede.

“Chi lo sa?” rispondiamo. “I tam tam sono un allarme ed indicano al villaggio la direzione da dove proviene il pericolo oppure se hanno catturato una preda o la preda ha catturato loro.”

“Mi sa che andiamo a cacciarci in un sacco di guai.” brontola Fu.

Siamo quasi arrivati al confine della giungla con la savana. Gli alberi si fan sempre più radi.

“Facciamo  attenzione alle rive…” diciamo,  “ci devono essere le canoe di Drago nascoste da qualche parte...anche se ho un brutto presentimento.”

Prendiamo il binocolo e guardiamo avanti in direzione del fiume scorrendone le sponde. Lo strumento è potentissimo, penetra ovunque ingrandendo ogni particolare ma non vediamo nulla.

Un gruppo di zebre si sta abbeverando, al nostro passaggio scappano verso l’interno cacciando nitriti di disappunto.

“Devo suonare la tromba per avvertirlo?” chiede Li ò.

“Meglio di no, aspettiamo di capire quel che è successo.”

La posizione del sole indica le tredici, posiamo la pagaia e ci alziamo in piedi per guardare meglio. Puntiamo il binocolo, la esse sta per essere completata e più avanti il fiume devia leggermente e continua in un lungo rettilineo sgombro di alberi al fondo del quale si intravvede una grande costruzione di legno.

“Siamo arrivati…” diciamo. “qui comincia la savana.”

Li ò si guarda intorno e chiede: “Dove sarà Drago? Quando ci vede ci prenderà a frustate, non gli piace venir disubbidito.”

“Che gli diremo?” Domanda Fu.

“Improvviseremo... le loro canoe non si sono, devono averle nascoste bene,  fermiamoci. Laggiù in fondo c’è la missione e se anche loro hanno un cannocchiale potrebbero scoprirci ed allora sì che sarebbe un guaio.”

Ci dirigiamo verso una spiaggetta deserta sulla riva destra coperta da cespugli e alberi frondosi.

“Speriamo di non trovare leoni.” mormora Li ò.

“Magro come sei non ti guarderebbero neanche.” bisbiglia sottovoce Sci.

“Teniamo le armi pronte, non si sa mai.” aggiunge Fu caricando una biglia nella fionda.

La barca continua la sua corsa d’inerzia scivolando sull’acqua fin quando la prua si arena sulla spiaggia. Saltiamo a riva e mentre gli altri la tirano su controlliamo i paraggi con l’arco teso ed una freccia incoccata.

A qualche centinaio di metri in una radura prossima alla savana ci sono dei bufali che pascolano, si sente il loro afrore pungente mescolato al vento che soffia dalla loro direzione.

Fu ci raggiunge e stando acquattato chiede: “Che facciamo adesso?”

“Tu che faresti?”

“Tornerei indietro. Ormai abbiamo visto, che stiamo a fare?”

“Vuoi perdere lo spettacolo?”

“Quale spettacolo?”

“Chi lo sa? È questo il bello.”

 Nascondiamo la canoa tra i cespugli e continuiamo a perlustrare i paraggi cercando tracce di Drago senza trovarne.

Fa caldo, il vento ha cambiato direzione, ora soffia dalla giungla, i bufali ci sentono e si allontanano correndo verso la savana.

Il terreno sulla riva è sabbioso con qualche spruzzo d’erba e numerose fatte di animali più o meno fresche, tutte calpestate.

“Qui non sono passati…si vedrebbero le impronte. Devono aver attraccato più giù.” biascica Fu sottovoce.

“Probabile, anche loro si saranno tenuti nascosti dalla missione. Scendiamo un pezzo, se li troviamo bene altrimenti torniamo indietro. Prima però proviamo le armi,  Io vedete quel ramo?” Indichiamo un ramo secco che sporge dal fogliame di un grosso albero ad una ventina di metri. “Sci, sparagli un ago.”

 Scintilla toglie la sicura, prende la mira tendendo il braccio e preme il grilletto. Dalla cerbottana si sente un flop! attutito ed il sibilo dell’ago che esce velocissimo andando a forare le foglie vicino al bersaglio.

“L’hai mancato!” dice Fu. “Guarda come si fa.”

Raccoglie un sasso levigato da terra, lo carica nella fionda e tira. “Toc!"  fa il sasso centrando in pieno il ramo.

Imbracciamo l’arco, incocchiamo una freccia con la punta metallica mirando ad una foglia che copre il bersaglio alla base.  La freccia parte con uno svisssh! micidiale e colpisce il bersaglio esattamente dove volevamo. Però…siamo sorpresi, abbiamo pratica dell’arma ma non sapevamo di avere una mira così precisa. Tirando abbiamo avuto l’impressione che la freccia seguisse la nostra volontà, sta ancora vibrando conficcata al legno.

Facciamo un’altra prova tirando senza mirare ad una piccola fogliolina tremante di vento sotto al bersaglio. La freccia la centra in pieno. Guardiamo l’arco stupiti ed intanto iniziamo a capire…

Sci tira nuovamente un ago mancando ancora il ramo. “È meglio che la usi su bersagli vicini.” dice delusa.

Il fogliame dell’albero inizia ad agitarsi come se ci fosse qualcuno nascosto. Con un balzo  ci buttiamo tutti e quattro al riparo dietro un cespuglio, le armi tese.

Passa qualche secondo e si sente una voce dire: “Smettetela di tirare! Scendiamo.”

Subito dopo due marinai di Drago saltano giù dai rami atterrando elastici sul terreno.

“Che ci fate qui?” Chiede uno di loro,  “con quell’ago  mi hai sfiorato, volete accopparci?”

“Vi stavamo cercando, non sapevamo che eravate lì.” risponde Fu ai due che si avvicinano.

Hanno la tuta mimetica  con un lungo coltellaccio che pende dalla cintura ed imbracciano un fucile.

Noi diciamo:  “Siamo venuti a cercare Drago. Aveva promesso di portarci con lui e allora…”

Il marinaio ci interrompe: “Siete scappati!... lo sentirete quando torna.”

“Dov’è adesso?” chiediamo.

“Non sappiamo. Sono andati in perlustrazione e ci hanno lasciati qui a guardia delle canoe... li avete sentiti i tam tam?

“Sapete dove era diretto?”

“Più o meno…laggiù c’è una strada che arriva dalla missione e continua nella giungla, sul confine c’è un grande albero, è il punto più vicino e voleva salirci sopra per osservarla meglio e controllare se la strada era percorsa da mezzi civili. Dovrebbero essere già tornati, aveva detto che stava via un’ora e ne son già passate due.”

“Dov’è questo albero?”

Il marinaio ci fissa rabbuiandosi: “Quante domande…dovremmo mettervi agli arresti e legarvi come salami, gli ordini di Drago vanno rispettati…ma ora siamo preoccupati per lui e non sappiamo che fare, i tam tam provenivano dalla direzione che ha preso. Mi chiamo Tazza e lui Zip…” dice indicando il compagno che saluta con un cenno del capo,  “l’albero da qui non si vede, bisogna spostarsi più avanti.”

“Andiamo!”

“Che dirà Drago?”

“Fattelo dire dai tam tam.”

Saliamo sull’albero per recuperare le frecce poi seguiamo i due uomini camminando quatti al riparo dei cespugli. Arriviamo al confine della giungla. Oltre la savana si estende in un immenso mare d’erba verde oro ondeggiato dal vento, c’è qualche  tronco contorto a fare da scoglio e qualche isoletta d’alberi qua e là, lo sfondo dell’orizzonte è coperto da una nebbia luccicosa di vapori morganici. Sulla riva dove il fiume curva, ad una decina di chilometri, si vede un grosso casone circondato da un’alta palizzata. Intorno ci sono delle capanne disposte a raggera ed un piccolo recinto di capre. A parte queste il luogo appare deserto.

Nella savana si vedono piccoli e grandi branchi di erbivori muoversi lenti con la testa china a brucare, qualche iena a passo ciondolante semi sommersa nell’erba, un grosso  branco di elefanti costeggiare la giungla frugando tra il fogliame degli alberi con le proboscidi, più avanti nel cielo grossi avvoltoi volano in cerchio gracchiando.

Due giraffe ci passano vicine e proseguono scomparendo tra la vegetazione.

“La vedi quella strada che parte dalla missione?” ci chiede Tazza.

“Puntiamo il binocolo, un sentiero di terra battuta largo quattro metri, ne seguiamo il tracciato fin quando entra nella giungla a tre chilometri dalla nostra posizione. In quel punto, proprio sotto dove volano gli uccelli, si alza un albero altissimo con grandi rami protesi verso il cielo carichi di foglie argentate.

Tazza continua: “Voleva salire su quell’albero per vedere meglio e scoprire se i cannibali sono in contatto con la missione.”

Controlliamo col binocolo i rami di quell’albero ed i paraggi intorno senza trovare tracce poi saliamo su una pianta vicina e lo puntiamo sulla missione.

La palizzata lascia scoperto solo il tetto piramidale della costruzione, sulla sponda del fiume adiacente c’è una banchina di legno con quattro barconi ormeggiati,   sull’altra riva la strada continua verso nord ovest in direzione di una catena di montagne che si intravvede vaga tra i vapori morganici dell’orizzonte.

Davanti al cancello della palizzata sul bordo della strada notiamo una figura spettrale nera e rattrappita impalata ad una lunga pertica appuntita. Sembra un grosso scimmione spelato, è troppo lontano per descriverlo con precisione, il palo gli entra dal culo e gli fuoriesce dal collo sostenendolo a mezz’altezza in una posizione grottesca.  

Torniamo ad osservare l’albero, un uccellaccio si posa su un ramo per volare subito via gridando, altri si alzano da terra strepitando allarmati.

In quel momento tre grossi scimmioni neri escono dalla giungla correndo sul sentiero verso la missione. Procedono a balzi, hanno la  pelle scura incrostata di fango, sono alti sul metro e settanta, le fattezze del corpo abnormi, le braccia e le gambe dalla muscolatura possente, il volto semisommerso da lunghi capelli intrecciati con ossa, il naso largo e schiacciato, la bocca aperta ansante per la corsa con grossi denti dai  canini lunghi e appuntiti che sporgono dalle labbra.

Collane d’ossa gli  fasciano i fianchi scendendo come un gonnellino che gli copre i genitali.

Saltiamo giù dall’albero dicendo: “Hanno catturato Drago!”


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