Cap. 6 Il manicomio.



 

               6)   Il manicomio.

 
Prima di tutto una bella canna, canna cannone canone, Arte...ar-te, ar-ra et-te, et-te sta per terra e Ra è il sole degli egizi, sole os-so, osso e terra...solo per pazzi,  impossibile qualsiasi imitazione.

Ci svegliamo in una macchina che si ferma davanti alla porta di una cinta romboidale di mura altissime. Sopra Ia porta c'è la scritta: Mani-cc-omio ed a fianco, piantato su un palo sbilenco, un quadrato con il segno H.

Dipinta sul muro con spray verde la scritta: “W la fi“, dopo il fi si intravvede l’accenno di una g ma qualcosa deve aver interrotto il pittore.

La porta si apre e due cc ci portano dentro, sentiamo qualcosa che cerca di sciogliersi, entriamo in una portineria, meglio dire un ambulatorio dove un medico con due grossi occhialoni da presbite sul naso ed un mento adunco torto verso l’alto con un grosso bubbone peloso sulla punta, seduto ad un tavolo, sta firmando delle carte.

Il medico alza la testa, ci guarda, poi fa cenno ai due cc di andarsene ed esclama, con voce femminile gracchiante e l’erre moscia: “Finalmente!”

“Dove siamo?” chiediamo.

"Questo è un manicomio, non ha visto la scvitta fuovi?”

“Sì, ma che ci facciamo? non siamo pazzi.”

“Dicono tutti così, se non fosse pazzo che ci stavebbe a fave qui?“

A questa domanda non troviamo  risposta così assentiamo col capo e aspettiamo il seguito.

La dottoressa dice: “E’ assegnato al vepavto H, per il momento in ossevvazione, poi decidevemo le cuve adatte, che non si faccia metteve le mani addosso.”

Suona un campanello e dopo un paio di minuti arriva un inserviente zoppo,  arranca trascinando a stampella la gamba sinistra ed indossa scarponi chiodati che ad ogni passo suonano di ferraglia battendo sul pavimento.

Sciogliere sciogliere…La dottoressa gli dice: “Repavto H, tvovagli un posto da qualche pavte."

L’inserviente si inchina poi ci prende per un braccio e ci trascina nel cortile del manicomio. A prima vista sembra un cortile, poi la vista si allarga su uno spazio esteso chiuso da mura altissime e nere da tanto sono sporche. Ci sono piccole collinette e tante fosse scavate, costruzioni sparse piccole e grandi, vediamo su una Ia scritta sqola, su un altra Refetoio, su un’altra Cess, è tutto sgrammaticato ma forse non ha importanza, ovunque ci sono cantieri aperti dove lavorano centinaia di ometti, scavano, battono, perforano, picconano, martellano nel fracasso di ruspe,  martelli pneumatici, trivellatrici, betoniere, un casino infernale.

“Che baccano, cosa cercano?" domandiamo all’inserviente.”

“Cazz!...lavori, lavori, si faccia gli affari suoi.” Risponde sbrigativamente quello.

Zoppicando ci trascina verso una zona alla periferia, un percorso accidentato tra  fosse e  collinette, è tutto fango, rasentando i cantieri arriviamo ad una piccola casetta esagonale bianca col tetto di tegole rosse ed il comignolo.

L’inserviente dice: “Quello che abitava questo posto è scomparso, non verrà più, la casa è libera per il momento, può sistemarsi qui  poi vedremo quel che decideranno…” fa un cenno col muso verso l’ambulatorio. “Si pranza alle dodici ed alle diciannove, là c’è il refettorio…“ lo indica col dito. “Colazione alle sette dopo la messa in chiesa.” col dito  indica la chiesa, una baracca di lamiere tenute su da una intelaiatura di ferro arrugginito con una croce in cima al portone e una campana issata su un lungo palo di legno appuntito. “Se ha bisogno di qualcosa dica a me o al prete, quando c’è.”

Detto questo se ne va zoppicando e scompare tra i reticolati dei cantieri.

Il cielo e plumbeo di smog, nonostante sia mattino inoltrato sembra sera, in giro tra i cantieri e le baracche si muove un sacco di persone, certi in pigiama e ciabatte,  altri in camice, in tuta, in giacca e cravatta, tailleur, jeans e maglietta, zoppicano tutti, non vistosamente come l’inserviente ma zoppicano.

Entriamo in casa. Subito rimaniamo sbalorditi. Pensavamo ad una topaia cadente e invece è un posticino da favola, un nido piccolo, caldo ed accogliente, la stufetta, il caminetto, le mura ed il soffitto affrescati da disegni piacevoli agli occhi,  un tavolo, sedie, una sdraio, libri da tutte le parti e piccoli quadretti, un prato di margherite con una farfalla posata ed una chiave d’oro che luccica, un pianeta vergine che sorge dal vuoto, un castello, un pifferaio, un sole con la stellina,  sembrano codici.

Sul tavolo fogli sparsi scritti a macchina ed un computer.

Buttiamo l'occhio qua e là tra le righe, sembra una storia iniziata, leggiamo di giungle, ominidi, Hegel...il computer è acceso, sul video si intravvede un pozzo senza fondo coperto da una pagina zeppa di lettere indecifrabili, una trappola per gonzi, caso o  necessità? Boh?…

Raccogliamo i fogli e liberiamo il tavolo, più tardi proveremo ad ordinarli ed a leggerli.

Il vecchio inquilino doveva essere un artista, chissà dove è finito, forse ha messo un piede in fallo ed è precipitato dentro la trappola,  “è sparito” ha detto l’inserviente, forse è scappato...

Da fuori arriva l’urlo lacerante di una sirena. Guardiamo dalla finestra e vediamo un sacco di gente in pigiama incolonnata davanti alla porta del refettorio. E’  mezzogiorno.

Non abbiamo appetito ma decidiamo di andare, tanto per farci un’idea.

Il refettorio è in fondo alla discesa a un chilometro, più o meno, dalla casetta. Scendiamo con comodo mentre la fila entra, camminando notiamo d’aver preso l’andatura claudicante dell’inserviente, vai con gli zoppi…arriviamo che sono tutti entrati.

L’edificio è grande, l’esterno pitturato a calce grigio e polveroso con il tetto piatto sopra il quale una grossa ciminiera sbuffa un fumo nero maleodorante, l’interno anonimo senza decorazioni, un grosso mobile pieno di piatti, bicchieri e posate, un finestrone, una grande lampada da sala operatoria aI centro del soffitto sotto al quale c'è un lunghissimo e stretto tavolo con intorno assiepati centinaia di pazienti in attesa del pasto.

Trovare un posto è difficile,  i commensali sono pigiati e ci guardano storto, solo in fondo c’è un angolino libero. Non ci sono sedie, sono tutti in piedi.

Il piano del tavolo è mobile, una striscia di tapis roulant,  “checcazzo è?” pensiamo,  intanto arrivano con il pranzo. Una decina di persone, alcune col camice da chirurgo tutto insanguinato trasportano appesi per i piedi  su uno stendino come abiti due uomini sui trent’anni, un bambino ed una donna grassottella sui quaranta. I corpi sono esanimi, sembrano dissanguati, pieni di tagli  e ferite, un uomo ed il bambino, impercettibile, si muovono ancora.

Gli addetti staccano un corpo dallo stendino, lo sbattono su un tavolo e con dei grossi machete  lo smembrano poi buttano i pezzi sul tapis roulant che si è messo in movimento e porta su la carne distribuendola ai commensali.

Devono avere una gran fame, si buttano sul cibo con un’ingordigia da lupi,  staccano i bocconi a morsi furiosi e li mandano giù senza masticare, una ressa,  spintoni, manate, pugni, insulti. Gli addetti hanno finito di squartare i corpi e li han scaricati tutti sul tavolo, ci vuole un po’ perchè arrivi qualcosa al fondo, per lo più ossa spolpate leccate dal sangue…naturalmente  non tocchiamo nulla invece quelli intorno si buttano sulle ossa è le rosicchiano avidamente, qualcuno lecca le briciole insanguinate sul tavolo che alla  fine del giro è pulitissimo.

Usciamo all’aperto.

Fuori c’è l’inserviente con un manganello in mano e lo batte sull’altra come per cacciare una mosca che gli gira tra le dita. Nonostante sia  zoppo è un omone grosso con i baffi ed ha l‘aria simpatica. “Qualcosa non va?” chiede.

“La cucina non ci piace, portateci in un altro manicomio.”

“C’è solo questo. Se non le piace quel che offre il convento può cucinare da sé,  in casa troverà il fornello e  laggiù…” con il dito indica una tettoia sotto alla quale si intravvede una specie di mercatino. “potrà trovare il cibo che vuole solo che bisogna pagarlo.”

“Come facciamo? Non abbiamo un soldo.“

“Questo non è un problema.” dice l’omone con tono bonario,  “Abbiamo sempre del lavoro per chi ha buona volontà.”

“Bene, che dovremmo fare?“

“C’è da pulire la fogna, dieci euro al giorno, senza fretta."

“Pulire la fogna…” guardiamo il refettorio dove stanno uscendo i pazienti, sono tutti sporchi di sangue, la bocca, i capelli, i pigiami...

“Va bene, puliremo la fogna, quando si comincia?”

“Domattina verrò a prenderla con l’occorrente.”

“E oggi cosa mangiamo?“

“Digiunare non le farà male...domani avrà un acconto.“

Mentre saliamo la strada che porta alla casetta parliamo tra noi: “chi siamo? cosa facciamo in questo posto?” non ricordiamo più nulla, come se fossimo nati varcata la porta del manicomio.

Entriamo in casa. Sul tavolo il computer sta ronzando, il mouse esce da dietro lo schermo e si ferma squittendo sottovoce, proviamo a toccarlo e quello con uno scatto torna a nascondersi. Cerchiamo il filo ma è scollegato dal pc.

Questa poi…roba da manicomio, evitiamo di pensarci e curiosiamo negli armadietti, troviamo una provvista di spaghetti, del burro e del formaggio, meglio di così… mettiamo  su l’acqua a bollire e poi scoliamo un pranzetto da re.

Il pomeriggio non ce la sentiamo di uscire in quella calca polverosa, stiamo in casa, sistemiamo, puliamo, cambiamo posto alle cose, ci ambientiamo.

Nel cucinino c’è un piccolo gabinetto, l'acqua bisogna andarla a prendere fuori ma il torretto è vicino e per il resto è un bijou...c’è anche la luce elettrica ed una radio, cosa potremmo volere di più?

Finite le pulizie proviamo a riordinare i fogli. Il mouse fa capolino da sopra una mensola, agita il filo come una lunga coda, scivola giù dalla parete e sale sul tavolo, afferra un pezzo di carta e velocissimo torna a nascondersi.

Sul tavolo ha lasciato una scia come la bava di una lumaca. Proviamo a seguirla ma si arresta subito. Forse è telecomandato, uno scherzo, domani chiederemo al guardiano.

Riprendiamo il lavoro, molti fogli sono scritti a macchina, altri sono appunti,  frasi,  disegni, giochi di note tra il cerchio e la riga. Le pagine sono numerate, in un paio di ore riusciamo a sistemarle e iniziamo a leggere.

Il merlo, gli abiti senza corpo,  Brigitte ed il trenino, la gara, poi c’è una dissertazione sul peccato originale e sull’inversione di nome e forma, filosofia, arriviamo al dibbuk con la testa che fonde, piantiamo lì di leggere per cucinare un altro piatto di spaghetti poi sonnecchiamo un po’ ascoltando la musica...il mouse non si è più fatto vedere ma sentiamo la sua presenza che rode rintanata nel buco.

Adesso è quasi mezzanotte, fuori c'è un silenzio spettrale, una cupa nebbia oscura avvolge il manicomio, qua e là qualche lampione illumina fiocamente catorci di case, pezzi storti di gru, camion sbilenchi col cassone alzato.

Usciamo per fare quattro passi seguendo il tracciato di un pensiero ed arriviamo ad un muro solitario in mezzo ad una piazza. Al di là ci deve essere qualcosa,  probabilmente il manicomio ha vari reparti e questo è un muro di confine.

Nel silenzio sentiamo una vocina piacevole canterellare:“la-laralala-lallarala- ralala.” Il suono proviene da una fessurina del muro, chi canta dev’essere dall’altra parte. Proviamo a battere dei colpi chiedendo: “C’è qualcuno?”

La voce smette di cantare ed ora silenzio. Accostiamo l’orecchio alla fessura ma non sentiamo nulla, forse immaginazione, sussurri, sembrano grugniti bisbigliati,  come avessimo toccato qualcosa che non voleva essere toccato.

Torniamo indietro seguendo il sentiero verso casa...Questo posto è pieno di misteri, evitiamo di pensare e vediamo quel che succede.

 

Un muro, turbine di pensiero, sciogliere, far uscire l’acqua...getto con l’acca diventa ghetto, senza acca ritorna getto...l’acca è un segnale piantato su un palo conficcato come un ago nella farfalla, un segnale, dove c’è l’acca c’è la c(acca)? 

Al mattino ci svegliamo che è ancora buio con le mutande imbrattate da un’eiaculazione notturna. Che sogno, siamo ancora arrappati. Tratteniamo l’intenzione di masturbarci e ci alziamo. Sul tavolo i fogli sono nuovamente in disordine, molti per terra. Il computer che la sera prima avevamo spento è acceso.

La cosa non ci sorprende, senz’altro è stato il mouse.

Andiamo in bagno a lavarci e ci rivestiamo. Fuori dalla finestra il manicomio langue nella semioscurità dell’alba, sui cumuli dei cantieri si intravvedono delle ombre muoversi con gesti disarticolati come se danzassero.

Appoggiato al video del pc c’è un foglio scritto a macchina che ieri non avevamo notato, leggiamo:

“Il mouse mi sta facendo impazzire, è una lumaca, sbava dappertutto ed è più veloce di un fulmine, ho messo le trappole  ma è furbo e non ci casca, non so più che fare, sono stati loro, i matti di questo manicomio, io non ci volevo venire, mi hanno portato a forza e mi hanno messo questo mostro in casa per perdermi.

Uso la ragione, l’unica cosa che mi lasciano fare, l’intuizione c’è ma non voglio capire, non devo capire, il computer non è cattivo, lui agisce spontaneamente ai comandi del programma, laggiù, nel fondo del Web, il mostro cerca di attirarmi nelle sue spire ed il mouse lo sa, l’avevo quasi preso, è lui il vero computer, l’altro è solo un effetto, il laser lo anima, una trascendenza della vita, una non vita vivente,  un golem! E’ furbo ma lo batterò, il gioco è mortale, questo era previsto, io non sono io, sono un’abitudine, una mentalità appresa di forza, un non essere, una trascendenza della vita proprio come il mouse, ci assomigliamo, ci parliamo, ci intuiamo, le trappole che ho messo non sono servite, le esche non erano abbastanza appetitose, ho deciso! Io sarò l’esca, la forma del male è il bene, vada come vada, la pagina sul video è solo apparenza, dietro c’è la fogna delle fogne, un cimitero sterminato di morti che potrebbero risvegliarsi da un momento all’altro, sono i ribelli crocefissi di Spartaco, le legioni di Varo, i morti del Vietnam,  sempre gli stessi, li trascinano dal tempo mantenendoli vivi nel linguaggio, li hanno isolati a New York, io li libererò,  io farò da esca! non è da capire è…”

“Bum bum!” fa la porta.

“Chi è?"

“Apra! Sono il guardiano del manicomio, si sbrighi!”

 Che ore sono, dov’è? Senza orologio il tempo è sempre sorpresa, arte Arte, una cascata, pisciare cagare scoreggiare mangiare inghiottire…

Posiamo il foglio e andiamo ad aprire.

Il mattino è appena spuntato, una luce senza sole, una nebbia lattiginosa e spessa, l’orizzonte tutto sulla punta del naso schiacciato  da un muro di nulla.

Alla porta c’è lo zoppo, ha portato una cariola con vanga, secchio e qualche straccio.

“Buon giorno, ha dormito bene?”

“Abbiamo un problema con il mouse!”

“Che cos’è?”

“Il mouse del computer, scappa, si nasconde, ci ha di nuovo messo tutti i fogli all’aria.”

Il guardiano scoppia in una risata: “Ah ah ah! Sono tanti anni che lavoro in un manicomio e c’è sempre da imparare, se lo sarà sognato.”

“No, venga a vedere.”

Il guardiano entra. Il computer è acceso, il mouse è sul tavolo, con il filo collegato al pc.

E’ proprio un furbacchione. A questo punto rimaniamo senza parole, il guardiano ha ragione, siamo già in un manicomio…

“Allora, questo mouse?” chiede il guardiano con tono bonario.

“E’ lì, sul tavolo.”

“Lo vedo.”

Proviamo a toccarlo. Il mouse docile scivola sul tappetino senza ribellarsi. Con un clic spegniamo il computer.

Il guardiano sghignazza sotto i baffi: “Che le dicevo? deve aver sognato, ora andiamo a prendere il caffè, venga, è già tardi.”

“Siamo pronti.”

Usciamo, lo zoppo ci fa prendere la cariola e ci dirigiamo verso la chiesa.

“Non sarebbe meglio andare al bar?" chiediamo.

“Perché, ha qualcosa contro la chiesa?"

“Abbiamo perso la memoria, che cos’è una chiesa?”

“Venga che glielo mostro.“

Le lamiere della baracca sono incrostate di ruggine, la porta è di legno massiccio,  sopra la maniglia un foglio con l’orario, sulla destra poco più in là, in piena facciata, una scritta in spray rosso: S0 FAR.

Il guardiano seguendo il nostro sguardo commenta: “Sono gli squat, maledetti,  imbrattano dappertutto, non hanno religione, prima o poi…”

Entriamo in chiesa, odore di incenso misto a sudore rancido, l’aria è gelida. La messa è quasi alla fine, c’è abbastanza gente, in piedi, inginocchiata, seduta, gente strana, sacchi vestiti più o meno da festa, un palloncino legato al cordino che chiude il sacco fa da testa, i palloncini ondeggiano girandosi quando apriamo la porta, hanno i capelli, si distingue il maschio dalla femmina, sembrano vere teste. “Che cosa c’è dentro al sacco?” domandiamo al guardiano.

Quello in risposta alza una spalla sbuffando.

Il prete all’altare indossa i paramenti e sta flagellando a sangue un povero cristo inginocchiato ai suoi piedi mentre i fedeli recitano il padre nostro.

Il povero cristo è coricato su una croce, quattro energumeni gli conficcano i chiodi a martellate poi lo issano ed il pubblico applaude.

Il prete gli squarcia il petto con un bisturi ed estrae il cuore, Io strizza colando il sangue dentro una coppa e dopo aver brindato alla croce se Io beve.

Il sangue lo bevono solo loro, la parte migliore, come i cannibali...

Adesso ha messo il cuore in un tritacarne, escono tante monetine insanguinate, i fedeli si accostano alla comunione ed inghiottono.

I bambini sono i soli ad avere un aspetto umano, sono spinti alle spalle da brutti diavoli che li pungolano con i forconi incitandoli: “Vai,  altrimenti finisci all’inferno!”

Un organo nascosto chissà dove suona una marcetta funebre mentre i comunicati, la bocca sporca di sangue, tornano al banco.

La messa finisce, la chiesa si svuota ed il guardiano ci accompagna in sagrestia.

 

Il prete si sta levando i paramenti, ci guarda ad occhi socchiusi masticando una preghiera e chiede: “Le è piaciuto lo spettacolo?”

“Non sono affari nostri.”

“Risposta saggia…” sospira il prete,  “Lei è credente?“

“Abbiamo perso la memoria e non sappiamo chi siamo e che ci facciamo in questo manicomio...e neppure perchè continuate a frustare e crocifiggere quel povero cristo.”

Il prete ci guarda e ride: "Anche noi..." dice guardando il guardiano per comprenderlo nel noi,  "siamo stati tirati su a frustate, è la prassi.“

Che siano Merdaccia e Linguaccia?

“Ma era a fin di bene! Replichiamo d’istinto.

“E’ sempre a fin di bene!" continua il prete  aggiungendo: “venga che le offro il caffè.”

Entriamo in un cucinino annesso alla sacrestia, il prete prepara il caffè e intanto continua a parlare: “come si trova nella sua nuova casa? Quello che la abitava prima era matto senza speranza, scriveva, delirava...stava lavorando al computer,  ha trovato i suoi fogli? Cosa ne pensa?”

“Abbiamo dato solo un occhiata, non ci pare che delirasse, anzi è lucido e preciso.”

"Delirio...tutti gli artisti…è sparito, negli ultimi tempi si era fissato con la fogna.“

Il guardiano lo interrompe per dire: “Il nostro amico qui si è offerto di ripulirla la fogna.“

“Ah sì?” esclama il prete,  “Bene, il lavoro nobilita l‘uomo...forse scoprirà quel che cercava lo scrittore scomparso, continui a leggere, è un caso interessante.”

“La macchinetta fischia l’uscita del caffè, lo beviamo in tazzina poi il prete ci congeda e torniamo alla cariola.

Il guardiano fa strada tra le case, la polvere ed il fracasso dei cantieri, arriviamo nel  punto dove  ieri notte c’era il muro parlante, di ieri non siamo certi, solo qualche schizzo, il lampione, la cabina del telefono, la piazzetta con l’albero secco al centro e qualche panchina qua e là.

“Non c’era un muro qui?” domandiamo.

Un muro? Mai stati muri qui, questo è un manicomio aperto.” risponde sicuro il guardiano.

Un muro inesistente…a volte i muri inesistenti sono i più difficili da superare.

Finalmente arriviamo alla fogna.

La fogna è nel centro esatto del manicomio, il luogo è deserto.

Un largo pozzo pieno fino all’orlo di piscio e merda cintato dai  ruderi di un antica costruzione, vecchi mattoni scalcinati che chiudono con un muretto tre lati del pozzo, il quarto, dove doveva esserci la porta, è quasi inesistente, pietre affioranti,  erbacce, cocci di vetro, una vecchia scarpa, qualche barattolo arrugginito. Intorno ai ruderi un tempo ci doveva essere una grande aia, adesso è piena di fosse in fondo alle quali stagnano pozze di acqua melmosa, ad ogni buca è piantato un palo con un cartello con sopra tracciati dei segni resi incomprensibili dal tempo, sembra un cimitero di spaventapasseri.

Entriamo dal lato aperto, il guardiano prende un sacco dalla cariola e tira fuori un vecchio pigiama a righe ed un paio di stivalacci sporchi di fango rappreso.

“Indossi questi" dice,  "così non si sporcherà i vestiti.“

“Grazie…cosa dobbiamo fare?”

"Semplice, riempie il secchio e lo va a svuotare in quelle buche là fuori.”

“Non sembra una cosa molto pratica.”

“Perchè?...il piscio viene assorbito e la merda diventa terra, qua buche se ne scavano in continuazione e si ricopre tutto.“

“State cercando un tesoro? Non è sotto terra che va cercato.”

ll guardiano ci guarda sorpreso: “Di che cosa parla?“

“Non sappiamo, abbiamo perso la memoria.”

"Non faccia lo spiritoso. Al lavoro!”

“Va bene...a proposito dell’acconto?"

Stasera verrò a prenderla e ne riparleremo.“

Se ne va zoppicando tra le fosse.

 

Nel peccato originale il prodotto negativo della trasformazione del codice in segno  è il suo non essere, il bello non è merda, per la ragione la religione è merda,  per la religione è merda la ragione, il peso del giudizio è determinato dall’opinione dei più, quel che è fogna nella realtà diventa bene e quel che non è maggioranza è fogna.

Il codice è tramandato nei testi sacri delle varie credenze religiose, per la ragione è uno schifo ficcarci le mani ma la ragione è considerata uno schifo dai credenti, merda da tutte le parti, merda ideale, merda negata per innalzare l’ostia moneta, l’immagine cibo, la trascendenza del cannibalismo preumano che si perpetua nel tempo. Il cannibalismo è male e la comunione è bene, la stessa cosa viene chiamata con due nomi diversi, una divisione solo nominale che si riflette sulla forma.

Nell’evoluzione naturale il corpo tende all’immagine, la strada è a un bivio, o di qua o di là, o inquadrati con la ragione dominante o in galera, criminali,  spacciatori, puttane, figli dei postini mentre dall’altra parte…la forma del male è il bene, cannibali ben pensanti.

Fuori dall’opinione fuori dalla fogna, il giudizio, stiamo lavorando sul piano ideale, è piscio e merda nominale, simbolo, metafora, ci vuole convinzione mentre tiriamo su il primo secchio.

In cima è quasi tutto piscio, un fetore ma cosa non si farebbe per mangiare, piscio con qualche piccolo stronzetto molle che galleggia. Carichiamo il secchio sulla cariola e lo portiamo nella buca più vicina dove lo rovesciamo, splash, che schifo, schifo schizzo, siamo tutti schizzati…

Che cosa sono queste fosse intorno aI rudere? Sul palo c’è un cartello, la scritta è quasi illeggibile, si intravvede un’ H ma potrebbe anche essere una croce, sotto un rettangolo coperto da ditate di merda, proviamo a grattarle e vengono fuori dei numeri, sembra una data oppure delle lettere consumate, indecifrabili.

Andiamo a prendere un altro secchio e lo svuotiamo, facciamo cinque giri e poi ci fermiamo a riposare, di questo passo ci vorrà una vita, sei secchi ed il livello non si è abbassato di un millimetro.

Intuizione da aprire senza pietà, che cosa stiamo facendo? Vuotiamo del piscio con piccoli stronzetti che galleggiano dentro dei buchi scavati nella terra, perchè hanno scavato e cosa cercavano?

Andiamo avanti. La solita luce lattiginosa senza sole illumina la fogna, i rumori dei cantieri giungono attutiti dalla distanza, niente vento, tutto immobile, solo la puzza sembra avere un senso. Dal momento che abbiamo cavato il primo secchio il piscio  ha cominciato ad ondeggiare lievemente e non si è più fermato.

Dal nulla appare sulla scena un grosso cane, un cagnone (canone+g) nero col pelo arruffato e sporco, entra nel perimetro dei ruderi senza curarsi di noi, si avvicina alla fogna, la annusa...poi allunga la lingua sul piscio e ne tira su qualche leccata, solleva la testa, la scrolla con la lingua fuori grugnendo di disgusto e ci guarda crucciato...rituffa la lingua nel piscio e nuovamente ci guarda questa volta ridendo.

Con passo ciondolante si muove intorno al pozzo, annusa qua e là, sembra seguire una pista sotterranea, si ferma e comincia a scavare.

Ci avviciniamo per vedere meglio.

Scava scava il cagnone trova un osso, un bell’osso, con una mano l’accarezziamo e con l’altra prendiamo l’osso. Il cane ringhia ma lascia fare.

Una costola, dalla grandezza potrebbe essere umana, non ci sono segni incisi, l’osso è poroso, molto vecchio, anonimo.

Lo rendiamo al cane, quello lo prende in bocca, lo passa sotto i denti e poi lo sputa e torna ad annusare qua e là.

Un osso e osso sia. Lo raccogliamo e lo posiamo in vista sopra un rudere, poi si vedrà. Riprendiamo la cariola ed il trasporto del liquame, andiamo avanti tutto il mattino, abbiamo perso il conto dei secchi ma per quanto ne togliamo il livello è sempre lo stesso, se di qua togliamo e di là continuano a cagarci e pisciarci dentro questo lavoro non avrà mai fine.

Per una variazione del tema stacchiamo il palo infisso nella buca e con quello rimestiamo nel pozzo mescolando merda e piscio, adesso la poltiglia è bella spessa, tiriamo fuori altri secchi e li svuotiamo, avanti e avanti...il movimento rotatorio provocato dal rimestare continua, la merda ed il piscio girano e nel centro del pozzo si sta formando un vortice. Avanti, riempi e svuota, riempi e svuota...

Si fa sera ed il pozzo è sempre allo stesso livello, il cagnone si è accucciato ad un angolo dei ruderi e per tutto il giorno è rimasto a guardarci. Improvvisamente se ne va e pochi minuti dopo arriva il guardiano zoppo.

“Come va il lavoro?” chiede.

“Procede...la buca dove abbiamo svuotato il liquame è quasi piena ma il pozzo è rimasto tale e quale, non finiremo mai.”

“Meglio, così il lavoro durerà a lungo e non resterà disoccupato. Per oggi basta,  andiamo.“

Siamo illordati di merda dalla testa ai piedi, non è il caso di cambiarci. Posiamo il secchio  e seguiamo il guardiano verso casa. Arrivati ci dà qualche soldo in acconto e se ne va.

Ci  laviamo al torretto poi ci cambiamo e facciamo un salto al mercatino per fare spesa. Il mercato ha l’insegna M-SPACIO, è scadente ma in compenso i prezzi sono bassi.

Adesso abbiamo appena cenato, siamo stanchi e la poltiglia di merda e piscio sta continuando a girare dentro di noi, chissà che verrà fuori?

 

Non è facile copiare da un libro scritto miliaia di anni fa da un bastardo più astuto del diavolo zeppo di trabocchetti e false piste, la forma del bene è il male, il giudizio limita il campo d’azione delle parole, una finestra a due ante, una aperta e l’altra chiusa, la visuale è da aprire completamente.

Ci siamo assopiti, forse nel dormiveglia sognavamo, gli occhi aperti nel buio, il mouse era di fronte al video del pc che rifletteva il costato di Gesù Cristo sofferente e con una cerbottana invisibile gli lanciava dardi acuminati, il costato sanguinante grondava dolore che illuminava la pagina dove stavamo scrivendo.

“Il precipizio era lì a portata di mano…“ la frase ci ronzava nei pensieri e ci piaceva, intorno il filo si ricamava in probabilità eccitanti, almeno per l’Arte,  vedevamo tante storie che si potevano originare dall’idea, tutto stava a scegliere quella giusta.

Riaprimmo gli occhi consapevoli del rischio, noi potevamo essere precipitati nel fondo del web ed il manicomio era conseguente, questo non poteva non essere previsto e la cosa ci rassicurava ma occorreva annullarsi in un unico attimo agente fuori dal tempo, la trascendenza valicava se stessa, il rapporto si invertiva, a trascendere era tutto il resto.

Il mouse è sul tavolo inerte come un oggetto qualsiasi e la pagina di dolore spenta, ci rolliamo una canna e la fumiamo scartabellando gli appunti dello scrittore scomparso.

Note con punti interrogativi sulla fontana, scrive di un’acqua solida ed una liquida, proteiforme, si chiede quanti sono i getti, se vanno presi in considerazione tutti o solo uno. Riflessioni sul mito di Giuseppe d’Arimatea: “Dopo la distruzione della fontana un getto viene portato e nascosto in un posto sicuro, la mappa è tracciata nel linguaggio di tutti i popoli, è associato alla spada nella roccia o è solo una variante tra tante per confondere?”

Un appunto: “probabilità fontana smontata, suoni di richiamo, riflessi condizionati,  cercare nella merda e nel piscio, non capire…”

Dopo un giorno passato a mescolare merda e piscio è troppo!

Chiudiamo il libro e andiamo a fare quattro passi.

La sera è buia e fredda, l’aria fumosa raschia in gola, i lampioni accesi fan luce sui reticolati e gli scavi dei cantieri, case sparse, sentieri più o meno visibili, insegne di bar ancora aperti, dentro fumo e vocio, impossibile distinguere,  grida,  risse,  bottiglie rotte, allunghiamo il tracciato del pensiero ed arriviamo alla piazzetta del muro.

L’albero secco, la cabina del telefono, le panchine scrostate...stamattina quando siamo passati con lo zoppo il muro non c’era ed adesso eccolo di nuovo lì, un muro inesistente fatto di nulla eppure indistruttibile, almeno all’apparenza.

Ci avviciniamo in silenzio, ancora quella vocina canta: “lallaralallarala…lalala… laralala…lala…” quel suono risveglia un ricordo antico, una pagina di dolore che credevamo scomparsa per sempre, un richiamo calamitante al precipizio, l’anima gemella al di là di un muro d’odio, non servono domande, Piramo e Tisbe, un maremoto di emozioni mancate sepolte sotto la merda della necessità...troviamo la fessurina nel muro e proviamo a chiamare, battiamo dei colpi, dei calci...la voce tace immediatamente, accostiamo l’orecchio: in un silenzio ostile sentiamo catene cigolare, grugniti, colpi di frusta, odio e di nuovo silenzio.

Per stasera non canterà più. Sediamo su una panchina di fronte al muro e gli parliamo, la necessità, la più bella sul piatto e dover rinunciare per vergogna e pregiudizio, meglio con un altro che con noi, quel che credevamo, amara decisione ma che fare?

Un futuro da cretini con la donna dei sogni, soli contro tutti, senza un soldo,  inseguendo cosa? Adesso, col senno di poi, che amore sarebbe stato? E’ andata così ed ora quel muro, amo ed odi, tornare indietro rifaremmo  lo stesso, quante volte l’abbiamo fatto?

Meglio con un altro che con il figlio di un postino, genio, talento, creatività per cosa? Tutto il nostro amore, se fosse qui adesso le diremmo…

“Succhiami il cazzo puttana!“

“Fottiti pezzo di merda!“

Chi ha parlato?...le voci sono uscite da un angolo buio in fondo alla piazzetta vicino al muro, una voce di ragazzo ed una da ninfetta sboccata, guardiamo ma non si vede niente, silenzio, forse allucinazione.

Ascoltiamo se ci sono altri rumori, nulla, possiamo continuare, dove eravamo rimasti? L’anima gemella…scegliere tra una vita incerta e la certezza dell’oggi di allora, la libertà, la casa, le puttanelle, la vita d’artista...chi ha guadagnato, chi ha perso? Eppure quanto amore, un oceano di amore sempre in burrasca, tra le nostre braccia, la poesia, ti diremmo…

“Succhiami la merda dal culo zoccola!“

“Appiccicati i coglioni alle orecchie, stronzo, dai un taglio."

“Passa la bomboletta, sbrigati!”

“Toh! mezza sega sborrata.“

“Psst fsstss tss psss!“

C’è qualcuno laggiù che sta usando uno spray, nella semioscurità si intravvede un ragazzino col viso dipinto  ed una ragazzina in minigonna, il maschio sta scrivendo sul muro, ci alziamo per andare a vedere ma quelli si accorgono di noi e scappano a gambe levate.

I loro passi veloci accompagnano la sorpresa poi svaniscono nel labirinto dei cantieri.

Sul muro, in bella vista, c'è scritto FACCULO FOR EVER sottolineato più volte, che si possa parlare ad un muro inesistente passi ma che ci si possa anche scrivere…

Per terra, semicoperta dal fango, c’è una penna d’aquila, forse persa dal ragazzo,

Devono essere squat, una nuova tribù, probabile...

La magia sta lentamente svanendo, ritorniamo a casa senza pensare, almeno ci proviamo.

      

                        Lo scheletro del sistema.  

 

Di buon ora scendiamo per la fogna. Nel tragitto c’è la piazzetta dell'albero secco, una coppia di vecchietti seduti ad una panchina butta becchime ai piccioni, la cabina telefonica è fuori servizio, nessuna telefonata, il muro inesistente ha ripreso la sua consistenza di nulla, forse appare solo al buio quando la noia si fa gas e intossica la mente...nella zona al di là del muro c’è un piccolo borgo, le case sono più eleganti ed all’entrata della via principale c’è uno strano monumento alla scala zoppa, vago e solitario nel ronzio dei cantieri.

Sciogliere ubriaco lucida arte...indossiamo il pigiama da carcerato e gli stivaloni, l’odore di merda ci segue, nel manicomio son tutti pazzi, pazzi e zoppi,  suona il tic tac claudicante dello scalpiccio sui marciapiedi, abbiamo imparato con lo zoppo e zoppichiamo…

Arriviamo alla fogna...è un mattino infame, la solita nebbia lattiginosa quasi irrespirabile, il pozzo trabocca di merda e piscio eppure siamo allegri, non esageriamo, allegretto andante causa forza maggiore.

Prendiamo il secchio e la cariola, il liquame sta ancora ruotando, ci sono bolle che salgono in superficie esplodendo in blob nauseanti, almeno è in movimento,  intingiamo il secchio e lo riempiamo poi lo carichiamo sulla cariola e spingiamo verso un’altra buca da riempire. A che può servire?

Il fondo della fossa è vuoto, fango e immondizia, un morto inesistente da seppellire nella merda, il nome sulla data illeggibile, la probabilità di un avversario formidabile che il giudizio rende invisibile per la trascendenza umana…pura bestialità.

Dovremmo vedere prima che cosa non è, non siamo noi, è la nostra forma, un codice inserito dal transfert generazionale, un totem.

Non è merda, è un simbolo.

Dai ruderi probabilizziamo che un tempo doveva esserci un castello, il castello è stato smontato ma sono rimaste le fondamenta che vengono utilizzate per contenere la fogna. Siamo di fronte ad uno specchio e quello che vediamo riflesso non è Amore ma una fogna piena di merda e piscio che per quanto se ne toglie rimane sempre piena, una fogna dove confluiscono gli scarichi di tutte le fogne, la fogna delle fogne, forse il capro espiatorio della pazzia umana.

Non ci piace ma quando si lavora con il canone ci vuole perfezione assoluta.

Il peccato originale ha invertito e capovolto la ragione, la testa sta sotto insieme al cuore mentre i piedi stanno sopra e schiacciano il corpo, forse dovremmo vederla al contrario, capovolgerla oppure fare in modo che il sotto venga sopra oppure tirarla fuori in verticale, sfilarla, una lunghissima colonna di merda, farla esplodere o lanciarla come un missile, un getto a fontana...

Non è merda, è amore e allora perchè lo vediamo come merda?

Svuotiamo il secchio nella buca, anche in questa c’è un palo con una scritta, si vede l’H e poi una data indecifrabile. Rimestare...giriamo il palo nel liquame,  pozzo pazzo pizzo pezzo puzzo oppure zappo zippo zeppo zuppo zoppo...quanto è profondo, in quale abisso si nasconde la fontana? Aggiungiamo la zappa al palo per cercare il fondo, non tocca, ci vorrebbe una canna più lunga, un cannone o un cagnone? Il cagnone è tornato, si avvicina e col muso ci tocca una mano, Io accarezziamo, povero cagnone strapazzato, povero chi? nessuna pietà, nudo e crudo. Il cagnone abbaia: “Uab uab...ozzap ozzop oppaz acus...parla al contrario, il senso di lettura andata e ritorno del pendolo, il gioco è solo per pazzi, interessante,  “che vuoi dire?” gli chiediamo.

Il cagnone si dà un’energica scrollata sprizzando nell’aria pulci pidocchi e pezzetti di rogna poi torna ad annusare il terreno ed i ruderi, esce dalla fogna e ci guarda...forse cerca di tirarci fuori, fuori dalla fogna, ci siamo dentro, uscire, perchè no? Come si fa? C'è una pista da fiutare solo che puzza e Io schifo copre le tracce, può essere. Spalmiamo merda sul panino, il piscio ammorbidisce, inzuppa,  bella cagata, un morso...non sa di merda, è buono...psiche illumina amore, non è pazzia, è Arte.

Ozzap, ozzop, oppaz, acus, pazzo pozzo zappo suca, suca è una forma dialettale e sta per sucare, prendere o succhiare, prendere e succhiare tutta quella merda? Acus, ac-us, ac è la radice dell’ac-ca, us è la forma di su, us in inglese è noi oppure ci, siamo noi, usci?

L’incerto in sé da fluire nella corrente, scappucciamento dell’io, l’interno del sacco, il nostro corpo negato, va be’ che il piscio ammorbidisce…forse nel fondo c’è uno scarico, un modo per far defecare e orinare la fogna...

Come il corpo mangia il cibo e poi caga il prodotto negativo della digestione anche la ragione che mangia i segni deve avere un culo per scaricare la negatività, se non caga la merda si ammucchia, gonfia, esplode, merda da tutte le parti. Dov’è il culo della ragione, che cosa lo tiene otturato?

Bella domanda, l’Arte sborra, la sborrata è un getto di idee che si lanciano a fecondare l’ovulo che darà corpo all’idea, una corsa di spermatozoi e solo il migliore arriverà in meta, mettiamo in cantiere, si varano navi per le stelle.

Intanto riempiamo secchi e li svuotiamo, un lavoro noioso ma almeno guadagniamo la giornata e mangiamo, è come cavare un ragno dal buco, il ragno si rintana, non vuole essere cavato ma lo sarà, eccome lo sarà.

A mezzogiorno facciamo una pausa per un panino al salame, allusione?

Il cagnone  guarda con occhi imploranti, gli tiriamo qualche boccone, lui  mangia senza curarsi del sapore di merda. La fogna sta assorbendo la storia, forse lo ha già fatto, è una trappola mortale, quanti ci sono caduti dentro e non sono più tornati? Non è merda eppure lo è, l’inganno è ben studiato, una ragnatela per allocchi coprofagi, ci vuole molta pazienza.

Più svuotiamo più si riempie, inesauribile, anche il getto della fontana lo è, facile collegare il senso eliminando l’inversione nominale ma sarebbe da pazzi affrettare la conclusione.

Per oggi basta merda, facciamo arrivare sera, il cagnone se ne va ed arriva il guardiano. "Come va il lavoro?” chiede.

“Procede.”

“Bene, si vede che  è un lavoratore,  se continua così farà carriera.“

“Dopo tutta la merda mangiata non ci interessa  far carriera, vorremmo ritrovare la memoria, ritrovare noi stessi.”

“Il manicomio è fatto apposta, siamo qui per aiutare i malati.“

“A zoppicare…“

“Come?...qui non zoppica nessuno, lei piuttosto col suo strano modo di ragionare sta contagiando i pazienti. Ho un invito a cena a casa del prete per domani sera, verrà?“

“Dipende dalla cucina, non siamo cannibali.”

“Quante storie per uno che muore di fame, lei è pieno di pregiudizi.”

“Cosa vuole il prete da noi?"

“Tanto per farsi un’idea, è molto curioso. Domani sera passerò a prenderla, adesso vada a casa, per oggi ha cavato merda abbastanza.

Arriva la sera, tacciono le ruspe ed i martelli pneumatici, si accendono i lampioni,  nella piazzetta il muro di nulla sta crescendo, una doccia al torretto, un po’ di cena...salta il grillo tra i tic tac dell’orologio.

 

Fuori dalla fogna per fare il punto. Siamo prigionieri nella torre e stiamo scrivendo,  a che cosa serve lo sappiamo più o meno calcolando l’incertezza ed il rischio.

Sulla pagina si accendono tutte le televisioni, la fogna nella centrale momentaneamente in pause, quelle intorno su svariate probabilità. Tutte queste televisioni sono su una consolle ideale piena di bottoni, leve, led lampeggianti, aghi oscillanti su numeri e lettere, la forma di un computer, tutto questo mondo è un computer e funziona nello stesso modo con la differenza che un computer elettronico viene caricato dall’esterno mentre in questo il programmatore lavora all’interno e si autocarica crescendo, assorbendo segni i cui codici elaborati producono idee da realizzare. Finita la storia le si “impacchetta” in un unico segno idea per la prossima storia da scrivere.

Il giudizio è una trappola, giudicare le parole in buone o cattive svia la ricerca allontanandola dalla verità. Il mostro è in prima pagina, va spellato vivo e fatto a pezzi con  metodo.

Molti uccelli trasformano la polpa in energia per volare e cagano il seme da far germinare. Siamo nella merda e ne dobbiamo uscire, un problema esclusivamente logico.

Amore che al primo giorno programmava la storia doveva aver previsto tutto e stampò un libro scritto in codice nel linguaggio che solo lui poteva capire e  trasferita la parola scomparve. 

L’ecce homo è un’indicazione in codice, Om potrebbe stare per Omero, omero è un osso, di Omero è rimasta l’Iliade e l'Odissea, l’attribuzione è incerta, questi due poemi sono solo un estratto di quello che doveva essere una storia infinita, una storia che si trova frammentata nelle mitologie di tutti i popoli compresa la bibbia.

La nascita degli dei, i semidei come Perseo e Dioniso nati da madre vergine e un dio con padre putativo, gli eroi, le guerre, l’accavallarsi dei popoli e dei miti, il cavallo di Troia, la caduta e la diaspora dei troiani, il ritorno dei greci e via così, la storia continua, le poche tragedie greche sopravvissute alle calate dei barbari ed ai roghi dei preti raccontano di  Prometeo incatenato e di uomini formica, di Edipo e della Sfinge, ecc. sono tutte storie che dovevano essersi evolute da quel primo libro come anche la caduta di Atlantide di cui parla  Platone e le favolette di Esopo.

La storia della fondazione di Roma come è descritta nell’Eneide è ambigua e presenta molte incertezze, Virgilio doveva magnificare la gloria di Augusto e della gens Julia e manipolò il contenuto a tale fine ma se si guarda senza opinioni e si scappuccia l’apparenza si vede una riedizione del mito del graal, Enea scampato alla distruzione della Fontana porta il getto in Italia, da qui segue Romolo e Remo nati da Marte e da una vergine, il ratto delle sabine, l’allargarsi del linguaggio latino e delle storie contenute a tutto l’impero quindi Giuseppe d’Arimatea trasferisce il getto tra i briganti inglesi che espandono il linguaggio al loro impero ed infine New York, più precisamente lo slang di New York.

Virgilio come Ovidio nelle Metamorfosi e Lucrezio nel de Natura presero le loro storie da tradizioni che venivano tramandate dal passato per via orale che a quei tempi dovevano essere ben conosciute e naturalmente aggiunsero del loro, cambiarono nomi,  località…

Da quei  miti sono seguiti un’infinità di storie sempre le stesse ed ognuna presenta delle varianti che comunque non alterano l’ossatura originale.

Ad esempio bagascia suona con geisha, Amore aveva fantasia  a battezzare le bertucce e  non  giudicava le parole, questo fa probabilizzare  un codice di lingue iniziali in scala cromatica tra l’inglese(si) e l’italiano(do) che comprendeva  il giapponese(ni-ppon). SI-NI-DO, do ni si, Dionisio?

Alla distruzione del castello si ruppe l’unità, la causa prima del linguaggio, di conseguenza  le lingue fluirono incerte modulandosi al castrone che le limitava ed evolvendosi ognuna per conto suo, la torre di babele.

Quale fu la causa che provocò la fine della fontana si vede dai miti tramandati, un immane cataclisma, il diluvio universale presente in tutte le mitologie del pianeta,   segno che comunque presenta qualche incertezza.

Il diluvio non seppellì completamente la civiltà, la frammentò isolando i nuovi linguaggi che si venivano a formare.

I miti originali tramandati si evolvettero separatamente mantenendo intatta l’ossatura che veniva “ripiumata” di nuovi nomi e nuove località e custodita dai preti nel tempio, il segno che accertava i nuovi linguaggi.

Questo probabilizza che nella caduta del castello i preti in qualche modo devono averci messo lo zampino.

Esempio a cui riferirsi oltre alla caduta dell’impero romano c’è Alessandro Magno, alla sua morte l’impero si suddivise in parti incerte che vennero riaccertate da castroni del suo seguito, come i discepoli alla morte di Gesù, sempre mantenendo il potere religioso intatto, la storia è piena di esempi simili.

Il movimento della storia, il fluire delle opinioni  è determinato dai totem.

La figura del prete è solo apparenza, l’abito non fa il monaco, sotto ci deve essere un’astuzia di prim‘ordine limitata comunque da un certo cliscé che ad occhio esperto rende le sue mosse facilmente prevedibili.

Ci sono tasti che è meglio non toccare.

L’ossatura della lingua latina originale di cui, come dice quel brigante di Walter Scott, anche l’inglese è parte, nacque dalla fusione dell’etrusco con il greco parlato nel sud Italia che nel corso dei secoli si era italianizzato fondendosi con i linguaggi delle popolazioni sottomesse e probabilmente c’è un cappuccio lasciato dai galli boi di Brenno che popolavano il nord Italia.

Per quel che riguarda l’origine  in Italia è indicativo il fatto che quei secchioni di barbari non distrussero Roma, sede del papato ma fecero tabula rasa di Firenze.

I preti egizi riprogrammarono  un nucleo di schiavi con  comportamenti formali e linguistici precisi, gli ebrei, quindi lo isolarono dal contesto e lo sparpagliarono sui resti dell’impero romano distrutto influenzando le figure dei nuovi linguaggi che si venivano a formare.

Qualcosa del genere deve essere avvenuto o sta avvenendo anche in oriente.

Nella bibbia l’ossatura originale  è rispettata, cambiano i nomi, le località, gli scopi con l’aggiunta di qualche favoletta come Adamo ed Eva ed il peccato originale.

Si probabilizza la possibilità, attraverso un codice di linguaggio scritto, di cambiare le figure del linguaggio parlato, proprio come in un computer e questo probabilizza l’esistenza di un sistema psichico interno ed esterno all’uomo.

Gli ebrei in questa storia sono solo strumenti, il loro comportamento si perpetua con il transfert generazionale e non sono coscienti delle loro azioni, esattamente come il resto dell’umanità che hanno infettato.

Il gioco è spietato, nel fondo della fogna giacciono ancora vivi nella memoria i morti di tutti i loro pogrom aggiornati dall’ultimo e diretti al prossimo, morti che nella realtà non esistono e che potrebbero risvegliarsi insieme ad eserciti sconfinati di altri morti, l’olocausto nucleare, gli indiani d’America, ce n’è un’infinità.

La bibbia da sola andava bene per gli ebrei o gli inglesi  ma in Italia ci voleva un codice più complesso, un altro libro che in qualche modo rispettasse le tradizioni orali. La preparazione fu lunga e laboriosa e venne applicata sugli schiavi romani da cui gli attuali europei, dall’Atlantico agli Urali, discendono.

La via crucis dei ribelli di Spartaco e il crocefisso sono riferimenti precisi.

A questo punto entra in gioco Gesù Cristo, il povero cristo, il più immerdato dei figli di dio della mitologia.

Come ricorda quell’ubriacone di Bulgacov l’unica prova oltre ai vangeli della sua esistenza sono poche righe di Tacito sugli Annali.

L’ossatura del suo mito è ricalcata fedelmente dalla trasposizione delle figure di Ercole e di Romolo, figlio di un dio con madre vergine e padre putativo, le fatiche raccontate nelle parabole e l’immolazione finale sull’Oeta Golgota con conseguente rinascita e apoteosi. Nella figura di Romolo la madre Rea Silvia viene prima sepolta viva e poi elevata al cielo.

C’è qualche analogia anche nella figura di Socrate e di riflesso, per la mentalità dei primi cristiani che mettevano le loro cose in comune, in quella di Pitagora.

La sua esistenza reale è incerta, comunque il codice è ben rappresentato, Amore, i dodici della scala cromatica, le bagasce riconvertite in bestie ed il castello diventato Chiesa dove la crocifissione si ripete a monito degli schiavi dagli Urali all’Atlantico.

È da notare che gli ebrei, negando Cristo, ne prendono la forma.

Amore quando stampava il libro nel linguaggio doveva aver previsto quel che sarebbe avvenuto  e tra le righe inserì dei codici che solo lui poteva capire ed ora abbiamo capito che è meglio non capire perché non c’è proprio niente da capire.

Il risultato è la ragion di stato ed il fine giustifica i mezzi, come diceva quel pacchista di Machiavelli.

 

Mattino, pigiama da carcerato incrostato di merda secca, stivaloni, marciare.

La piazzetta dell’albero secco, a parte qualche piccione solitario che cerca intorno alle panchine qualche briciola dimenticata, è deserta.

La cabina telefonica ha la porta scardinata, la cornetta pende inerte per il non uso. Il lampione un palo spento. Il muro non c’è ma lo sentiamo, invisibile e presente, impenetrabile.

Oltre il quartiere elegante del manicomio non brilla offuscato dalla nebbia lattiginosa, piccola deviazione, il monumento alla scala zoppa apre e conduce,  sciogliere…una scala doppia, comune, da imbianchino, poggia su un piano di pietra, una parte manca del primo piolo, il do modulante della successione cromatica è stato sostituito da una zeppa a priori, i pioli modulati dal giudizio sono incerti, l’aspetto è traballante, scala sociale simbolo borghese.

Il segno sta tra due codici, uno maggiore a cui il segno appartiene ed uno minore   che dà forma al segno, siamo dentro  un computer, un mondo virtuale, una metafora, segni che si ripetono cambiando forma rappresentata, un enigma, un aspetto della fogna, interno o esterno?

So e non so, osso e non osso, sappiamo e non sappiamo, io non è noi, la forma dell’io è noi, noi adesso è segno, la forma del noi è un codice di pronomi a cui il noi appartiene come io, tu, egli, essi, voi ed anche I you, he she it, we, you, they, tutti i pronomi di tutte le lingue parlate. Il codice maggiore accertato ora è segno e non è io, tu, egli, noi, ecc. Che cos’è?

Domanda interessante.

La probabilità di salire quella scala traballante non esiste, arrivare è crollare, il nobile non è figlio del postino, la forma del nobile è il figlio del postino, il giudizio zeppa la scala di non esseri incerti che durano finchè dura la moda che li contiene. Una bolla di sapone.

Un codice software di credenti limitato da un segno hardware di credenza, un totem zeppa. Confronto interessante.

Quando il segno, la moda, passa, il codice fluisce a nuove certezze, quel che trova, come nell’elettrolisi, va dove si mangia.

Pubblicità, probabilità interessante.

L’anima  gemella tra quelle case fondo rovesciato di piramide anima il non essere figli di postino del codice dandogli apparenza regale, all’angolo le Poste,  imbuchiamo la lettera...la risposta scorre sotterranea ad alimentare la fogna.

Nel perimetro dei ruderi una volta c’era il castello, c’era una volta il castello, inizio d’una favola in realtà l’orlo di una trappola mortale.

Oggi c’è, oggi non c’è. Il cagnone scava e dissotterra ossa, una costola, una scapola, un omero...ossa, reliquie, la chiesa custodisce il codice ma dentro la chiesa non c’è, solo merda, nient’altro che merda, merda da tutte le parti.

Nella fogna la merda ed il piscio ribollono, questa non è merda corporale, è merda significata tale da un pregiudizio, un’opinione, un virus immesso nella fontana, un virus che chiama segno un codice di non essere, sembra merda ma non è, è Amore, Arte.

Le ossa si ammucchiano, la fogna è un osso duro da rodere, continua la serie,  reliquia, osso sacro, piano su piano si compone l’allegoria.

Chiusi dentro un manicomio a svuotare una fogna che non si svuota, il manicomio è un luogo chiuso diviso da mura inesistenti su cui si può parlare e scrivere, un ghetto di ghetti, ghetto è getto con l’h, H è il virus? Idrogeno mescolato all’ossigeno dell’acqua, il virus dalla prima pagina sotterrata nel fondo del web getta i tentacoli, diventa un polpo, un cancro, Amore malato, sta morendo, ci vuole una cura adeguata, perfezione assoluta.

Un mondo virtuale chiuso con l’uscita bloccata da un pregiudizio, un mondo chiuso potrebbe essere il ventre materno, dentro il bambino vuole uscire, l’uscita è la fogna bloccata da merda e piscio nauseanti...il getto è in fondo aI pozzo ma il fondo potrebbe essere il ghetto, siamo già aI fondo, è tutto al contrario, sembra la superficie solo perché è chiamata così ma in realtà è il fondo, la superficie sta laggiù in fondo, sembra fondo ma è la superficie...non è merda, non è piscio, è Amore, la bellezza, la poesia, arte,  cortesia trasformati in merda dalla scala zoppa, invidia, pregiudizio, vergogna.

Continuiamo a girare intorno alla fogna senza deciderci, come Frodo sul cratere di Monte Fato, buttare l’anello che dà forma all’oscuro signore...

Noi! Un tuffo in quella merda capovolta ma siamo capovolti, come ci tuffiamo? L’apparenza è diritta ma in realtà è rovesciata, abbiamo la testa in alto ma siamo a testa in giù con i piedi che svolazzano nella luce artificiale, ci tuffiamo di piedi cioè di testa o di testa cioè di piedi?

Il feto è rovesciato, parto difficile, Arte sublime solo per pazzi, i morti sono vivi ed i vivi sono morti, per rinascere bisogna prima morire, invertire la morte, vivere.

Un osso duro, sciogliere sciogliere, un nodo  lega il certo all‘incerto, due fili contrari spezzati e legati insieme  dal peccato originale, invertire, eliminare il corto circuito,  parola con parola e corpo con corpo, puro nome e pura forma.

Se ci buttiamo di piedi ci buttiamo di testa, non è merda è Amore, non fa schifo, sotto, cioè sopra, potrebbe esserci il nulla, uno specchio che inverte, se ci buttiamo di piedi risaliamo di testa, se ci buttiamo di testa risaliamo di piedi, adesso i piedi sono la testa...ci buttiamo di piedi! Alea iacta est! Splash…

A testa alta, blob blob blob...merda e piscio ribollono, la fogna inghiotte, ricopre,  risucchia, partire viaggiare, morire eppure vivere, nessun odore sensazione emozione, freddo forse buio, nulla a occhi chiusi, nulla a occhi aperti, nulla, oltre la soglia della pazzia, oltre tutto, disintegrazione del limite, discesa, velocità,  accelerazione, esplosione, fulmine, danza forsennata di uomini lupo ululii strada alla luna lungo scivolo oblio effervescenza inebriante ogni tamburo che suona e ritmo ritmo ancora ritmo tututum tututum accelerato forsennato di più un immenso cuore che esplode insanguinando di luce tutto l’universo…assenza dell’essere,  vuoto, poesia germoglio che cresce da un sasso gettato nel nulla...I piedi toccano il fondo, rovente, brucia, infoca, luce, un boato assordante, una luce accecante, la culatta rincula, tubo di cannone, cannonata, proiettile, risaliamo a testa in su, la corsa rallenta, siamo ancora vivi, esce la testa, il corpo, fuori dalla fogna,  camminare…

Siamo sempre nel ghetto e si è fatta sera. Una grande luna piena illumina lo scuro che ancora rimane, la fogna è un ribollire caotico di magma incandescente che annuncia l’esplosione del vulcano, la terra trema, c’è vento, profumo di novità.

Adesso siamo uno schema base, uno scheletro.

Lo scheletro è completo, perfetto, rilassando le ossa delle spalle sentiamo le ali aperte pronte a volare. Denti, costole...tutto al suo posto. Le ossa  luccicano percorse da  sciami infiniti di lettere risplendenti il sole...schema, embrione,  crescere.

Ogni cosa è ancora al suo posto, nella piazzetta dell’albero secco il muro di nulla si è alzato, adesso è una diga che argina il mare di merda che ricopre la scala zoppa, tutta la merda è tornata al mittente.

La scala può crollare da un momento all'altro e la merda inonderà il ghetto,  allontanarsi, chi c’è c’è, chi non c’è affari suoi.

L’odio è scomparso, adesso la storia può continuare, le probabilità illuminano  prospettive grandiose.

 

La realtà è com’è, non ha bisogno di specchi per guardarsi, alibi, scuse, spiegazioni, giudizi, il ghetto era nella ragione ora è la realtà, quel che si suol dire  l’osso della questione, parole inganni trappole, se si prendessero tutte le parole che son state pronunciate dal primo giorno ad oggi da tutti gli uomini e le si pesassero il risultato non bilancerebbe  una scorreggina di pulce.

“Toc toc” alla porta della torre.

“Avanti!”

Entra il guardiano zoppicando. “C’è la cena dal prete.“

Non ci volevamo andare ma abbiamo cambiato idea, la strada, passaggio obbligato, sfasciare tutto senza pietà.

Sembra di entrare in un video di hard rock con tutti gli scheletri che danzano impazziti, uno scricchiolio da brividi ma qui è peggio della merda, carne putrefatta sotto i vestiti, vermi che escono dagli occhi marci, dal naso, dalle orecchie, dalla bocca, dalle vesciche sulla pelle...gli abiti sono ben stirati e l’apparenza si salva.

Andiamo. La casa del prete, la canonica è nel quartiere della scala zoppa,  sotterrato dalla merda, come entrare?

Il guardiano, meglio chiamarlo Merdaccia, dice: “Bastardo! Hai combinato un bel disastro. C'è un passaggio segreto sotterraneo, è ancora in piedi ma non lo sarà per molto.”

"Silenzio schiavo e fai strada.“

L’entrata è nella piazzetta dell’albero secco, girando la cabina telefonica si scopre un tunnel buio che sprofonda nell’abisso.

Merdaccia accende una torcia elettrica ed entriamo. La strada scende per una decina di metri poi prosegue in piano passando sotto il muro inesistente verso la chiesa. Il pavimento è fangoso, le pareti sono tappezzate di teschi, file e file interminabili di teschi sghignazzanti sulla storia, si potrebbe riassumere una feroce realtà ma sarebbero solo parole, dejà vu...

La galleria si allarga in un lungo corridoio con tante porte insanguinate, le porte sono chiuse ma non abbastanza per coprire il fragore instancabile di una marcia nel nulla, urla, richiami, singhiozzi, lamenti, ghigni...l’inferno reale nascosto sotto la chiesa, estetica, si guarda e non si tocca.

Una porta si apre nella canonica. Il prete è seduto a un tavolo quadrato apparecchiato a puntino, una zuppiera fuma su un lato, piatti,  posate,  profumo di carne.

"Avanti!” dice il prete.“

“Ciao Linguaccia, ne è passato di tempo.”

“Bentornato Bastardo, chi non muore si rivede, ti trovo ossuto, lavorare alla fogna dona alla linea... fa piacere ritrovarsi ogni tanto per una cenetta in famiglia.”

Sediamo di fronte alla zuppiera, Merdaccia e Linguaccia ai lati.

Il prete dice: “Hai detto di non essere cannibale, naturalmente non ci ho creduto così ho preparato un piatto che senz’altro ti piacerà.“

Infila il mestolo nella zuppiera, mescola il contenuto facendo salire una nuvola di vapore verso il soffitto, annusa compiaciuto, tira fuori un cuore gocciolante sangue fresco e ce lo mette nel piatto, poi estrae una mano destra e la serve a Merdaccia, una mano sinistra e Ia serve a sè.

Mangiamo frammezzando chiacchiere tra uno scheletro e due corpi in putrefazione, brindisi, battute spiritose, rievocazioni di quando andavamo a caccia i primi giorni del mondo.

"Fate schifo!” diciamo ai due.

“Anche tu non scherzi.”  rispondono all’unisono.

Il soffitto trema percorso da preoccupanti scricchiolii, sostenere il peso di quella merda non dev’essere facile.

Puoi dirlo forte!" esclama Linguaccia.

Merdaccia fa un rutto e continua: "Come pensi di cavartela se quel soffitto crolla?”

"Siamo sempre fifty fifty.” rispondiamo. "E’ inutile parlare di quello che comunque, vi piaccia o no, dovrete fare. Ci serve la chiesa, abbiamo un lavoro da fare.”

“Che centri tu con la chiesa?" sbotta Linguaccia.”

“C’è un codice interessante che vogliamo studiare.“

“Dissacrare vorrai dire.”

“Cos’è sacro?“

“Per noi lo è!"

“Vi siete rimbambiti, quando vi hanno spezzato le gambe avete perso la ragione,  per i bugiardi la menzogna è verità, lo diceva anche Hegel.”

“Ce ne straffottiamo di Hegel! Ora abbiamo nuovi padroni. Credi che i fetenti si arrenderanno facilmente?“

“Siete voi i fetenti, non si parla di resa, conoscete quanto noi la fine riservata agli incerti. Andiamo in chiesa.”

“Adesso dai ordini?”

"Comanda chi scrive la storia, non è ordine, è volontà. Il Principe non patteggia con i servi.“

Un brindisi ed entriamo in chiesa, accendiamo tutte le candele e facciamo una bella luce in modo che si possa vedere.

Merdaccia e Linguaccia fanno i chierichetti, mattutino anticipato, fa chic, officiamo la messa, campanelli, rintocco di campana, sventolio di incenso, tutto ben camuffato, pensavano di farcela?

Arriviamo al crocefisso su una lugubre croce di legno piantata sopra l’altare, il povero cristo inchiodato sembra vero, poveraccio, che pena...anche lui sta andando in decomposizione, membra fradice, bolle di pus vermulente, fetore.

La corona di spine è inzuppata di putridume, in ri apre lo schema, chiodi fissi, i punti del canone sono spostati, i piedi inchiodati insieme.

Nel canone i piedi sono rappresentati dai due do, l’ascendente nominale ed il discendente formale spaziati dal valore di un’ottava cromatica. Un do positivo ed uno negativo, come due fili di corrente opposta, toccandosi provocano un corto circuito alterando il sistema.

Seghiamo la base della croce e la facciamo crollare a terra.

Dalla fascia lurida di baci peccaminosi che ricopre i genitali del crocefisso esce il mouse scodinzolando il filo staccato. Lancia una frecciata nel costato di Cristo che grida: “Porcoddio, fa piano, checcazzo è?”

Dalla bocca oltre alla decomposizione escono serpi, rospi, bisce, grossi vermi.

“Silenzio!”

Il mouse lancia un’altra frecciata: “Silenzio un corno, dio Bastardo!” sbotta il crocefisso,  “sono duemila anni che sto inchiodato a sticcazzi di legni, dio Merdoso, checcazzo vuoi?“

“Farla finita!“

“Porco dio Cane...va be’ allora fai in fretta.”

Le mani inchiodate, il peso del corpo obbliga le spalle ad una torsione innaturale, l’immagine è  cibo significante che modella il corpo. Da bambini, in chiesa, a scuola, sempre un crocefisso davanti agli occhi.

“Merdaccia, le tenaglie!"

Stacchiamo i chiodi dalle mani, le spalle si rilassano scricchiolando ed il povero cristo si rilassa, “Finalmente.“ dice,  “Dio cornuto!”

Il mouse sembra impazzito, lancia frecciate da tutte le parti.

I piedi inchiodati insieme provocano un nodo nervoso significato e digerito dagli occhi, le gambe sono inarcate in modo innaturale, questo nodo è da sciogliere.

Con le tenaglie togliamo il chiodo ed apriamo Ie gambe. Con un macabro scoppio la corona di spine si sfila dalla testa. Sbuffi di fumo e pus escono dalle ferite intorno alla tempia.

La ferita al costato, L-on-g-in-o, un lungo serpente esce dallo spacco e si avventa a fauci aperte sul mouse inghiottendolo in un solo boccone, poi esplode spiaccicandosi sul soffitto della chiesa.

Mentre l’organo intona il Magnificat alziamo la corona di spine come un ostia, poi la spezziamo in due e la facciamo mangiare a Merdaccia e Linguaccia.

Il povero cristo adesso respira, con un filo di voce dice: “Dio Bastardo, grazie.“ poi scompare liquefandosi in una poltiglia di nulla, come se non fosse mai esistito.

La messa è finita.

Con Merdaccia e Linguaccia non abbiamo altro da dire, a che servirebbe?

Fuori dall’inferno, libertà, aria pura, la strada…

La piazzetta dell’albero secco è deserta. Il lampione fioco illumina il nulla dentro la mente, puro nulla, nessun pensiero, nessun giudizio, nessuna vendetta, nessun perdono, nessuna pietà.

Le figure mentali imputridiscono, cenere, un soffio da spargere per concimare il futuro.

Il segno appartiene ad un codice maggiore, un punto  intorno al quale gira un immensa ruota di costellazioni, tutto l’universo.

La navicella orienta la prua e la storia continua.

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