Cap. 6 La venere gialla.














 

    

                6        La venere gialla. 


Prima c’era qualcuno che teneva comizio su un cubo di pietra,  improvvisamente ci siamo ritrovati a camminare in un bosco forse in cerca di funghi oppure a caccia, arriva un branco di lupi neri con gli occhi scintillanti di fame, le fauci bavose, magri, ossuti e si strofinano contro le nostre gambe, almeno crediamo che siano le nostre, si avvicinano agli alberi, alzano le zampe e ci pisciano contro, annusano la pietra ululando poi cade un grosso ramo, fa tac! un colpo secco e ci svegliamo.

Un cuscino di carne morbida, caldo, cullati dal respiro, un capezzolo sulla punta del naso, le braccia di Micia  intorno. Alziamo la testa, lei dorme beata, i capelli sciolti un po’ arruffati, le labbra ancora umide e tumide d’amore.

La porta del bagno e socchiusa e filtra una luce…è da lì che deve essere venuto il rumore. Spostiamo le braccia di Micia senza svegliarla, scendiamo dal letto e andiamo a vedere.

Nel bagno c’è Zuzù seduta sul water. “Che cosa fai?” le chiediamo.

“Non lo vedi?”

Indossa un chimono rosa coi lembi sollevati sui fianchi, un leggero trucco agli occhi, labbra spalmate a ditate di rossetto sfumate oltre i bordi, capelli acconciati verso l’alto tenuti da forcine a fiori con un lungo spillone terminante ad ali di libellula.

Nell’aria odore di cacca risucchiato da un ventilatore davanti ad un oblò aperto.

Continua: “Non potevi dormire ancora un po’? Vengo presto perchè poi Micia si sveglia e ci sono mille cose da fare.”

Entriamo nel bagno e chiudiamo la porta. “Ho sentito un rumore e non sapevo,  che ore sono?”

“Son quasi le sei.”

“Così presto?... Fai in fretta che mi scappa.”

“Ehi…calma…”

Siamo nudi, sporgiamo il cazzo nel lavandino, apriamo il rubinetto e pisciamo: “Ahhh, finalmente, sai…quel vinello di ieri.”

Zuzù con uno sbuffo delle labbra si alza, fa scorrere l’acqua e si siede sul bidè per lavarsi.

La vasca è colma d’acqua calda e profumata.

“Avevo proprio voglia di fare un bel bagno caldo.”

"Aspetta! L’ho preparato per me.” protesta Zuzù.

“Per te?...va bene, allora aspetto…”

Ha finito di lavarsi. Si asciuga e dice: “Fallo, fallo pure, se proprio vuoi…”

“Come sei gentile...potremmo farlo insieme, la vasca è grande…”

“Sì!” esclama,  “poi tu ci provi…”

"A far che?”

“Dopo questa notte hai ancora voglia? Non sei stanco?”

“Che cosa sai di questa notte?”

Zuzù arrossisce e balbetta: “Oh...niente, cioè...dormo in uno stanzino collegato all’alcova e casualmente…”

“Ti è piaciuto lo spettacolo?”

“Non sono affari miei.” risponde piccata.

“Dai! togliti quel chimono  e vieni in acqua.” diciamo entrando nella vasca.

Lei rimane esitante, mormora: “Sono una ragazza semplice…” poi ci lancia uno sguardo di sfida e si toglie il chimono lasciandolo cadere a terra. I suoi grandi seni, liberi dalla stretta dell’abito, prorompono con foga vibrando per alcuni secondi. Sul capezzolo destro sono ancora visibili i segni del morso che le abbiamo dato ieri.”

“Che tette!” esclamiamo incantati.

Zuzù con un balzo felino si butta nella vasca immergendosi fino al collo e dice: “Son fatta così...che ci posso fare?”

"Complimenti, nel bordello da noi avresti fatto fortuna... quanti anni hai?”

“Sedici, compiuti da poco.”

"Sei più vecchia di me.”

“Tu invece sembri più vecchio...fai le cose come se fossi già adulto, come fai?”

“Nella nostra Città si cresce in fretta, non lo sai?”

“Sarà…”

“Allunghiamo i piedi ai lati del suo sedere, prendiamo i suoi appoggiandoceli sulle cosce  e li massaggiamo piano.

Da quanto tempo sei imbarcata?”

Zuzù rimane un attimo tesa concentrata sui suoi piedi poi si scioglie nell’acqua rilassandosi e con un sospiro risponde: “Due anni…”

“Racconta!”

“Vuoi sapere la mia storia?...è una storia come tante di questi tempi, ti annoieresti.”

“Perché? Dai, racconta.”

Saliamo a massaggiarle le caviglie e lentamente avviciniamo i suoi piedi al cazzo che nel frattempo è diventato duro come un manico d’ascia.

“Ehi!”  strilla  allontanando i piedi, gli occhi fissi alla cappella che fa capolino dall’acqua.

Alza lo sguardo verso il soffitto leccandosi le labbra ed esclama: “Ecco! lo sapevo.”

“Che ti prende?...me lo hai già visto ieri, hai paura?”

“No...è che...uffa! Sono timida…”

“Alla tua età?”

Prendiamo una saponetta e gliela porgiamo: “Dai, insaponalo…e intanto racconta.”

Zuzù ci guarda esitante poi tenendo gli occhi socchiusi ce lo stringe in una mano iniziando ad insaponarlo con l‘altra.

“Così va bene?”

“Si può fare meglio.” le prendiamo le mani e le mettiamo tutte e due a massaggiare senza sapone:  “Racconta…”

“Come faccio a parlare mentre…”

“Non pensare, lasciati scorrere.”

“Dall’inizio?”

“Dove vuoi…”

 Rimane qualche secondo silenziosa per riordinare le idee ed attacca:

“Sono nata in campagna in una provincia del sud…nella mia contea non ci sono grandi città ma è  molto bella  con piccoli villaggi incastonati nelle montagne tra  laghi e foreste.

Dei primi cinque anni ricordo poco, abitavo in una comunità di contadini, quella che diceva essere mia madre gestiva un albergo trattoria, veniva molta gente e tanti si fermavano per la notte, io giocavo cogli altri bambini, le solite cose, mi piaceva andare a cavallo, tutti quei muscoli…” per qualche secondo accelera i movimenti delle mani sul cazzo poi rallenta e riprende: “a cinque anni venni portata all’Aia che da noi è un grande parco pieno di laghetti coi cigni e le botteghe ed i locali della scuola immersi tra gli alberi…a scuola penavo, i maestri dicevano che ero una zucca e gli altri bambini  presero a chiamarmi Zuzù. Nelle materie pratiche ero brava ma la matematica e la logica proprio non riuscivo, la testa mi scoppiava, piangevo. Volevo a tutti i costi entrare come novizia al bordello della città, volevo splendere e sapevo che così non ce l’avrei mai fatta. Mi applicai ai lavori pratici e diventai una brava pettinatrice, la più brava della scuola ed intanto iniziarono a crescermi le tette, come vedi... il bordello si interessò a me, là le brave acconciatrici sono ricercate ed a dieci anni mi ammisero tra le novizie di servizio.”

“Come mia madre…”

 "Te la ricordi?"

“L’ho vista qualche volta... erano tutte madri, ne cambiavo una al giorno.”

 "Spiritoso…”

Continua a massaggiarci il cazzo, ha le mani piccole e paffutelle come i piedi, il tocco delicato ed eccitante.

Diventai assistente parrucchiera nel bordello... quante belle donne ho pettinato,  ballerine famose, bagasce, badesse, avevano una verve ed io...mi guardavo allo specchio, mi trovavo goffa, insignificante, con questi seni che diventavano sempre più grandi…”

“Non è affatto un difetto!” diciamo chinandoci per baciarle i  capezzoli.

“Fai piano, non mordere, ieri mi hai fatto male, ho ancora il segno.“

“Così mi ricorderai sempre…“ mormoriamo tornando a rilassarci, goduti dal suo massaggio.” 

“Ti piace?” chiede, aumentando il ritmo,  “davvero ti piaccio?”

“Sì, continua.”

“A quei tempi ero innamorata di un giovane pittore assistente di bottega...si chiamava Pico...i suoi quadri erano... sembravano finestre aperte per volarci dentro, non avevo mai visto niente di più bello...lui mi usava come modella per i primi piani, forse non si è mai accorto che l’amavo...quando non dipingeva stava sempre con gli amici...io ardevo ma lui non mi toccava neanche, i suoi pennelli, i suoi colori, mettiti così, tira su la testa, sposta la mano, alza i seni, non sapeva dire altro…”

“Lo ami ancora?”

“È morto. Verso la fine del noviziato ci fu la rivolta degli schiavi, un massacro,  distrussero tutto, l’Aia, il bordello, la scuola, le botteghe.”

“Com’è possibile?”

“Molti se lo chiesero, la rivolta scoppiò improvvisa e nessuno se l’aspettava, erano  bestie e non avevano mai dato problemi, forse furono quelli del partito riformato a sobillarli, monaci con la testa rasata sempre nascosta dentro ad un cappuccio.

All’inizio sembrava che rendessero di più ma i monaci li mettevano contro di noi,  gli insegnavano ad odiare, ci accusavano di essere la causa della loro schiavitù, cosa che prima non sapevano neppure cosa fosse. Ci svegliammo un mattino col bordello che andava a fuoco e fuori una folla di bestie inferocite che smaniava sbavando, c’erano morti da tutte le parti, urla, esplosioni…intervenne l’esercito appena in tempo, l’incendio ci buttava nelle loro braccia e ci avrebbero uccise tutte, ci furono casi di cannibalismo, un orrore.”

“Queste cose non succedono a caso... possibile che nessuno si sia mai accorto di niente, la polizia...i contadini?”

“Non lo so, che vuoi che sappia una zucca come me?... sta di fatto che ormai la cittadella era andata a fuoco ed io mi ritrovai senza casa e lavoro. Pico era morto, i migliori artisti delle botteghe erano morti, le bagasce disperse, la mia maestra scappata in un’altra provincia...non sapevo a chi rivolgermi... in città i posti da parrucchiera erano tutti occupati, nessuno voleva saperne di una che veniva dal bordello, vivendo nella cittadella ero fuori dal mondo, non sapevo che le cose fossero cambiate così. Dopo una settimana  riuscì a trovare lavoro come serva in casa di un bifolco che si era arricchito recentemente trafficando con quelli del partito riformato...una bestia, mi pagava una miseria ed il cibo era scarso...vivevo nella stalla, mi pizzicava continuamente le tette ed il culo…era iscritto al partito e osservava la loro regola come quasi tutti gli altri bifolchi,  risparmiava i soldi e li depositava presso un banchiere, doveva avere un bel gruzzolo, era ricco, dovevi vedere le arie che si dava, sembrava un tacchino...la loro religione parla di uguaglianza e di fratellanza...andava alle cerimonie con una boria...passava davanti alla gente rovinata dalla rivoluzione e se qualcuno non si scostava li insultava e li faceva prendere a frustate dai suoi sgherri, odiava gli artisti, più di una volta l’ho visto ridere  soddisfatto per il massacro della cittadella: “Ben gli sta!” diceva,  “fannulloni, buoni a nulla.”

“Senza gli artisti gli uomini tornerebbero nella giungla a sbranarsi, queste cose sono contrarie alle leggi, come potevano avvenire?”

"C’era la legge, il partito riformato aveva ottenuto l’autonomia della nostra regione dal potere centrale e l’aveva modificata.”

“Nessuno si ribellò?”

“Come? La cittadella non c’era più, il cibo scarseggiava, quasi tutti dipendevano da loro per vivere e se qualcuno si ribellava veniva subito eliminato. Prima parlavano di uguaglianza per metterli contro gli artisti ed una volta cacciati si sono messi al loro posto e con che arroganza, l’uguaglianza la lasciano ai poveri che sfruttano…”

“Il vostro principe non intervenne?”

“Chi l’ha mai visto? Lui stava nella capitale e la capitale era lontana, c’erano voci che dicevano che era tenuto prigioniero, altre che era morto, nessuno capiva più niente, l’esercito era senza guida, i politici tutti riformati, ogni giorno c’era gente che spariva senza lasciare traccia. Prima di entrare nell’Aia era un paese allegro,  moderno, vivo... quando ne uscii era un inferno…”

“Come andò a finire con il bifolco?”

“Una notte cercò di violentarmi nella stalla. Mi prese da dietro di sorpresa. Avevo in mano un’accetta, mi voltai e gli spaccai il cranio, lo uccisi, agii di impulso, non volevo...per fortuna riuscii a calmarmi, gli frugai nelle tasche, aveva la scarsella piena d‘oro. Rubai i soldi e scappai così com’ero... corsi alla stazione e presi il primo treno in partenza…feci uno scalo per comprare dei vestiti e presi un altro treno che mi portò a Shanghai...li conobbi Li ò, Scintilla e Saetta, dovevi vederli, sporchi, laceri,  affamati...anche loro scappavano per casi simili al mio. Le ragazze erano novizie e mi unii a loro, i soldi che avevo durarono un mese, poi per mangiare facevamo spettacoli per la strada, Li ò recitava poesie, Scintilla e Saetta ballavano ed io passavo con una ciotola tra le tette per chiedere i soldi, facevamo la fame, ovunque c’erano bambini cacciati dalle aie che improvvisavano spettacoli sulle strade ed il pubblico quasi sempre ci insultava, non sapevamo più che fare, eravamo disperati…un giorno vedemmo gli aquiloni volare al porto, Drago era sul podio e li dirigeva a bacchetta, sembrava un concerto, rimanemmo incantati...trovammo il modo di salire sulla sua nave e ci nascondemmo in una scialuppa. Quando ci scoprì eravamo al largo, voleva buttarci a mare ma poi ci tenne...Micia, saputo che ero parrucchiera, mi prese con sè e gli altri...ormai son passati due anni, ci salutiamo appena.” 

“Da come parli non sembri affatto una zucca, forse non sai di matematica ma le cose le capisci... perchè ieri sera non eri alla festa sul ponte?”

“Son stata qui, ho cenato con Micia, lei non ama quel tipo di festa, sale raramente in coperta...le sue gambe...a dir la verità sono venuta a cercarti, volevo…ma tu avevi quella smorfiosa in braccio e non ti sei neppure accorto di me.”

Parlando ha smesso di massaggiarci ed ora sta tenendo tra le mani un cazzo semi floscio.

“Guarda, ti sei dimenticato di lui.” 

Zuzù riprende ad agitarlo.

“Ti trovi bene con Micia?”

“Sì, lei è la Farfalla, sono orgogliosa di servirla... da quando ci sei tu è cambiata, sembra rinata, trascorre ore al telaio ed a truccarsi, ha tirato fuori tutti i vestiti più belli, oggi la devo acconciare, ha fatto lei il disegno, vedrai, sarà una meraviglia.”

“Le sue gambe?”

“Chi lo sa?…una donna così bella, certe volte ho l’impressione che finga, una volta l’ho sorpresa in piedi ma è stato solo un attimo, si è lasciata cadere sul letto ed ha finto un malore."

“Secondo te perchè lo fa?”

"Me lo sono chiesta tante volte, forse... se fosse stata sana sarebbe dovuta tornare alla capitale così invece è rimasta, Drago la venera, lui non chiedeva di meglio... Drago è il capitano ma in realtà è lei che comanda, gli fa fare tutto quello che vuole. Però è strana, per quattordici anni è vissuta nel ricordo del principe in mezzo alle sue cose, sulla sua nave.”

“Certe donne son fatte così, sono votate al sacrificio, lo idealizzano...poi chissà, forse è stata la sua fortuna con quel che sta accadendo nel mondo.”

“Lei voleva morire...non poteva sopportare di  vivere senza di lui"

“Senza di lui o senza il potere che rappresentava? Oppure c’è altro, il maestro di psicologia del teatro diceva che con le donne, soprattutto quelle belle, non si devono cercare trame difficili e che quasi sempre sono le cose più banali a muovere le loro azioni.

“Che vuoi dire, che siamo stupide?”

“Che me lo stai flosciando di nuovo, mettici un po’ di passione.”

“Oh!” fa lei riprendendo ad agitarlo. “Sei tu che mi fai parlare, adesso non ti dico più niente.”

Allunghiamo una mano per accarezzarle la figa.

“Com’è morbida…”

“Fai piano…” mormora arrossendo…”

“Che ha, è fragile?”

“Non è quello...mi vergogno un po’ a dirlo...sono ancora vergine."

“Alla tua età, com’è possibile?

“E così! La rivolta avvenne una settimana prima della mia iniziazione, avevo raggiunto quotazioni molto alte, la badessa diceva che mi avrebbero cambiato ruolo e sarei passata tra le bagasce di primo livello e poi…sulla nave mi piace Furfante ma lui disdegna le donne...degli altri marinai qualcuno ogni tanto scherza con me ma niente di più…”

“Prima o poi lo dovrai fare.”

“Sì...a me piacciono gli artisti...sono gentili, cortesi, galanti ma fanno l’amore con una donna e poi la dimenticano, io vorrei un uomo tutto per me da amare, coccolare... gli farei…”

“Dove hai imparato queste stronzate? Gli artisti sono uomini liberi, non puoi incatenarli... se tu amassi te stessa penseresti a goderteli quando capita l’occasione. Cerca di farteli amici.”

“Lo so, il mio è un desiderio puerile, che ci posso fare?…come si fa a diventare amici di un artista?”

“Adesso te lo insegno.”

Ci  solleviamo e le mettiamo il cazzo tra i seni premendoli: “Ecco…ora dagli un bacio.”

“Come?”

“Non hai visto come faceva Micia?"

“No!...si…”  Inizia a dare delle timide leccatine sulla cappella e ce lo fa venire duro come una mazza gigante da baseball.

“Mettici più passione, agli artisti piace il fuoco, devi ardere... fallo entrare.”

 Lei apre la bocca e lo ingoia senza premere.

“Brava... adesso succhialo forte, leccalo, mordilo, mangialo, è tutto tuo.”

 Zuzù si mette d’impegno, viene fuori una succhiata coi fiocchi.

 Le prendiamo le mani e le facciamo stringere i seni  sul cazzo: “Adesso muovile su e giù, su e giù... sposta la testa così...bisogna farsi prendere dall’improvvisazione,  creare, dev’essere un lavoretto fatto ad arte, un capolavoro…”

Le prendiamo la testa tra le mani, lei si stacca e dice: “Fermo...non toccarmi i capelli...ho lavorato tutta la notte per acconciarli.”

“Lo vedi che ami solo te stessa?...impari in fretta...Dai, continua…”

Riprende a succhiarlo... delicatamente le passiamo la mano sotto la nuca e le guidiamo i movimenti della testa...la cosa si scatena...adesso va che è un piacere,  i suoi seni sono caldi e lo tengono stretto, le labbra avvolgenti, la lingua un uragano di goduria, iniziamo a vedere il fuoco, una cavalcata a pelo sull’incendio verso il vulcano e le  esplodiamo in bocca  con un ruggito da tigre...

“Mmm…” mormora lei facendo schioccare la lingua e ingoiando,  “Sa di miele salato...è buono, brucia un po‘…ci hai messo il peperoncino?”

Si lecca le labbra e riprende a succhiarlo senza trascurare una goccia.

“Aspetta, lascialo riposare un po‘.”

Le diamo un bacio sulla bocca e torniamo a sederci di fronte. Il rossetto le si è pasticciato intorno alle labbra tumide per l’atto, gli occhi brillano eccitati.

“Adesso ti sono amica?” chiede, con voce leggermente roca.

“Eccome!”

Estrae lo spillone dai capelli e ci si getta contro pungendoci sotto un occhio: “Così non lo dimenticherai…”

“I tuoi capelli…” le dico ridendo,  ti sei spettinata!”

 Zuzù molla lo spillone per toccarsi i capelli, ne approfittiamo per stringerla e le diamo un lungo bacio…ci abbandoniamo in un lungo dialogo tra lingue,  cerchiamo di spingerla con le sue gambe tra le nostre ma lei si blocca.

“Aspetta... un’altra volta...è tardi, Micia potrebbe svegliarsi... dai... ho detto no.”

Torniamo a sederci: “Ho capito, vuoi ancora metterla all’asta.”

“Spiritoso…e se fosse? Non è quello…lo voglio fare con comodo, senza fretta, dev‘essere una cosa…sensazionale, da urlare!…sono anni che aspetto.”

“Come vuoi, romanticona.”

Ci guarda delusa dalla risposta e chiede: “Come…è tutto quello che sai dire?

“Che dovrei dire... ti piace essere violentata forse?”

Fa l’aria imbronciata ed esce dalla vasca infilandosi subito un accappatoio.

Ci alziamo anche noi sbuffando: “Fine della festa.”

Ci porge un asciugamano e dice: “Sono proprio una zucca, ho rovinato tutto.”

“Una bella zucca…lo faremo un’altra volta, studierò un modo per violentarti che neanche ti immagini…”

“Spiritoso…non voglio essere violentata…e mi farai anche quello che hai fatto a Micia, me la mangerai tutta?”

“Certo, che domanda!”

Si accende, fa per abbracciarci, riesce a dominarsi e dice: “Aspetterò.”

Nell’alcova Micia dorme ancora abbracciata al cuscino, le sue labbra vibrano di sogni, dev’essere veramente piacevole il mestiere di principe.

Tocchiamo la porta della stanza segreta e quella si apre, aspettiamo che le lucciole si depositino sul soffitto ed entriamo per una nuova sborrata. 

                                    A ghiribizzo. 


La stanza segreta non è una stanza qualsiasi. Prima di tutto nessuna forma predefinita, tonda, quadra, rettangolare o che cazzo d‘altro, come viene viene, un giorno può essere così il giorno dopo cosà e dopodomani chi lo sa, alta, bassa, piccola, grande coi muri pitturati di giallo o di verde o tappezzati o a mattoni grezzi non ha importanza, l’importante è che ci siano lo scrittoio con la macchina da scrivere, i cassetti misteriosi che ogni volta si trova una sorpresa, gli scaffali pieni di libri da consultare, armadi con dentro  quello che può servire al momento e frecce indicative che si accendono quando non sappiamo più che pesci prendere.

Sediamo alla scrivania. La macchina da scrivere è manuale, comoda, i tasti sono elastici col ritorno pronto, il carrello scorre leggero, le lettere nitide, il nastro con l’inchiostro sembra appena messo.

Accarezziamo i tasti, prendiamo un foglio dal primo cassetto in basso a destra e carichiamo la macchina, cerchiamo qualche idea nel vuoto dell’ispirazione, il vuoto rimane vuoto, accarezziamo i tasti, ruggiamo e ci lanciamo in un’improvvisazione libera:

 

“È notte, ho messo tamburi a battere nello stereo, sto scrivendo una storia per non morire di noia. Anche scrivere annoia ma è una noia minore se guardo quel che mi circonda... isolato dal mondo, beffeggiato, perseguitato, stremato da anni di interminabile pazienza.

  Ho conosciuto la pazzia, l’inferno, tutto rotolando senza direzione a caso e necessità, adesso sono tranquillo ma è come avere un peso, una spada penzolante sopra la testa che ogni momento può cadere, rimando al giorno dopo e intanto vivo oggi ufficialmente pazzo in realtà non lo so...gioco a scacchi con la fortuna, come mossa ho azzardato  una caccia al tesoro, il percorso è nella mente, i segni nel caso, le indicazioni nel segno...devo trovare una spada nascosta miliaia di anni fa per preservarla dai cannibali, questa spada è dentro di me, chiusa in una scatola...se sono pazzo è tutta una pazzia, se metto la mano fuori dalla finestra i cannibali la mordono, se non sono pazzo non capisco la differenza...ho dimenticato tutto, ricominciato, dimenticato ancora e ricominciato. La pazzia dura da miliaia di anni, vita dopo vita dimenticata e ricominciata, la pazzia è fuoco, furore, passione, pazzo per non vedere, per dimenticare e ricominciare ancora ancora e ancora...adesso gioco in difesa, pura spontaneità, in automatico, una mossa strategica, di fronte il mondo, un muro impenetrabile di odio, l’astuzia di uno contro la forza di tutti.

  L’idea è abbozzata, solo nel mio studiolo sto scrivendo una storia che continua così:”

 

Ci fermiamo. Le parole buttate a caso, capita a chi fa questo mestiere.

Scrivere una storia in una situazione estrema solo contro tutti, unica arma l’astuzia, unica risorsa  la spontaneità, unico rifugio la pazienza...che idea.

Forse un giorno la scriveremo, adesso non ne abbiamo voglia. Spostiamo la macchina e togliamo il panno che copre il teschio per esaminarlo.

Anche il cranio è una scatola, una scatola da aprire?…lo tastiamo per cercare invisibili bottoni o cerniere ma non troviamo niente.

Una sfida mentale forse!…fissiamo il teschio nelle orbite vuote, sembrano  due tunnel proiettati al centro della terra, nuovamente si accendono gli occhi luminosi nel fondo e si lanciano a velocita del pensiero contro il nostro sguardo. Chiudiamo i nostri per non farli entrare...è pazzia, dominiamo la paura, azzeriamo tutto e riproviamo senza pensare.

Gli occhi del teschio balzano in avanti poi si arrestano docili ed iniziano a scorrere nei tunnel agganciati alla nostra volontà, li facciamo andare avanti ed indietro lentamente portandoli al centro tra l’abisso e la superficie. Nessuna emozione, nessuna reazione, una storia scritta di qua e di là dal foglio...

La scatola cranica risponde con un colpo secco e la testa si scoperchia, esce una mano che impugna un fodero arrotolato  da una cinghia da cui sporge l’elsa di una spada. La mano si apre e lascia cadere l’oggetto sul tavolo, rientra nel cranio e lo sportello si chiude.

Che cos’è questa cosa, possibile che sia così semplice?

Cadendo la cinghia si è srotolata, è elastica, simile a cuoio morbido, sottile e resistente, larga cinque centimetri e lunga un metro, all’estremità c’è una fibbia tonda con incise due ali aperte . Il fodero è piatto dello stesso materiale della cinghia, lungo cinquanta centimetri e largo dieci, il colore camaleontico cambia coi riflessi della luce sfumando in policrome tonalità iridate. È leggero, sembra di tenere in mano una piuma.

Impugniamo l’elsa per sfilare la spada, tirando non viene, girandola di un paio di gradi si sgancia e ci rimane  in mano, senza lama.

Un semplice tubo lungo venti centimetri  aperto ad un’estremità e cavo dentro di un materiale duro e morbido color oro vecchio con puntinature e venature ramate. Sembra una torcia elettrica, è tiepido ed emette impercettibili vibrazioni come se fosse vivo.

Sentiamo il tubo prendere calore, ammorbidirsi e modellarsi al palmo della mano.

All’estremità cava ci sono sette anelli sovrapposti in gradazioni dorate dallo scuro al chiaro verso l’esterno che fanno da paramano. A che servono se non c’è la lama? Guardiamo all’interno del tubo: vuoto, le pareti lisce e scure.  Avviciniamo l’apertura all’orecchio e sentiamo un rumore…se ne sentono tanti, il suono soffuso di una conchiglia vuota, il fruscio del mare sulla spiaggia, il ribollio cupo e minaccioso di magma incandescente che si sente stando al bordo del cratere di un vulcano immenso prossimo all’eruzione.

Proviamo ad agitare il tubo immaginando una lama fantastica ma ci sentiamo subito ridicoli...non sappiamo ancora quel che abbiamo trovato, sembra uno scherzo. Rincastriamo il tubo al fodero e proviamo a legarlo intorno alla vita, la cinghia si adatta come se fosse viva allargandosi e appiattendosi fino a confondersi con la pelle di cui prende il colore, il fodero pende sulla sinistra, il tubo comodo da impugnare. La slacciamo e proviamo a sistemarla a bandoliera passando la cinghia sopra la spalla sinistra e agganciandola sul petto. Nuovamente il cuoio si modella alla pelle confondendosi con questa, il fodero si appiatta sulla schiena seguendone le linee,  il tubo sporge appena da dietro la nuca facile da impugnare con ambo le mani.

Questa posizione ci piace, così lo possiamo nascondere sotto una camicia.

Ci alziamo per seguire un’indicazione che si è appena accesa verso una parete dove c’è una fila di armadi a muro chiusi da  saracinesche che si aprono al tocco delle nostre dita.

Nel primo c’è uno scheletro umano senza testa probabilmente appartenente al cranio sul tavolo. Le ossa sono perfettamente conservate ed emanano una fosforescenza tremolante.

Nel successivo c’è un arco con la corda da tendere dello stesso materiale e colore del tubo, l’impugnatura ad anelli sovrapposti e le estremità a spirale. Sistemate sulle pareti centinaia di frecce di forma diversa con punte esplosive, incendiarie, perforanti…c’è anche la faretra leggera e capiente.

Proviamo l’arco, elastico, solido, la corda si aggancia facilmente e vibra con un suono secco e micidiale. L’impugnatura si modella aderendo saldamente al palmo della mano.

Nel armadio dopo ci sono dei vestiti di fogge diverse, certi eleganti, altri da viaggio o casual per ogni occasione, cassetti con biancheria intima, calze, scarpe e stivali da escursione, morbide pantofole...certi sembrano fatti su misura per noi altri per la crescita. Ad un angolo uno zainetto con dentro materiale per il pronto soccorso.

Infiliamo un paio di boxer e poi una comoda sahariana color verde foresta tessuta a doppia tela, il bavero largo e rialzato sembra fatto apposta per nascondere il tubo. Ai piedi calziamo un paio di mocassini da escursione aderenti e morbidi come una seconda pelle con la suola felpata.

Gli armadi si chiudono. La freccia indica la porta del corridoio, la apriamo e entriamo nel laboratorio di Archimede.

Anche questa stanza e quel che vi è dentro hanno forma variabile. Per il momento l’idea è in embrione e gli embrioni crescono.

Archimede sta lavorando intorno ad un lungo serpente marino uguale ai siluri lanciati contro le navi che ci inseguivano. Avvita qualcosa dentro un’ apertura sul dorso  canticchiando.

“Buon giorno!” salutiamo.

Archimede si volta, ci fissa da dietro gli occhialini pinzati sul naso e ricambia:

“Buon giorno. Sei mattiniero, sono appena le sette.”

“Non guardo mai l’ora…cos’è?” chiediamo, indicando il serpente.

“Bello vero? Una mia invenzione. Quelli che se lo vedono arrivare credono che sia un serpente vero e quando capiscono è troppo tardi, dentro c’è un esplosivo ad altissimo potenziale ed un rilevatore che capta le radiazioni magnetiche delle vele dirigendo il siluro al bersaglio. Un’arma micidiale.”

“Interessante...allora perchè due siluri hanno colpito una nave sola?”

“È ovvio! Tutti e due hanno captato i segnali della vela più vicina e si sono diretti lì.

Cercherò di perfezionarli, sono ancora a livello sperimentale, non li avevamo mai usati prima. L’unico problema è che il materiale per costruirli è difficile da trovare e costa carissimo. Questo è l’unico che rimane.”

Ci sono numerosi tavoli e scaffali zeppi di oggetti strani. Archimede ne descrive alcuni, deltaplani ad elica, cannocchiali stellari, pela patate rapidi, lampade proietta ombre...arriviamo alla grande scatola metallica al centro della stanza.

È lunga circa dieci metri, larga quattro ed alta tre, lucente come argento.

La scatola è avvolta da una gabbia d’acciaio collegata da traversine cilindriche ad un telaio anche questo d’acciaio che avvolge l’intera stanza.

“Questa scatola è il cuore della nave.” spiega Archimede,  “Tutta l’ossatura dello scafo è costruita intorno ad essa, è lei che ci permette di volare.”

“Come funziona?”

“Ad essere sincero non lo so... so solo come si aziona. Dentro c’è un congegno che solo il principe conosceva. È lui che mi insegnò ad usarla, è molto semplice.”

Indica una consolle vicino alla scatola: “Alzando questa leva la nave si solleva, abbassandola scende. Si potrebbe anche spingere ma il tasto del comando è bloccato, troppo pericoloso. Gli spostamenti in aria avvengono per mezzo dell’elica.”

“E queste lancette?” chiediamo, indicando la strumentazione intorno alla leva.

 “La pressione dell’aria, la velocità del vento, la tenuta dello scafo... praticamente funziona come i motori di tutte le navi sfruttando l’energia solare ma è molto più potente. Una leggenda dice che dentro c’è la macchina con cui il primo uomo arrivò su Atlantide e forse è vero.”

“Interessante, come si accende?”

“È sempre accesa, dà energia a tutta la nave, produce vapore acqueo, è veramente utile.”

“Tutto il segreto che solo tu conosci consiste nello spostare quella leva su e giù?

“Sì, faccio credere che sia difficile per poterne avere il completo controllo.”

“Se è un segreto perché me lo hai detto?”

Archimede ride: “Sei forse scemo? Solo il principe può usare la porta da cui sei entrato. Conosco altri comandi segreti e forse un giorno te li mostrerò. Le istruzioni dicono: “Quando avrà imparato ad usare la spada.” L’hai già trovata?”

Gli facciamo una linguaccia divertita e rispondiamo: “Te lo dirò quando avrò imparato ad usarla.”

Archimede ride: “D’accordo.”

Continuiamo a girare tra i tavoli e le  invenzioni.

“Questa cos’è?” domandiamo pescando nel mucchio una trombetta con quattro pistoncini, l’apertura larga ed una piccola scatola vicino all’imboccatura.

“Questa?...aspetta, fammi ricordare...sì, l’ho fatta quando ero giovane, una sciocchezza, un esperimento, un gioco. Vedi quella scatolina? Dentro sono incisi i versi di molti animali.” Apre un cassetto del tavolo, raspa tra un’infinità di cianfrusaglie ed esclama: “Eccolo!”

Tira fuori un libricino, lo scrolla per togliere la polvere, lo consulta un attimo poi prende la tromba, schiaccia due pistoncini e ci soffia dentro. Un impressionante ruggito squilla dallo strumento facendo tremare tutte le gambe dei tavoli e gli oggetti sopra. Schiaccia un altro pistone a metà e si sente cinguettare un merlo.

“Bello vero? Dentro c’è un micro amplificatore collegato ad una pila, coi pistoni puoi scegliere i versi degli animali che vuoi, son tutti descritti in questo libricino. Sarà meglio caricare la pila, sono anni che è inutilizzata.”

“Che bella! L’avessi avuta alle elementari sai gli scherzi?... potrei averne bisogno, me la presteresti nel caso?”

“È qui, quando ti serve hai solo da venire a prenderla.”

Con un cacciavite apre la scatola e vi innesta dentro un filo che esce da una centralina sulla parete.

“Fra un’ora sarà carica, ha un’autonomia di sette giorni. Se ti occorre ricordati il libro, lo rimetto nel cassetto.”

Continuiamo a girare tra i tavoli chiacchierando del più e del meno e poi lo salutiamo, ci facciamo indicare come uscire senza passare dalla stanza segreta e saliamo sul ponte.

 

Le  volte della grotta sono in ombra, la luce dei fari è concentrata sulle fiancate e sui ponti della nave.

Sul lato destro della serranda che chiude l’entrata c’è un’apertura sorvegliata da due marinai oltre la quale si intravvede un sentiero proseguire all’esterno ed uno scorcio di lago semicoperto dalla cascata. Devono essere le otto del mattino, minuto più, minuto meno.

Sulla spiaggetta che borda la grotta, vicino all’apertura, sono allineate delle canoe.

“Finalmente ti ho trovato!” strilla Li ò,  “doveri finito?”

“Che ti frega?”

“Drago aveva bisogno di te... è andato in perlustrazione nella giungla, voleva portarti con lui...ha aspettato e poi visto che non ti si trovava da nessuna parte è partito.”

“Come... è partito?...senza di me...da quanto tempo?”

“Sarà un’ora. Come ti sei vestito, dove hai preso quella roba?”

“Lascia stare... ti racconto poi.”

Corriamo sul ponte di comando. In cabina c’è Uncino, sta studiando una mappa.

“Dove è andato Drago?" gli chiediamo.

Ci guarda con occhi leggermente perfidi e risponde: “In perlustrazione lungo il fiume con le canoe, ti ha cercato, dov’eri?”

“Sono ancora in tempo a raggiungerlo?”

Uncino ride: “Se non temi coccodrilli e cannibali, senza contare i serpenti, gli ippopotami, i leoni e tutto il resto. È partito un’ora fa, chissà dove sarà adesso... sarebbe un suicidio andargli dietro.”

“Uffa! voglio vedere i cannibali neri... finora ho visto solo i bianchi!”

“Non so che dirti, le guardie hanno l’ordine di non fare uscire nessuno, avevi solo da farti trovare prima.”

“Questa cos’è?" chiediamo sollevando dal tavolo un foglio con una mappa tracciata.

“La pianta della zona disegnata da Kicco, consolati nel guardarla.”

“Lo farò! Posso prenderla?”

“È lì apposta…”

Usciamo di corsa sventolando la mappa con già un’idea che frulla.

Fuori c’è Li ò ad aspettarci. “Che bel vestito…” dice accarezzando una manica della sahariana mentre studiamo la mappa sotto la luce di un faro.

Il tragitto del fiume si snoda in due ampie curve ad esse per dieci chilometri dentro la giungla, entra nella savana e prosegue diritto per altri dieci chilometri  poi devia a gomito verso sud. Sulla sponda stretta della curva a gomito c’è lo schizzo della missione con una strada che da questa, attraversando la savana, ritorna alla giungla qualche chilometro a destra del fiume.    

“Che hai in mente?” chiede Li ò.

“Nulla! che vuoi? Perchè mi stai sempre appiccicato?”

“Come, non ricordi? Sono il tuo scudiero!"

“Quale scudiero? Non ho bisogno di scudieri, lasciami in pace.”

Li ò si allontana a testa bassa. Lo chiamiamo: “Aspetta, vieni qui, va bene, ti prendo come scudiero ma ricorda che con me non c‘è posto per i cagoni!”

“Ok!”

“Hai visto Drago quando partiva?”

“Sì.”

“In quanti erano?”

“Otto su due canoe.”

“Avevano provviste o altro con sè?"

“Qualche fucile, cannocchiali e provviste, sì…Drago ha detto che sarebbero stati di ritorno per la sera.”

“Bene... devono essere andati a controllare la missione quindi è probabile che si fermeranno qui.” Indichiamo il punto  del fiume al confine con la savana.

Sul ponte a prua ci sono i ragazzi che fanno ginnastica esercitandosi alla lotta. Scorgiamo Furfante nel mezzo e Scintilla e Saetta un  poco appartate. Furfante ci vede e corre verso di noi seguito da tutti gli altri, si pone davanti, gonfia il petto e dice: “Sono qui per la sfida!”

"Quale sfida?”

“Non ricordi? Ieri sera alla cena hai accettato.”

“Che sfida vuoi fare? Sei grosso il doppio di me, aspetta che sia cresciuto e poi ne riparliamo.”

“Come?…Ti ritiri?”

Tra i ragazzi intorno si alza un mormorio di disapprovazione.

“Aspetta…eravamo d’accordo che avrei scelto le armi.”

“Quali armi?... facciamo alla lotta!”

“Se vuoi sfidarmi devi stare alle  condizioni, questo era il patto.”

“È vero, è vero!” gridano i ragazzi.

“Va bene, cosa vuoi fare?” domanda Furfante ingrugnito.

“Ti sfido a venire con me nella giungla a cercare Drago!”

“Cosa?... tu sei pazzo! Nella giungla ci sono i cannibali.”

“Sei  solo buono a prendertela con chi ha meno muscoli di te? È tutto qui il tuo coraggio?”

“Di’ quello che ti pare, nella giungla non ci vengo.“

“Tu Li ò verresti?”

 Li ò si dondola sulle gambe e con voce lagnosa risponde: “Non so...Drago ha detto che nessuno deve uscire dalla grotta...ha messo le sentinelle.”

“Bei fifoni che siete... va bene, andrò da solo.”

Dal cerchio salta fuori Scintilla e con voce decisa dice: Aspetta Ji! Vengo io!"

Guarda il gruppetto e aggiunge: “Hai ragione, sono tutti  polentoni mangia rane ma io il coraggio ce l’ho. Ti accompagnerò.”

“Sei ancora una bambina...è pericoloso.” Le diciamo, sorpresi dal suo coraggio.

“Ho dovuto crescere in fretta e le unghie le ho affilate, senti!”

“Ci pizzica un braccio affondando le unghie nella carne.

“Va bene, vieni... andremo in canoa e ci porteremo l’occorrente per tener lontani cannibali e coccodrilli.”

Interviene Furfante: “Non sono un polentone mangia rane. Ho cambiato idea,  vengo ma quella scimmia non ce la voglio.”

Scintilla strilla: “Chi credi di essere? Sei solo buono a palparti i muscoli davanti allo specchio, mangia rane!”

“Scimmia!" grida Furfante in risposta,  “E tu a far la smorfiosa coi damerini di città!”

Scintilla si sfila uno spillone dai capelli e gli si lancia contro. “A chi scimmia?”

La tratteniamo per un braccio: “Aspetta, non è così che possiamo farcela, se ad ogni parola vi azzuffate come cani e gatti finiremo senz’altro in pancia ai cannibali. Furfante mi ha sfidato ed è giusto che venga, fate la pace.”

“Neanche per sogno!” strilla Sci.

“La pace con quella scimmia? Fossi matto!”  replica Fu.

Scintilla ha un fremito e dobbiamo ancora trattenerla.

Ci mettiamo tra loro dicendo:  “Fate almeno una tregua fino al ritorno altrimenti andrò da solo.”

Sci e Fu si guardano digrignando i denti e la ragazza dice: “Va bene ma solo fino al ritorno.”

“D’accordo.” conferma Fu.

“Sulla canoa c’è posto per quattro, qualcun altro vuol venire?

Mentre il gruppetto guarda per aria indeciso Saetta fa un passo avanti ma Li ò la precede: “Dove vai tu vengo anch’io, non sono un polentone mangiarane!”  strilla, gonfiando il petto.”

“Sei sicuro?... poi non ti getterai a frignare di paura?” gli chiediamo.

“Li ò alza una mano a pugno e risponde: “Ho più coraggio di quello che credi!”

“Staremo a vedere. Ok, vieni anche tu, adesso siamo al completo.”

“Ed io? Mi lasciate da sola con questi polentoni?” piagnucola Saetta.

“Anche noi vogliamo venire!” gridano insieme gli altri.

Alziamo una mano per zittirli: “Basta così, una canoa sola darà meno nell’occhio,

poi volendo  faremo un’altra spedizione e verrete anche voi.”

Il gruppo fa un mormorio deluso, Saetta corre ad abbracciare Scintilla, tutti si stringono.

Continuiamo: “Se siete disposti potete aiutarci ad uscire dalla grotta.”

“Va bene, come?” chiede uno.

“Ve lo dirò dopo.”

Ci rivolgiamo a Furfante e chiediamo: “Sai usare armi?”

“La fionda! Sono imbattibile!”

“Va bene, portala... tu Li ò?''

“Ho lo spadino.”

“Ok porta lo spadino... tu Scintilla?”

“Ho questi!” risponde tirando fuori due spilloni dai capelli.

“Serviranno a poco... tu lavori in cucina, puoi procurare del cibo? Che so...qualche forma di formaggio, carne secca, cioccolata, acqua…”

“Sì... dovrò fare di nascosto. Quanto ne serve?”

“L'occorrente di un giorno per quattro, fai in fretta, fatti aiutare da Saetta.”

 “Ok Ji.”

“Con quelle tute bianche nella giungla vi si noterebbe lontano chilometri, avete qualcosa da mettere di meno vistoso?”

“Abbiamo le tute mimetiche.” risponde Fu.

“Mettetele ed anche le scarpe adatte e non dimenticate di truccarvi coi colori di guerra, adesso via, abbiamo perso già troppo tempo, correte a prepararvi e tra mezz’ora tornate tutti qui!”

“Ok Ji!” I tre si allontanano seguiti da Saetta.

“E noi?” chiede uno del gruppo.

“Anche voi, procuratevi qualcosa che bruci, che so…cartone, pezzi di legno, da fare un bel falò, mettete tutto in un sacco e tra mezz’ora ci ritroviamo qui!”

“Ok Ji!”

“Che avranno da chiamarmi Ji?” ci chiediamo mentre scendiamo la scaletta che porta al laboratorio di Archimede.

L’inventore sta ancora armeggiando intorno al siluro serpente. Quando ci vede arrivare dice: “Scommetto che stai per andare a fare una passeggiata nella giungla.”

“Sì...chi te l’ha detto?”

“Eh eh eh…“ sghignazza,  “è naturale. Hai bisogno di qualche mia invenzione?”

“Sono venuto apposta.”

“Guarda, ho già preparato tutto.”

Ci conduce ad un tavolo con sopra sparsi degli oggetti vicino ad un comodo zaino dai colori mimetici. Prende una cerbottana ad aria compressa con manico e la descrive: “Questa è una pistola spara aghi, gli aghi sono intrisi in una droga che paralizza all’istante senza uccidere, ha una portata di cinquanta metri ed è silenziosa.” ci fa vedere come funziona e la mette nello zaino insieme ad una scatola di aghi. Seguono dieci piccoli globi simili a mele con il peduncolo: “Queste sono mine anti coccodrillo, si strappa questa linguetta e si buttano in  acqua, sviluppano una scarica elettrica fulminante, sono letali e silenziose…questo è un binocolo potentissimo, a dieci chilometri ti permette di vedere come se fossi lì, si regola girando la rotella…questa è una radio ricetrasmittente, funziona a pile, ha la linea diretta con il laboratorio e potrai chiamarmi se avrai necessità e questa è una corda, può sempre servire.”

“Manca la tromba!”

“È vero, come ho fatto a dimenticarla?”

La prende, inserisce la pila carica e anche quella finisce nello zaino con il libricino delle istruzioni.

“Avrei bisogno anche di qualche petardo, qualcosa che faccia molto baccano senza provocare danni.”

Archimede sta un attimo a pensare e dice: “Di pronto non ho nulla, potrei preparare qualche castagnola con sirena a mitraglia, se mi dai cinque minuti lo faccio subito.”

“Ok, torno a prendere tutto dopo.”

Entriamo nella stanza segreta dal passaggio nel laboratorio, carichiamo la faretra di frecce e la posiamo sul tavolo insieme all’arco ed allo zainetto di pronto soccorso. Ad uno specchio apparso lì per lì con l’occorrente ci trucchiamo coi colori di guerra che usavamo con la banda nell’Aia, aggiungiamo una penna d’aquila che troviamo in un cassetto legata ai capelli sotto la nuca.

Perfetto. Mettendo la penna abbiamo sfiorato il tubo, la fodera è così leggera che la sentiamo appena, non sappiamo ancora come funziona ma l’istinto ci consiglia di portarla.

Carichiamo gli oggetti, ci fermiamo un attimo al bagno che troviamo nel corridoio per una pisciatina e torniamo da Archimede.

Lo zaino è chiuso con tutta la roba dentro. Archimede ci porge una scatola e dice: “Qui ci sono le castagnole ed in questo sacchetto una polvere pirotecnica, la puoi spargere e poi dare fuoco, la usiamo negli spettacoli di aquiloni, è innocua ma l’effetto è garantito.”

Estrae dalla scatola un piccolo aggeggio e continua: “Ho messo anche un detonatore a tempo, schiacci questo pulsante e dopo un minuto esplode incendiando quel che c’è intorno in un raggio di un metro.”

“Perfetto! Come farei senza di te!”

Archimede ride: “Lo dicevi anche allora…divertiti adesso.”

Raccogliamo la roba e torniamo sul ponte. Sono le nove passate da alcuni minuti, 

qua e là  marinai vanno e vengono dietro alle loro faccende, i passi rimbombano felpati dalle volte buie della grotta.

Furfante insieme alla sua banda ci sono già, Scintilla e Saetta arrivano poco dopo.

Uno della banda dice: “Abbiamo messo il cartone in un sacco come hai detto, noi siamo di corvè, per non farci  scoprire lo abbiamo sistemato con quelli dei rifiuti che dobbiamo portare a terra, ora che facciamo?”

Ci spostiamo verso la fiancata vicino all’uscita. “Laggiù.” diciamo al ragazzo indicando una rientranza della grotta sulla spiaggetta. “Nascondetelo in quella nicchia, dov’è il sacco?”

“Eccolo.”

Spargiamo la polvere di Archimede sul cartone e ci mescoliamo i petardi poi gli consegniamo il detonatore: “Stai bene attento, quando avrai sistemato il sacco schiaccia questo bottone e buttacelo dentro, hai un minuto di tempo per tornare sulla nave, fai in fretta e non dimenticare niente.”

“Ok Ji!” esclama il ragazzo con aria complice. Prende il sacco e con altri tre che portano i rifiuti scende a terra scivolando da un tirante.

Raduniamo quelli rimasti e gli diciamo: “Mettetevi vicino al parapetto. Quando vedete bruciare gridate tutti: “Al fuoco! al fuoco! più forte che potete.”

Il gruppo si sistema al posto indicato.

Diamo lo zaino di Archimede a Furfante, quello del pronto soccorso a Li ò, lo zaino con le vivande è già sulle spalle di Scintilla, sistemiamo l’arco e la faretra a tracolla e ci portiamo vicino alla passerella a poppa  che collega l‘uscita.

I marinai ci guardano ridendo come se stessimo giocando.

Diciamo ai tre: “Quando quelli gridano al fuoco le sentinelle andranno a vedere,  noi corriamo giù, prendiamo una canoa e ce la filiamo. Avete capito?”

“Ok Ji!” risponde Scintilla mettendosi sull’attenti.

“Perchè mi chiami Ji?''

“Non lo sai?…tutti ti chiamano così dopo la storia che hai raccontato.”

“Ji, vada per Ji, adesso state pronti.”

Dopo un minuto sulla spiaggetta a cinquanta metri dalle sentinelle si accende un bagliore accecante seguito da fiamme guizzanti, i ragazzi sul ponte gridano: “Al fuoco! al fuoco!” a voce sgolata, subito dopo i mortaretti nel sacco iniziano ad esplodere a mitraglia.

Le sentinelle allarmate corrono a vedere, noi scendiamo dalla passerella,  prendiamo una canoa e usciamo velocemente dall’apertura rasentando la cascata che ci spruzza un po’.

Posiamo la canoa in acqua e ci saliamo sopra, Furfante a prua, Li ò e Scintilla in mezzo, noi diamo la spinta e saltiamo a poppa.

Fu ha già preso il remo, Li ò ci porge l’altro e iniziamo a pagaiare verso il fiume.

La vita della giungla esplode nella sua musica violenta, grida di scimmie, versacci e strida di uccelli, barriti e ruggiti dal fitto della vegetazione, soffiare di serpenti... c’è un leggero vento che increspa l’acqua ed il cielo è sereno, qualche nuvoletta grigia all’orizzonte davanti a noi, il sole splende, il caldo soffocante, miriadi di zanzare e moscerini nell‘aria. Pesci saltano sul pelo dell’acqua, uno stormo di gabbiani si leva in volo gracchiando all’entrata nel fiume.

Ci sono coccodrilli sulle rive che ci osservano con le fauci spalancate ma per fortuna non si muovono.

In questo punto il fiume è largo trecento metri circa, la corrente non è forte e si pagaia con facilità, l’acqua è limacciosa e profuma leggermente di alghe in decomposizione.

“All’avventura!”

Nessun commento:

Posta un commento