3 Dialogo tra Nome e Forma
(alta teologia)
Somaro: “ihihih ahhhhhhhahhhh... hiiiii... haaaahhhaaha…”
Bue: “booooooooh...buuuuuuuuh…boooo...boooomoooh…”
Somaro e bue insieme: “Ihhihh
ahhahhaaa...boooooooh…buuu...ihh ahhaaaaa... buuuuuu haooo boooh... "
(esempio di versacci in contrappunto letterale.)
Il bue ed il somaro sono alla destra ed alla sinistra della
mangiatoia ma la definizione è poco chiara perchè destra e sinistra stanno
scomparendo. Da una finestra entra luce segno che fuori è giorno e illumina la
scena dove si vedono i due animali sdraiati con la pancia bella piena segno che
hanno mangiato, la greppia invece è vuota, naturale conseguenza.
Il somaro è pensoso ed il bue chiede: “Somà... a cosa
pensi?”
Som: “Alle carrube.”
Bue: “E dagli...non sai pensare ad altro? Con la sbafata che
hai appena fatto…”
Som: “Sempre la solita minestra e mai una carruba,
insomma... ti sembra giusto?”
Bue: "Pazienza somà...verranno tempi migliori.”
Som: “Pazienza pazienza...una parola, intanto le carrube se
le mangiano gli altri.”
Bue: “Che ci vuoi fare, così va il mondo…”
Som: “Un’ingiustizia però...di’ compare...secondo te perchè
l’autore ci ha tirati in ballo?”
Bue: "Booooooh? Proprio oggi l'uccellino mi ha detto
che ha un problema e se non riesce a risolverlo non può andare avanti."
Som: “Sarebbe?”
Bue: “Sta storia che la forma del bene è il male.”
Som: “Lo sa che l’argomento è vietato?”
Bue: “Sì ma non gliene frega niente. Dice che se non gli
fosse venuto il fischio all’orecchio la pazzia l’avrebbe divorato, che se non
si fosse spaccato i denti ecc. avrebbe continuato a fare il porcello ed a
quest’ora sarebbe morto, che se non l’avessero recluso non avrebbe mai letto e
scritto tutti quei libri e non avrebbe mai potuto ritrovare la ragione, che se
non gli avessero fatto fallire tutte le sue iniziative non avrebbe mai fatto
tutti quei lavori ed acquisito l’esperienza che gli è stata tanto utile poi,
insomma ogni suo bene ha la forma di un male e la cosa lo incuriosisce.”
“Som: “L’uccellino è sicuro di quello che dice?”
Bue: “Boooooh...sicuro come il fieno sa di erba secca...è
convinto che nel concetto di bene e di male ci sia un errore di interpretazione
del significato, che l’etica non tenga conto della causa e dell’effetto e sia
un inganno per bischeri e che il bene non esista.”
Som: “Come il bene non esiste?... e le carrube?”
Bue: “Qui casca l’asino, parliamo di cose serie e tu pensi
alle carrube...non dice che il bene non c’è ma che non è come l’etica
convenzionale dice. Fa l’esempio di una scatola piena di topi con cibo per
mille topi, i topi diventano duemila e cominciano ad azzannarsi per contendersi
il cibo, a questo punto l’autore mette nella scatola un grosso serpente
affamato che si mangia mille topi e poi muore di indigestione. Nell’aneddoto si
vede che per i topi venire mangiati dal serpente è male mentre per il serpente è bene perchè si riempie la pancia ergo la forma del male per i topi è il bene
del serpente mentre la forma del bene per il serpente è il male dei topi, la
questione si capovolge perchè i topi adesso che sono in mille hanno nuovamente
cibo a sufficienza e stanno bene mentre il serpente per la grande abbuffata è
morto, ergo la forma del male per i topi si è rivelata un bene mentre la forma
del bene per il serpente è diventata un male.”
Som: “Ma questo è naturale, anzi è la legge della natura,
che centrano il bene ed il male?”
Bue: “Buuuuoooouh! Per topi e serpenti è natura, in questo
caso bene mentre quando la stessa cosa succede agli uomini l’etica dice che è
male e questo è assurdo, l'etica, l’interpretazione della storia, tutto.
L’uccellino dice che l’autore ha già trattato la questione e non ci vuole
tornare sopra quindi ha preso le forbici del canone e dato un taglio mettendo
mezzo male sopra il bene per dare corpo al bene e mezzo bene sopra il male per
significarlo. Osservando si vede che il mezzo bene che ha preso corpo di male è
la legge di natura mentre il mezzo male
nominato bene è tutto il resto.
Il male che ha dato corpo al nome bene è un male minore
mentre l’universale di mali nominati bene è il male maggiore.
A questo punto ha estratto uno qualsiasi di quei mali
chiamati bene e lo ha aperto per vedere come è fatto e indovina che cosa ha
trovato dentro...hai presente quel che videro gli animali della fattoria di
Orwell quando si affacciarono alla finestra?”
Som: “Come no?... c’eravamo anche noi a guardare, cani e
porci che imitavano l’aspetto umano e si abbuffavano d’ogni ben di dio…”
Bue: “Esatto, si vedono cani e porci allegri e belli grassi,
quindi del bene che si ingrassa sul male dei poveri animali della fattoria.
L’autore è certo che qualsiasi bussolotto si aprisse si vedrebbe la stessa cosa
e se non sono cani e porci sono porci e cani. L’autore dice anche che questo è
solo un aspetto della questione e che la si può girare e vedere in un altro
modo. Fa l’esempio del suo fischio. Il
fischio non è un bene ma rispetto alla pazzia è un male minore e allora si può
dire che tutto è male in proporzione maggiore e minore e quel che è bene
è il risultato.”
Som: “Non tutti i mali vengono per nuocere... ihhih
hahhhah!”
Bue: “Booooooh?”
In quel momento arriva il bambino ricciuto con il frustino o
forse era già lì perchè non l’abbiamo visto entrare quindi non sappiamo se da
nord o da sud e nemmeno se destra o sinistra, fa schioccare il frustino e dice:
“Stupide bestie, la finite di sparare cazzate?”
Prende delle bracciate di fieno e riempie la greppia poi
fischiettando se ne va.
Bue: “Di’ somà... anche oggi si mangia…”
Som: “Sì ma neanche una carruba... sempre la solita
minestra, ihaaaaaah!”
“Booooooh?” conclude il bue.
La
stanza segreta.
La cena era squisita, pesci e molluschi cucinati in tutte le
salse, un delizioso vinello bianco e adesso siamo al terzo bicchierino di riso
fermentato aromatizzato con bacche di ginepro, una specialità della loro città.
Drago ha bevuto parecchio, gli occhi lucidi, i capelli sciolti,
indossa una camicia bianca con polsini e colletto ricamati. Non ha fatto cenno
all’incidente di oggi, allegro, esuberante...non ci ha più presi in braccio e
per tutta la cena ha evitato il nostro sguardo ma quando parlavamo con Micia sentivamo il suo scorrere come un brivido.
Micia è più bella che mai, sembra una bambina tradita appena
da leggere rughette agli angoli degli occhi. Anche lei ha bevuto, è un po’
brilla, scorre in risatine argentate tintinnanti. Si fa aria con un pittoresco
ventaglio disegnato di fiori di loto in
un laghetto incantato e di tanto in tanto ci guarda dietro quello con gli occhi
sognanti.
Il discorso è sul
tentativo della guardia di fermare la nave. Drago sta dicendo: “Non credo
cercassero te...gli spettacoli che facciamo sono solo una copertura, nessuno sa chi siamo veramente. In realtà
sulla mia testa pende una taglia che farebbe gola a molti e può essere che
qualcuno nel porto ci abbia riconosciuti ed abbia parlato. È stata una fortuna
riuscire a fuggire.” Pronuncia le ultime parole guardando il fondo del suo
bicchiere.|
"Ormai è andata.”
Drago scuote la testa: “Hmmm...non credo, almeno fino allo
stretto. La confusione provocata dai bischeri ha ritardato i loro movimenti ma
non rinunceranno tanto facilmente, a quest’ora avranno mandato delle navi ad
attenderci in tutti i porti del Mare Interno. Domani sarà una giornata molto
divertente.”
Micia ha tratto degli stecchetti colorati dal manico del
ventaglio e li ha sparpagliati sul tavolo uno sopra l’altro alla rinfusa. Li
guarda attenta e con le dita ne sposta alcuni poi inizia a disegnare una figura su uno specchietto.
“Micia è una maga, parla con i bastoncini che gli predicono
la fortuna…” dice Drago…
“Sarà un viaggio emozionante, molto eccitante…ci sono
problemi ma li supereremo tutti.” continua Micia, leggendo il disegno allo
specchio.
Osservo il suo gioco
senza interesse poi guardo Drago e gli domando:
“Chi sei veramente?”
Micia fa una risatina e Drago una risata fragorosa,
gonfiando il petto tutto orgoglioso dice:
“Il corsaro volante, il terrore dei mari!”
“Il corsaro volante?... nell’Aia se ne parlava ma pensavo
fosse una leggenda di secoli fa...mi stai prendendo in giro…”
“Assolutamente no!” esclama Drago impettito, “è la pura verità, il corsaro volante non muore
mai, sono secoli che scorrazzo per il mare rapinando di qui, saccheggiando di là e poi nelle taverne di
Tortuga le feste, le sbronze, le donne…”
“Storie!” interviene Micia,
"ha trentun anni e con le donne è timido come una mammola.”
“Micia, ti prego, davanti agli ospiti…” piagnucola il
corsaro.
“Bisogna ammettere che in tutto il resto è coraggioso e non
si spaventa davanti a nulla.” aggiunge
Micia.
“Così va meglio.” sospira Drago poi ci dice: “Ti ho
preparato una cuccetta comoda nelle cabine degli apprendisti, starai da re.”
"Assolutamente no!" esclama Micia con voce
imperiosa, "Il probabile dormirà
qui, questa era la volontà del principe!"
“Ma Micia...come qui...ed io?…” piagnucola Drago.
“Tu hai la tua cabina
personale, non discutere!”
Drago abbassa il capo
poi lo rialza e con voce tagliente ci dice: “Ecco! sei appena arrivato e già
non conto più nulla, dopo tutti questi anni…”
“Non rinfacciare!” ribatte Micia, “Il principe ti affidò la nave con un compito
preciso, lo sai benissimo!”
“Come farai senza di me, le tue gambe…”
"Userò la sedia mobile e se avrò bisogno ti
chiamerò...adesso capisco perché lui sostituì la capsula di veleno con quella
droga...non voleva che morissi, non si fidava di te.”
“Come non si fidava? io l’amavo…”
“E adesso ti rimangi la promessa?”
“Va bene va bene...come vuoi…”
Drago si versa un bicchiere colmo di liquore, lo beve di un
fiato e lo posa violentemente sul tavolo.
"Un momento!” diciamo,
“La mia volontà conta qualcosa? Com’è la cuccetta che hai preparato?”
Drago risponde: “Una cabina piccola ma molto accogliente con
un oblò, un comodo lettino e l’occorrente per tutto il resto.”
“Allora prendo la cuccetta.”
“Come sarebbe?” interviene Micia, "la volontà del
principe…” ?
“Me ne frego della volontà di un morto e tieni lontane
quelle grinfie!”
“Quelle grinfie a me!” esclama Micia diventando tutta rossa.
Interviene Drago, con la voce seria dice: “sei un bel
tipo...ma Micia ha ragione. Questa era la nave privata del principe ed è qui,
in questa cabina che alloggiava durante i viaggi. Ci sono molti suoi documenti,
libri ed oggetti custoditi nell’alcova e prima di affidarmi la nave mi fece
promettere che l’avrei consegnata al probabile quando sarebbe stato il
momento.”
“Come faceva a sapere?” chiediamo.
Micia risponde: “Le mie grinfie?...anche lui, qualche volta,
quando gli prendevano i furori per...lui poteva...vedeva nel tempo. Questo per
te non è un viaggio di piacere, devi istruirti.”
Va bene, guarderò tutto, leggere mi piace ma per il momento
della cabina non si discute.”
“Allora tutto è sistemato.” dice Drago alzandosi.
"Adesso vado a dare istruzioni agli uomini per i turni di guardia, vi
lascio soli.”
Quando è sulla porta, con voce fredda, Micia gli dice: “Tu
comunque da questa notte tornerai a dormire nella tua cabina."
“Ma Micia…” poi
vedendo che lei rimane inflessibile alza una spalla e con un singhiozzo
soffocato esce.
Per un po’ rimaniamo in silenzio, da un oblò aperto si sente
il vocione di Drago gridare ordini ai marinai poi il vento sibilare fra le
tendine e lo sciabordio delle onde contro la fiancata, un raggio di luna entra
nella cabina, una debole luce che si aggiunge al tremolio delle lampade ad olio
che illuminano la stanza disegnando sulle pareti dondolanti immagini di draghi danzanti.
Come se si svegliasse dal sogno Micia, con voce affaticata,
dice:
“Per favore portami quella sedia laggiù” e la indica con uno
sguardo.
Una sedia a rotelle, la prendo e la spingo al suo fianco poi
la aiuto a sedersi. Indossa un elegante chimono color blu notte con le
costellazioni ricamate in filo di perle
che ruotano intorno ad una stella.
“Un suo regalo.” dice lei,
“erano anni che non lo mettevo, stasera chissà perchè m’è venuta
voglia...vieni, accompagnami.”
Spingendo la carrozzella entriamo nell’alcova.
Più che lussuosa è comoda, l’ingresso coi contorni disegnati
a bocca di balena spalancata e dentro il ventre, una stanza senza spigoli come
scavata nel legno, in fondo il letto a baldacchino con le cortine alzate poi
tavolini, mobiletti, ripostigli, teche,
quadri, un grande affresco sul soffitto a volta e tante altre cose.
L’alcova si presenta così e Micia dice: “Me la sto facendo
addosso, accompagnami a quella porta.”
La spingo fino alla porta indicata, la apre e dentro c’è un
bagno con water, bidè, vasca, doccia e lavandino. Le pareti sembrano di
smeraldo grezzo con la superfice ruvida eccetto in certi punti dove è liscia e
riflette a specchio. Una lampada ad olio accesa pende dal soffitto e la luce
penetra nelle pareti colorandole di toni iridati che vibrano al tremolio della
fiamma.
Su un tavolino dai bordi dorati davanti ad uno specchio un
ricco assortimento di trucchi, pettini, spazzole, forbici ed altre
cianfrusaglie femminili.
Micia chiede: “Hai mai visto una donna pisciare?”
“Figurati…sono nato in un bordello, ogni momento, c’era
sempre da aspettare e le porte non le chiudevano.”
“Bene, allora aiutami.”
Abbassa lo schienale
della carrozzella e si srotola la fascia del chimono, se lo toglie e rimane
completamente nuda. Ha delle belle gambe lunghe con i piedi piccoli e curati,
le gambe non mostrano segni di degrado per la loro immobilità, il pube è
completamente rasato, il ventre morbido con qualche leggera rughetta intorno
all’ombelico, i seni ne grandi ne piccoli ma ancora sodi con i capezzoli dalla
corona larga all’in su come il suo naso, le spalle morbide dalla linea delicata
che per un impulso irrefrenabile
baciamo, dandole un piccolo morso levigato con la lingua.
Il suo corpo ha un brivido lungo... “Che fai moccioso?
" gridacchia con una risatina eccitata. “Su, adesso sollevami.”
La alziamo tenendola sotto le ascelle depilate, leggermente
umide. Lei si aiuta con dei sostegni messi ai lati del water e si siede
sopra…dopo qualche secondo comincia a scorrere il piscio.
“Fai in fretta che scappa anche a me.” le diciamo tornando
nell’alcova.
Abituati agli arredamenti sfarzosi del quartiere delle
bagasce non notiamo nulla di eccezionale, l’ambiente è semplice, essenziale ma
nello stesso tempo si ha l'impressione di stare dentro un caldo e morbido
abbraccio, un bijou... il letto è grande con una coperta ricamata a laghetto
con ninfee che sembrano vere, ci si potrebbe tuffare, si notano anche piccoli
pesciolini dorati far capolino tra i fiori galleggianti.
Il tetto del baldacchino termina a punta con la forma di un
dito indice che indica in alto verso un particolare dell’affresco sul soffitto
dove c’è un giovane alato, bellissimo,
con l’arco che vibra per aver appena scagliato una freccia. Seguiamo la
direzione del tiro in un percorso probabile tra alberi fioriti, laghetti,
sfondi in prospettiva con monti innevati e vulcani in eruzione, giostre
fantastiche, forme umane con la testa di animali che danzano alla musica
suonata da piccoli putti alati seduti sopra foglie dorate sospese in aria poi
curva nella parete scendendo verso una nicchia nel cui interno c’è qualcosa che
luccica in movimento.
Prendiamo una sedia per raggiungerla e ci saliamo sopra. La
nicchia è chiusa da uno sportello di vetro e dentro c’è un pesciolino dorato
dai contorni punzecchiati di minuscoli brillantini che riflettono la luce in
spruzzi di luccichii. Il pesce gira su se stesso come l’ago nella bussola ed è
in continuo movimento.
Dal bagno sentiamo scorrere l’acqua e la voce di Micia
chiedere: “Ti piace?”
“Interessante…” rispondiamo con lo sguardo attento ai giri
del pesciolino.
Micia continua: “Gli ultimi tre anni della sua vita il
principe li ha trascorsi qui, insieme a me, sempre in viaggio per il mondo ed
era festa ovunque andassimo…”
Mentre Micia parla apriamo lo sportellino e con un dito
proviamo a toccare il pesce. Al contatto accelera le rotazioni, proviamo a
fermarlo afferrandolo per la coda, non è facile, guizza velocissimo, finalmente
riusciamo a bloccarla e la stringiamo tra le dita. Il pesciolino si immobilizza
docile...
Intanto Micia continua: “C’erano problemi in città, “grane politiche” diceva lui, questioni sul
suo essere necessario che non ho ancora capito adesso...così lui li salutò
tutti e partì.”
La coda del pesciolino si è leggermente mossa, la giriamo e
svitiamo completamente staccandola dal corpo. Il pesce fa una rotazione di
centottanta gradi porgendo la testa alla coda svitata. D’istinto proviamo a
collegare la coda alla testa, questa si avvita,
la giriamo fino in fondo e sentiamo un tac! secco.
La voce di Micia prosegue: “Da qualche parte nell’alcova c’è
una stanza segreta dove il principe custodiva le sue cose, i libri, i
documenti... nessuno sa dove sia ma lui disse che il probabile l’avrebbe
trovata…”
Al tac! Un ingranaggio all’interno della parete si è messo
in movimento e una piccola saracinesca si sta sollevando sotto la nicchia del pesce. Dentro c’è uno
stanzino tutto luccicante.
In quel momento Micia avvolta in un caldo accappatoio
spingendo le ruote della carrozzella esce dal bagno. Fa uno strillo ed esclama:
“L’hai già trovata!”
“Un caso…”
Dentro la stanza segreta ci sono scaffali con libri e un
sacco di altre cose, ovunque svolazzano piccoli puntini luccicanti a
intermittenza come lucciole, da quando la porta si è aperta si stanno
lentamente ritirando verso il soffitto che adesso ricoprono interamente
irradiando una luce viva e riposante.
Entriamo e diamo un’occhiata veloce accarezzando qualche
oggetto a caso, sembra piena di misteri, sarà interessante studiarli.
Ritornati nell'alcova la saracinesca si abbassa
automaticamente fino al pavimento.
Micia chiede: “Come hai fatto?"
“È un segreto…”
Micia appare sbalordita, dice: “Tu non sai quante volte l’ho
cercata, per curiosità, per…allora tu…”
spingendo la carrozzella si avvicina, rimane a fissarci con gli occhi sgranati
e poi ci stringe in un abbraccio disperato iniziando a piagnucolare.
“Che ti prende?”
Lei continua a stringere, con la voce singhiozzante
risponde:
“Tutti questi anni... adesso sono vecchia e tu…”
Alla porta dell’alcova si affaccia Drago e rimane immobile
ad osservare la scena “Che succede?”
domanda,
Micia allenta la stretta e solleva il viso per guardarci
negli occhi.
“È tornato…” sussurra appena.
Con un’occhiata le faccio capire di non dire nulla della
stanza segreta, lei ricambiando lo sguardo assente.
“Ritira le grinfie.” le diciamo sottovoce.
Micia, sorridendo, scioglie l’abbraccio.
“Bello spettacolo, commovente, sembrate due piccioncini.”
dice Drago e continua: “Sono venuto a prenderti, domani sarà una giornata
difficile e bisognerà alzarsi presto.”
“Puoi dormire qui se vuoi…” sussurra Micia indicando il
letto.”
“Prima il dovere, forse un’altra volta.”
Senza guardarla seguiamo Drago e risaliamo sul ponte. La
notte è stellata, magnifica, a tratti
fugaci meteore sfrecciano giù dalle stelle squagliandosi al tocco dell’atmosfera,
c’è un leggero vento profumato di mare che soffia a capriccio cambiando
continuamente direzione.
Su tutta la nave ferve un intenso lavoro. Marinai che
pitturano le fiancate ed i bordi, che spostano oggetti, che montano e
smontano...un’enorme testa di drago è stata messa a prua e guarda il buio
orizzonte sfidando l’ignoto.
“Cambiamo faccia alla nave..." spiega Drago,
“domani ti sembrerà tutta un’altra.”
Raggiungiamo un boccaporto vicino all’albero centrale,
entriamo, un piccolo corridoio seminato dl porte, ne apre una e ci fa entrare
in una cabina con lettino, tavolo,
sedia, armadietto, ecc.
“Nell’armadio troverai biancheria e vestiti puliti, non vorrai fare tutto il
viaggio con quella divisa da facchino? Il bagno è in fondo al corridoio, per il
resto ne parleremo domani.” conclude Drago e si allontana.
Rimasti soli per prima cosa corriamo al bagno e ci facciamo
una bella pisciata poi ci diamo una rinfrescata sotto la doccia e ritorniamo in
camera.
Apriamo l’armadio, ci sono un paio di tute, mutande,
canottiere, un’incerata, lenzuola e un
leggero profumo di detersivo.
Ci buttiamo nudi sul lettino. Silenzio poi dall’oblò entra
la musica delle onde con sottofondo di voci in coperta, rumori vaghi, tutto
gira...qualche minuto, uno scalpiccio nel corridoio e sentiamo bussare alla
porta.
Ji
Un toc toc leggero, timido, confuso tra gli scricchiolii
della nave, silenzio e di nuovo toc toc...c’eravamo quasi appisolati, senza
pensieri e ancora toc toc, questa volta più deciso.
“Chi è?” domandiamo in direzione della porta. Nessuna
risposta.
Ci alziamo, indossiamo un paio di mutande e andiamo ad
aprire. C’è un ragazzino che sembra tutto rannicchiato su se stesso, due grandi
occhioni neri che luccicano di timidezza e un pollice in bocca.
“Chi sei?”
“Li ò, mi fai entrare?”
“Cosa vuoi?”
Li ò alza una spalla, si toglie il pollice di bocca e
risponde: “Così...per fare due chiacchiere, conoscersi…”
“Va bene, entra.”
Lo facciamo accomodare
sulla sedia e noi ci sistemiamo sul letto. “Mi spiace ma non ho niente
da offrirti, sono appena arrivato.”
Li ò si guarda intorno con aria imbarazzata “fa niente” dice
e incrocia le dita delle mani girando i pollici.
Ha la figura flessuosa, i tratti femminei ancora infantili,
le labbra rosse e umide, gli occhi brillanti, i capelli lunghi e neri sciolti
sulle spalle.
“Quanti anni hai?” gli chiedo.
“Dodici.”
“È molto che navighi?”
“Due anni, volevo viaggiare, sono scappato e mi sono
imbarcato di nascosto insieme ad altre tre che avevo trovato per strada…il
capitano voleva buttarci in mare ma poi ci ha tenuti, adesso sono aspirante
marinaio...ma gli altri mi fanno gli scherzi e volevo chiederti se mi fai
amico...oggi hai buttato giù il capitano...è la prima volta che succede...gli
altri ci penseranno due volte prima di scontrarsi con te…”
Parla a intervalli quasi balbettando, è decisamente molto
timido.
“L’ho preso di sorpresa, non capiterà una seconda volta...se
volesse mi potrebbe spezzare in due con un dito.”
Li ò alza una spalla e dice: “Sarà...intanto tutti ne
parlano...come ti chiami? quanti anni hai?”
“Fra una settimana ne compio quattordici, il mio nome di
battaglia è Bastardo.”
“Bastardo...bel nome...perchè ti sei imbarcato?“
In quel momento bussano alla porta: “toc toc”
“Chi è?”
Nessuna risposta…facciamo per alzaci ma Li ò ci precede e va
ad aprire.
Alla porta ci sono due ragazzine, gli occhi a mandorla
semichiusi, la tunica bianca corta a mezza coscia, molto carine. Vedendo Li ò
una dice: “Che ci fai qui?”
“E voi che volete?” ribatte il bambino con una punta di
stizza.
Senza rispondere quelle entrano e ci si mettono di fronte
sfacciate, gli occhi brillanti.
“Ciao, io sono Scintilla.” “Ed io Saetta.” Si alternano a
parlare: “volevamo conoscerti.” “Non abbiamo mai visto uno della Città da
vicino.” “come ti chiami?” “quanti anni
hai?”
Ci presentiamo sotto lo sguardo attento delle due, qualche
parola di convenevole e vengo a sapere che Scintilla ha tredici anni, Saetta
dodici e sono imbarcate come assistenti di marina.
“Che ci fai qui?” chiede Scintilla.
Sono scappato perchè volevano uccidermi, non so come sia ma
era già tutto preparato da molto tempo…che fate in piedi, sedetevi.
Saetta si siede sul tavolo a gambe incrociate e Scintilla ad
un bordo del lettino allungando un piede vicino al nostro con aria noncurante.
Sono tutte e due arrossate e ci guardano spesso le mutande
imbarazzate.
“Perchè volevano ucciderti?” domanda Li ò.”
“Non so, forse ero in pericolo... hanno ammazzato tutti i
capibanda, almeno sono morti per incidenti ma dopo quello che mi è
successo...la Città sta cambiando, è arrivata gente strana e poi c’è Rabbi, il
loro capo...una volta l’abbiamo fatto cadere in una buca piena di merda, c’era
tutta la banda e gli altri ridevano, forse s’è voluto vendicare.”
Li ò continua: "Abbiamo sentito parlare dei vostri
guai, anche da noi stanno succedendo cose simili, quando sono scappato…c’era il
caos, la fame…”
“Ci sono molti bischeri riformati anche dalle vostre parti?”
gli chiediamo.
“Bischeri?...noi li chiamiamo mandarini.”
Saetta distende le gambe sul tavolo allungando i piedi nudi
e domanda: “Che cosa facevi in città?”
“Sono aspirante poeta, lavoravo in teatro, nella cittadella.
I maestri dicevano che promettevo bene ma se devo essere sincero sognavo di
viaggiare e sono contento di essere qua.”
“Che cos’è un aspirante poeta?" chiede Li ò,
avvicinandosi con la sedia.
“Come…non lo sai?"
“Sì che lo so...ma volevo sentirlo dire da te.”
“Da noi la poesia è la massima espressione dell’Arte, ci
vuole fantasia, bisogna saper raccontare e scrivere storie e farlo in modo da
far spuntare le ali a chi ascolta.”
“Tu sei bravo a raccontarle?” domanda Scintilla sfiorandoci il
piede con il suo.
“Dipende...è il mio mestiere ma devo essere in vena, non
sempre vengono le idee.”
“Raccontacene una!” strilla Saetta dal tavolo.
“Si!” aggiunge Li ò.
“Dai!” fa Scintilla risfiorandoci il piede e quando ci tocca
sentiamo proprio una scintilla.
“Volete una storia?…” stiamo un attimo a pensare e
proseguiamo: “Prima di lasciare la Città stavo lavorando ad una nuova commedia,
parlava di scatole... volete sentirla?”
I tre assentono e si fanno tutti orecchi.
“C’è una scatola, la apro e dentro ci sono un paio di
forbici ed un filo verde. Prendo le forbici e taglio il filo verde in quattro
parti uguali, poi prendo le quattro parti e le taglio ancora in quattro parti
facendole diventare sedici, prendo le sedici e le taglio in quattro parti e
vado avanti a tagliare quel che taglio sempre in quattro parti per un giorno ed
una notte fin quando ho fatto una montagna di tagli.”
“Ma quanto era lungo quel filo?” domanda Li ò.
“Era lungo…” rispondiamo facendo un gesto con la mano verso
un punto molto lontano fuori dall‘oblò.
“Arriva il vento e butta all’aria la montagna spargendo
ovunque i fili verdi che si depositano a terra in un bellissimo prato...le
vedete le margheritine che stanno spuntando...quanti fiorellini?... e le
farfalle di tutti i colori?”
I tre guardano per aria e poi assentono attenti.
Continuiamo: "Si vede un lampo poi si sente un boato di
tuono ed arriva in picchiata un grande cavallo alato tutto bianco con la
criniera luccicante di stelle che si mette a galoppare veloce sul prato. Sopra
ci sono un ragazzo ed una ragazza della stessa età, il ragazzo tiene le redini
mentre lei lo abbraccia stretto da dietro. Povere margheritine, all’arrivo del
cavallo chiudono tutte i petali per la paura di venire calpestate e le farfalle
volano a nascondersi tra le foglie degli alberi ma quello galoppa così veloce
che non tocca neppure terra. Entrano in
una fitta giungla piena di cannibali e di bestie feroci e vanno avanti fin
quando il cavallo volta la testa e dice:
“Sono stanco, facciamo una sosta.”
I due ragazzi si chiamano Ji e Jia. Ji fa fermare il cavallo
in una piccola radura su una collinetta in cima alla quale c’è una immensa
quercia, il tronco largo come una casa con una grossa cavità alla base e rami
altissimi che toccano il cielo.
Sotto la quercia c’è un ruscello gorgogliante con un sacco
di pesci d’oro e d’argento che saltellano a pelo dell’acqua. Ji e Jia in un
attimo costruiscono una capanna a forma di nido col tetto di foglie tra i rami
della quercia e nella cavità preparano la stalla per il cavallo. L’acqua la
tirano su dal ruscello con un secchio legato ad una corda ed il cibo se lo procurano
andando a caccia o a pesca o raccogliendo i frutti dagli alberi.”
“E i cannibali?” domanda Li ò.”
“I cannibali li incontrano spesso ma tutte le volte che
vengono attaccati Ji sfodera la sua spada di fuoco e ne ammazza a centinaia,
così gli altri si buttano a mangiare i loro compagni morti e per un po’ stanno
tranquilli. Ji e Jia si vogliono così bene che quando sono nella capanna stanno
sempre abbracciati a sbaciucchiarsi e quando vanno per la giungla a piedi o a
cavallo si tengono per mano, come fossero una cosa sola. Ogni giorno capitano
avventure, attacchi dei cannibali o di belve feroci, draghi che sputano fuoco,
tempeste con fulmini più fitti della pioggia, terremoti, eruzioni di
vulcani ecc. ma Ji, con la sua spada di
fuoco riesce a vincere tutti tanto che dopo un po’ più nessuno osa attaccarlo.
Ji, un giorno che Jia ha mal di testa e non può uscire,
credendo di lasciarla al sicuro, va a caccia da solo e quando torna non la
trova più. La cerca, la chiama ma lei niente, scomparsa. Sul terreno scopre le
tracce di numerosi piedi di cannibali, le segue tirandosi dietro il cavallo per
la cavezza ed arriva ad un grosso villaggio dove i cannibali stanno
festeggiando un matrimonio e per l’occasione hanno sgozzato diversi dei loro bambini
e li stanno cucinando allo spiedo.”
Scintilla e Saetta entrando han lasciato la porta socchiusa
e da qualche minuto abbiamo l’impressione di vederla muovere e aprirsi
lentamente.
Continua il racconto: "Lo sposo è un grosso cannibale
tutto agghindato a festa con collane di denti e di ossa e la sposa è niente
meno che Jia, la sua amata anche lei tutta ricoperta di denti e di ossa fin
sopra i capelli. Jia tiene per mano il cannibale e sembra contenta di sposarlo.
Allora Ji se ne va e torna alla sua capanna.”
“Ma come?…” interviene Scintilla, non fa nulla per
salvarla?”
“No ma bisogna capirlo, era passato tanto tempo dal loro
arrivo ed il problema più grande era proprio difenderla dai cannibali,
sposandone uno Jia si metteva al sicuro e così Ji era libero di fare quello che
voleva. Inoltre l’aveva vista mangiare insieme a loro con un appetito
formidabile e forse non gli piaceva più.”
“Ma come ha fatto Jia a diventare cannibale?” domanda
Saetta.
“Le devono aver dato una botta in testa quando l’hanno
rapita e lei ha perso la memoria e adesso crede di essere una cannibale ed è
naturale che ne sposi uno.”
“Io non ti avrei dimenticato tanto facilmente, anche con
mille botte in testa.” commenta Scintilla.
“Che ne sai?...poi che centri tu?...è una favola.”
“Ma se l’amava tanto…” interviene Saetta.
“Sì, infatti Ji tornato alla capanna libera il cavallo e si
chiude dentro, per qualche giorno compone serenate al suo amore finito e di
notte le canta alle stelle mentre il cavallo fa nitriti di accompagnamento ed
il vento fa stormire a ritmo tutte le foglie ed i lupi ululano lunghi ululati
di partecipazione.
Una notte si addormenta stanco morto di tutto quell’amore e
si dimentica i piedi sul fuoco. Al mattino si sveglia con un bel profumino di
arrosto nell’aria ed i piedi cucinati a puntino. Siccome ha appetito ed i piedi
sono a portata di mano prende un coltello ed una fetta per volta se li mangia
tutti lasciando solo le ossa.”
“Questa non la credo!” esclama Li ò, “come fa a camminare?”
“Infatti non cammina, si trascina ma ormai è fatta, i piedi
se li è mangiati ed a giudicare dall’espressione che fa dovevano essere proprio
gustosi. Comunque fatta colazione si affaccia alla finestra della capanna e
vede che i cannibali hanno costruito un muro altissimo tutto intorno alla
quercia e dalla cima gli fanno boccacce
e gli tirano ghiande e gusci di noce. Tra i molti riconosce anche Jia.”
“Povero Ji…” sospira Li ò.
“Cosa dici? Ji non si fa certo spaventare, apre la sua borsa
di viaggio e tira fuori una scatola, la apre e dentro c’è un piccolo carro che
come esce dalla scatola gonfia e diventa grande con delle belle ruote ed i
finestrini sulle porte. Dentro il carro c’è un’altra scatola, la apre e trova
un paio di scarpe nuove.”
“Cosa se ne fa? È senza piedi…” commenta Scintilla.
La porta adesso è completamente aperta e ogni tanto si
vedono delle teste far fugaci capolini.
“Si è mangiato i piedi ma le ossa le ha ancora, prova a
mettersi le scarpe ma quelle non vogliono saperne di farsi infilare, anzi
sembrano piene come se dentro ci fossero già dei piedi ed allora Ji capisce che
in quelle scarpe ci sono i fantasmi dei piedi che si è mangiato. Sta un po’ a
studiare come risolvere la faccenda e poi capisce. Le scarpe hanno dei lacci
molto lunghi, Ji le lega alle stanghe del carro e quelle iniziano subito a
tirare.”
“Come?” domanda Li ò.
“Semplice, una fa un passo avanti e poi lo fa l’altra e
insieme tirano il carro. Ji ci sale dentro e le scarpe cominciano a risalire il
muro prendendo a pedate nel sedere i cannibali che incontrano poi continuano a
camminare per aria e portano il carro sopra le nuvole dove c’è una scatola con
dentro…”
“Cosa c’è?” domandano I tre all’unisono.
“Non lo so ancora...la commedia si interrompe lì, poi son
dovuto partire...forse c’è questa nave…”
Dalla porta aperta vedo che fuori nell’ombra del corridoio
ci sono diversi ragazzi seduti ad ascoltare. Uno di loro più alto e robusto si
alza e si affaccia alla porta.
“Posso entrare?” domanda.
Li ò lo guarda con cipiglio e ci viene vicino. “È il
capobanda, fa attenzione, cercherà
senz‘altro di attaccare briga.” ci sussurra all’orecchio.
Lo invitiamo a entrare. Quello si fa avanti impacciato e
dice: “Ciao, sono Furfante...la porta era aperta e abbiamo sentito...spero non
ti dispiaccia.”
“Perchè dovrebbe?” Ci presentiamo e gli stringiamo la mano.
Ha una stretta forte e cordiale, dopo i convenevoli dice: “Veramente in quella
scatola c’è questa nave?”
“Perchè no?...così potremo continuare l’avventura insieme.”
Nel corridoio si sono alzati tutti, la camera è troppo
piccola per accoglierli, usciamo per salutarli, strette di mano, pacche,
commenti sulla storia... si sente un fischio di vento sopra coperta o forse
arriva da sopra le nuvole o da sopra le stelle o da più in alto ancora, la nave
è ferma e oscilla cullata dalle onde, un altro giorno è passato.
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