Cap.11 Ritorno.




                              Ritorno. 


Il temporale continua, la pioggia scroscia tamburellando monotona sulle assi del ponte e sul fiume, di tanto in tanto si sente un tuono brontolare a grancassa rullando vicino e lontano.

È l’alba, dalla giungla e dal fiume continuano a sollevarsi vapori, la nebbia si sta infittendo oscurandone la luce, a tratti il bagliore di un fulmine penetra nella coltre  facendo luccicare le casse piene di monete e lingotti d’oro, pietre preziose, gioielli ammucchiate sul ponte.

Sdraiati a braccia aperte ci beiamo della pioggia che ci scorre addosso, una doccia di vita, l’acqua ha sciolto le incrostazioni di cacca d’elefante e dall’abito si sprigiona un intenso odore di merda che sentiamo appena.

Un gemito di Africa ci fa alzare. Ha ripreso conoscenza e si lamenta debolmente con la bocca spalancata leccando la pioggia che le bagna le labbra.

Sentiamo Fu imprecare: “Non si vede un accidenti, come faccio a pilotare?”

Dalla nebbia compare Sci: “Sei qui! pensavo ti fossi perso. Vieni al timone, è riparato da una tettoia.”

Afferriamo Africa sotto le ascelle e la trasciniamo al riparo, nel mentre geme in delirio: “Basta, non mordetemi, non ho più sangue…”

“Stai tranquilla, ” le diciamo,  “L’incubo è finito...hai solo sognato, svegliati.”

Lei alza una mano e ci tocca il viso tastandolo con i polpastrelli. Geme: “Questa voce... un sogno… dove sono?”

La distendiamo sotto la tettoia del timone.

“Ce n’è ancora te?” chiediamo a Sci.

“Credo di sì, nello zaino.”

“Dagliene un po’, una goccia per volta, dev’essere disidratata, le farà bene.”

Sci prende la borraccia e le fa scorrere qualche goccia tra le labbra. Africa le beve avidamente strofinandole con la lingua.

Sci dice: “Qui è troppo umido, rischia una polmonite, bisognerebbe portarla sotto coperta.”

“Non mi fido, potrebbero esserci delle trappole... lasciala lì, se si ammala e muore pazienza.”

La nera semicosciente deve sentire le parole, ha un tremito di reazione che si propaga a tutto il corpo e apre gli occhi per qualche secondo guardando intorno con aria di sfida.

La nebbia si è ulteriormente infittita, le sponde del fiume non si vedono più.

Fu al timone, con gli occhi fissi oltre la prua dice: "Questa nebbia è diventata impenetrabile, rischiamo di incagliarci. Da qualche parte ci deve essere l’interruttore per accendere le luci. Qualcuno lo cerchi.”

“Nessuna luce!” ribattiamo,  “I preti ed i neri faranno a gara per arrivare alla missione per primi, potrebbero essere già sul fiume.”

“Non mi dirai che anche questa nebbia è opera della spada?” chiede Sci.

“Probabilmente sì, forse ho ricordato, è un gioco tra la natura universale e l’uno, lei manda le situazioni appropriate per ogni evenienza, bisogna saperne approfittare e si trova sempre il modo di cavarsela, anche in casi estremi.”

“Non mi sembra un gioco tanto facile.” sbotta Fu,  “La natura universale è grande, è tutto il mondo, è…” non trova la parola e continua: “Per fortuna sono affari tuoi…adesso non si vede nulla, la nebbia è troppo fitta e la corrente è aumentata.”

“Bene, approfittiamone.”

“E come?”

“Ti faccio vedere.”

La feluca è lunga una ventina di metri con la  prua affusolata e la poppa stretta leggermente rialzata. Ci affacciamo sul fiume e facciamo emettere un debole chiarore alla spada.

Quattro grossi ippopotami arrivano veloci e si appoggiano contro le  chiglie due per parte, con delle spintarelle mettono la prua in direzione al centro del fiume e continuano a stare affiancati mantenendo la rotta col loro istinto. Altri ippopotami si aggiungono nuotando vicini pronti a dare il cambio mentre davanti una squadra di coccodrilli disposti a cuneo fa da apripista mantenendo le distanze tra le rive.

Il temporale ha ingrossato il fiume e la corrente ci sta trascinando rapida. Qualche lampo, seguito dai soliti brontolii di tuono riesce ancora a penetrare la nebbia ma si fanno sempre più radi. 

Torniamo sotto la tettoia e diciamo: “Fu, mantieni il timone diritto e non preoccuparti della direzione. Ho messo una squadra di ippopotami a pilotare la feluca, penseranno loro al resto. Adesso scendo sotto coperta a dare un’occhiata, se vedi delle luci chiamami.”

Fu ribatte: “Non credo che si metteranno in mare con questo tempo.”

“Meglio essere prudenti, tieni gli occhi aperti.”

“Anche tu... potrebbe essercene rimasto qualcuno nascosto là sotto, fa attenzione.”

A pochi metri dal timone c’è un boccaporto aperto. Facciamo uscire una lingua acuminata di fuoco dalla spada ed entriamo.

Una scaletta scende ad un corridoio che percorre la nave nella sua lunghezza, sulle pareti delle porte quasi tutte aperte, ovunque i segni della lotta.

I corpi di due pirati e di un monaco sono distesi sul pavimento a pochi metri dalla scala. Il monaco ha la gola squarciata, tra le braccia di cui una priva di una mano stringe ancora il fucile con il quale ha sventrato gli altri due. Li scavalchiamo con un salto. Nella prima cabina che incontriamo c’è la cucina, i tavoli e le sedie sono rovesciati, cocci di piatti dappertutto, vetri, pentole. Di fronte una cameretta lussuosa, doveva essere quella del capo dei pirati. Dentro è tutto sottosopra, il letto, le coperte, i vestiti, steso a terra c’è il corpo di un cannibale con la schiena squarciata da una pugnalata, tra i denti stringe una mano mezza scarnificata.

Le due cabine successive sono occupate da cuccette a castello, poi arriviamo alla stiva. È  vuota a parte una grossa cassa nel mezzo, chiusa…meglio non toccarla. il corridoio continua, le porte rimanenti danno su altre due cabine con cuccette a castello  e su un piccolo arsenale pieno di armi da fuoco e da taglio. Ci sono due scale che portano fuori, una grande al centro per la stiva ed una a prua.

Torniamo nella cabina del capitano, carte e mappe stracciate sparse ovunque, tutti gli stipi ed i bauli sono stati aperti e rovistati. In un piccolo scrittoio fissato alla parete un cassetto è rimasto chiuso bloccato da un lucchetto. Lo facciamo saltare con un raggio della spada e apriamo.

Dentro c’è un quaderno con la copertina rigida macchiata in più punti d’inchiostro, ci sono pagine zeppe di annotazioni scritte in una calligrafia indecifrabile tutta aste, punti e linee più o meno curve, dev’essere il diario di bordo.

Sotto il quaderno c’è un astuccio con una collana a più giri di perle e piccoli diamanti lavorati. La prendiamo insieme al diario e risaliamo sul ponte.

Un tuono sta rimbombando lungo allontanandosi in direzione del mare, la pioggia continua a cadere monotona e fitta, la nebbia è impenetrabile.

“Com’è sotto?”  chiede Fu.

“Tutto all’aria e ci sono dei morti, meglio stare qui. A che punto siamo?”

 “Procediamo, la corrente è forte, non si vede nulla ma dovremmo già essere nella giungla, abbiamo deviato da poco. Veramente hai messo degli ippopotami a dirigere la barca? Mi piacerebbe andare a vedere, hai voglia di tenere il timone?”

“Un attimo e arrivo.”

Africa è sveglia e si lamenta debolmente.

Sci le sta massaggiando le tempie, con l’acqua che scende dalla grondaia le ha lavato le ferite, ci sono segni di morsi, di tagli, di colpi. Ci guarda e dice: “È proprio malridotta, chissà da quanto tempo era rinchiusa in quel buco.”

Prendiamo dallo zainetto di Li ò la crema usata per curare Drago e gliela porgiamo: “Sai come si usa?” 

“Sì, al bordello ho fatto il corso di pronto soccorso, vuoi che gliela spalmi sulle ferite?”

“Se ti va... Fu mi ha chiesto di sostituirlo al timone.”

“Servirà a poco, le ferite più gravi le deve avere dentro…ha un corpo bellissimo, la muscolatura da ballerina, doveva essere molto brava.”

“Non pensarci... la crema le allevierà il bruciore poi sulla nave la cureremo meglio.”

“Manca ancora molto?”

“Se continua così fra un’ora saremo arrivati.”

 Riponiamo il diario e la collana nello zainetto e andiamo al timone.

“Come funziona?”

“È solo da tenerlo fermo così.” risponde Fu.

“Ok...fai in fretta, se arrivasse qualcuno non saprei come fare, non ho mai pilotato una barca come questa.”

“Vado e torno!”

Fu si allontana scomparendo nella nebbia. Dopo qualche minuto ritorna. “Incredibile!” esclama,  “quando lo racconterò non ci crederà nessuno, come hai fatto?”

“Non ho fatto nulla, stan facendo tutto loro.”

“Ho capito, il potere della spada, è fantastico! Le casse sono piene d’oro, una ricchezza incalcolabile, siamo ricchi!”

“Aspetta a cantare, non l’abbiamo ancora spartito.”

“Una parte mi tocca di diritto, credo di essermela guadagnata... sono  mesi che Drago non paga gli stipendi, sono proprio al verde.”

“Stai tranquillo, la tua parte non mancherà. Una volta sulla nave faremo l’inventario e vedremo come spartirlo. Abbiamo un lungo viaggio da fare... adesso vieni al timone.”

Fu prende la barra e continua: “I pirati dovevano usare la missione come deposito delle loro razzie...chi sarebbe mai andato a controllare in un posto cosi? Sono stati  gentili,  ce l’hanno anche caricato, che fortuna!”

“In quelle casse non ci devono essere solo i bottini dei pirati, è probabile che i preti in previsione dello sconvolgimento dell’Africa vi tenessero in deposito anche i frutti delle loro rapine, quelle ricchezze dovevano servire a finanziare la guerra, ora dovranno cambiare i loro piani.”

“La guerra, che seccatura, si vive così bene in pace…” brontola Fu.

Ci sediamo vicino a Sci che ha terminato di spalmare la crema sulle ferite di Africa e le sta nuovamente massaggiando le tempie.

“Come va?” le chiediamo. “Non ti facevo così premurosa.”

 Sci con l’aria seria risponde: “Noi del Bordello non abbiamo nazionalità, ovunque ci troviamo abbiamo il dovere di assisterci in caso di bisogno. Adesso è sveglia, continua a chiedere chi siamo e dove siamo.”

“Si riprenderà.”

 Ci avviciniamo ad Africa e le sussurriamo: "Rilassati...hai sognato, non è mai successo nulla…”

Africa ripete con voce piagnucolosa: “Nulla, nulla…”

Continuiamo in silenzio ascoltando la pioggia scrosciare sulle assi del ponte fin quando la prua devia nel secondo tratto della esse. La corrente è forte e stiamo filando veloci. L’oscurità si è diradata ma permane una penombra incupita dalla nebbia per i nuvoloni che devono ricoprire il cielo. Sci fatica a tenere gli occhi aperti per la stanchezza. Anche Fu, lo vediamo ciondolare con la testa.

Ci alziamo dandogli una bella pacca sulla spalla:  “Stai su, siamo quasi arrivati.”

La barca va da sola... ci sono gli ippopotami.” Risponde Fu sollevando la testa e stropicciando gli occhi. “Tu non sei stanco?”

“Certo che lo sono ma non ci penso. Potremmo incontrare una nave…resisti, vuoi forse perdere tutto quell’oro?”

“Non sia mai detto!" esclama raddrizzando la schiena e spalancando gli occhi.

“A proposito dell’oro, che parte conti di darmi?”

“Non so ancora... c’è anche l’equipaggio, se voi siete d’accordo metà andrà alla nave per le spese comuni e l’altra metà lo spartiremo tutti insieme, era il metodo che usavo con la banda nell‘Aia.

“Intendi divedere il bottino con l’equipaggio?” sbotta Fu sorpreso,  “Loro non hanno fatto niente.”

“Cosa credi che diranno quando lo vedranno?”

Fu rimane qualche secondo pensieroso e risponde: “Sì, forse hai ragione, sono mesi che tiriamo la cinghia, se non lo facessimo noi se lo spartirebbero loro…così non resterà molto, contavo di comperarmi una bella fattoria in Cina ed allevare cavalli, sono stufo del mare.”

“Una fattoria dove? Siamo ricchi e tu pensi a lavorare? Di bottini così chissà quanti ne faremo ancora, c’è bisogno di tutto l’equipaggio... quando avremo finito avremo tanti di quei soldi che ci potremo comprare il mondo!”

“Il mondo…e cosa ce ne faremo?”

“Che ne so... tutto quello che ci pare.”

“Il mondo, che bello…” balbetta Fu con gli occhi sognanti. Rimane qualche secondo in silenzio e riprende: “L’equipaggio non vorrà più saperne di Drago, vorranno te come capitano.”

“A questo penseremo poi.”

Continuiamo a fare progetti per il futuro fin quando svoltiamo nell’ultimo tratto della esse.

La pioggia è aumentata, i fulmini hanno ripreso a picchiettare la nebbia di riflessi elettrici ed i tuoni a brontolare.

Sci si è addormentata con la testa ciondoloni su quella di Africa. Nell’aria la tensione è fitta come la nebbia, sentiamo gli ippopotami ed i coccodrilli affiancati alla feluca grugnire nervosi.

Stringiamo un braccio a Fu dicendo: “Ci siamo, se li dobbiamo incontrare questo è il momento. Spegni il motore, vado a mettermi a prua, se la vedi deviare assecondane il movimento con il timone. Non ti addormentare.”

I sospetti erano fondati. Non facciamo in tempo a raggiungere la prua che vediamo delle luci indistinte affiorare dalla nebbia sulla sponda alla nostra destra. Una grande nave è immobile incagliata alla riva. Le luci sono tutte puntate sul fiume sotto le fiancate eccetto un grande faro che illumina sulla sponda opposta un po’ più in giù dove c’è una seconda nave, anche questa incagliata con un faro puntato contro la prima. Si devono essere spintonate nella corsa per arrivare prime, si vedono a malapena, probabilmente una è dei neri e l’altra della marina egizia mandata dai preti.

Tra le due navi c’è uno spazio libero di un centinaio di metri, la nebbia è fitta e non possono vederci ma è meglio non correre rischi.

Lasciamo andare la feluca al centro del fiume e imbracciamo l’arco.

Mentre passiamo tra le due navi sentiamo qualcuno gridare sulla prima:

“C’è qualcosa in mezzo al fiume.”

 L’istante successivo una freccia colpisce il loro faro facendolo esplodere, l’attimo dopo una freccia raggiunge il faro dell’altra nave ed esplode anche quello.

Un cannoncino della prima nave inizia a sparare sul fiume fortunatamente a vuoto perchè noi siamo già qualche centinaio di metri avanti. Sull’altra nave credono che i colpi siano diretti a loro ed aprono il fuoco contro quella avversaria che risponde a cannonate e cannonate comincia a sparare anche la seconda…dopo qualche secondo i bagliori di due roghi immani arrossano la nebbia poi non si vede più niente e lo scrosciare della pioggia copre ogni rumore.

Ritorniamo a poppa. Fu è teso sul timone. Sci e Li ò sono in piedi accanto a lui svegliati dalle esplosioni.

“Che è successo?” chiedono.

“Affari loro! Fu, puoi rallentare questa bagnarola?”

“Certo, basta accendere il motore e far girare l’elica al contrario.”

“Allora fallo altrimenti rischiamo di passare la deviazione e finire in mare.”

In quel momento si sente un'immane esplosione subito dopo seguita da un’altra.

Fu guarda in direzione e dice: “Pace all’anima l’oro…” sposta lo sguardo su noi e continua: “Hai trovato un metodo molto pratico per liberarti dai nemici, li fai distruggere tra loro.”

Ridendo accende il motore e l’elica si mette a girare vorticosamente rallentando la barca.

Prendiamo la radio di Archimede e proviamo a chiamare. Si sente un ronzio scoppiettante per le interferenze del temporale. Dopo un po’ qualcuno risponde: “Pronto, sono Archimede, agli ordini!”

“Sono Ji, mi senti?…”

“La linea è disturbata ma ti sento, come va dalle tue parti?”

“Stiamo tornando, saremo lì tra una decina di minuti. Ho bisogno che qualcuno si affacci a far luce alla porta, subito!“

“Sei di fretta?... mando immediatamente il maggiordomo all’angolo con la via.”

“Perfetto, fai preparare i facchini, c’è molto da scaricare ed ho un amico che sta male.”

“Agli ordini! C’è altro?”

“Sì, vienimi incontro con l’intenditore, ho comprato molta roba e prima di pagarla voglio essere sicuro che non mi abbiano imbrogliato, sbrigati!”

“Ok Ji, qui siamo tutti in attesa!”

Chiudiamo.

Fu chiede: “Sei sicuro che non incontreremo altre navi?”

“Improbabile... dopo questo ultimo disastro andranno cauti ed aspetteranno che se ne vada la nebbia. Ora torno a prua e faccio avvicinare la barca alla riva, tienti pronto a girare non appena vediamo la luce. Li ò, vieni con me, in due si vede meglio.”

Arrivati a prua ci sporgiamo dal parapetto e dirigiamo gli ippopotami verso la sponda sinistra. La nave si accosta e procede lentamente fin quando sulla riva si vede una luce bucare la nebbia.

“Ci siamo!” gridiamo a Fu,  “Adesso…gira!”

Gli ippopotami ed i coccodrilli si tuffano sott’acqua e spariscono soffiando sonore scoregge di commiato.

La barca vira di novanta gradi ed entra nel tratto che porta al lago.

“Chi va là?” grida allarmato il marinaio con la luce da una canoa.

“Siamo noi! risponde Fu.

“Che cosa ci fate su quella feluca?”

“Te lo racconteremo dopo, adesso andiamo alla nave.” Gli diciamo.

“Ji! tutto bene?... Sono Tazza, c’è anche Zip con me!”

 “Tutto ok, son contento di rivedervi. Precedeteci alla porta, non vorrei che gli altri si allarmassero vedendoci arrivare con questa barca. Fate uscire Archimede.”

I due iniziano a pagaiare veloci verso la grotta con noi che li seguiamo a distanza. Gli diamo il tempo di avvertire e raggiungiamo la porta.

C’è Archimede ad attenderci sulla riva ad un lato della cascata insieme ad un gruppo di marinai.

“Urrà! Bentornati!” gridano tutti battendo le mani.

“I festeggiamenti a dopo!” diciamo,  “C’è ancora molto da fare e va fatto subito! Archimede, hai il  segnalatore?”

“Certo, il migliore in circolazione, ricerca automatica su tutte le frequenze, una mia invenzione, quando hai detto dell’intenditore ho capito.”

“C’è una ragazza ferita da portare in infermeria, la barella è pronta?”

“Sì, è qui.” dicono due marinai mostrandola.

“Ok, salite. Voi fate un ponte di barche, dieci robusti salgano a bordo, gli altri si preparino a ricevere la merce, sono arrivati gli stipendi!”

“Viva la tigre!” gridano tutti.

Archimede e i due marinai con la barella salgono a bordo. Di fronte alle casse piene di tesori spalancano gli occhi e rimangono a bocca aperta.

“Non ho mai visto una cosa simile!” esclama l’inventore al colmo della meraviglia. “Non perdiamo tempo, la nebbia potrebbe alzarsi!” diciamo “Archimede, controlla che le casse non abbiano insidie nascoste, farai un secondo controllo via via che passano la porta. Voi venite!”

 Accompagniamo i due con la barella da Africa.

“Una nera…è malridotta, dove l’hai trovata?” dice uno chinandosi a tastarle il polso.

“Racconteremo tutto più tardi, adesso portatela giù, ha bisogna di cure.”

“Abbiamo un’ infermeria attrezzata.” dice il marinaio, che in quel momento riconosciamo essere l’infermiere della squadra di Drago.

“È andato bene il ritorno?” gli chiediamo.

“Sì, gli ippopotami ci hanno spinti fino qui e la luna ha illuminato la strada, la nebbia si è alzata mezz’ora dopo il nostro arrivo. Drago è malconcio ma si riprenderà.”

Africa viene coricata sulla barella e sbarcata.

Chiamiamo Fu Sci e Li ò: “Aspettate che Archimede controlli le casse poi sceglietevi un ricordino, quello che vi pare, prima che salgano gli altri.”

I tre si avvicinano alle casse e rimangono indecisi a guardare. Intanto prendo il diario e la collana dallo zainetto di Li ò e li faccio controllare da Archimede insieme ad un braccialetto che peschiamo a caso su un mucchio.

“Tutto a posto.” dice l’inventore passandoli al rivelatore.

“Non credo ci siano trappole…” diciamo,  “con la fretta che avevano non hanno avuto il tempo di metterle ma è sempre meglio essere prudenti."

I tre non  sanno decidere. Scintilla dice: “Non sono abituata a queste cose, scegli tu per me.”

“Anche per me!” fa eco Li ò.

Fu, con voce avida, borbotta: “A me piacerebbe riempirmi le tasche di queste.”

Indica una cassa piena di gettoni d’oro di grosso taglio.

“Ok, riempitele.”

Fu senza esitazione affonda le mani nell’oro.

Prendiamo un anello di platino con un piccolo rubino rosso luccicante incastonato in uno smeraldo a forma di stella  e Io porgiamo a Sci che se lo infila subito al dito e poi rimane a guardarlo ammirata, ci salta al collo abbracciandoci forte e ci sussurra all‘orecchio: “Sai che vuol dire dalle mie parti quando un uomo regala un anello ad una donna? Non ho ancora indetto l’asta ma considerati il primo e unico concorrente.”

Per Li ò scegliamo una scatolina d’oro tempestata di brillantini di svariati colori.

“Qui ci potrai conservare le tue poesie.” gli diciamo porgendola.

“È piccola!”

“Tu scrivile corte così ci stanno.”

 “A me piacerebbe tenere la tromba.”

“La tromba è di Archimede ma se ci sarà da usarla ancora sarà tua.”

“Va bene, allora prendo la scatola.”

La apre ed il tintinnio di un carillon  inizia a spandere la sua musichetta allegra nella nebbia.

“Che bello!” esclama Li ò.

 “Per Saetta niente?” chiede Sci,  “Ci ha aiutati a uscire dalla grotta, meriterebbe un ricordino.”

“È vero.”  Prendiamo un braccialetto tessuto in maglia d’oro giallo e bianco con un piccolo diamante  incastonato tra due ali di perle e lo porgiamo a Sci.

“Dalle questo.”

Scintilla lo prende ed esclama: “Sarà contentissima!”

Ci abbraccia ancora dicendo, con una punta di picca civettuola: “Mi sa che sbancherai a tutte le aste, non so se essere contenta.”

Il ponte di barche è pronto e dieci marinai  salgono a bordo. Di fronte ai tesori si impietriscono di stupore.

“Forza!” li sproniamo,  “Cominciate a scaricare, non perdiamo tempo.”

Archimede ha terminato il controllo.

“Devo guardare anche nella stiva?" ci chiede.

“Sotto c’è solo un grosso baule chiuso, ci vorrebbe troppo tempo per il controllo, meglio lasciarlo dov’è. C’è anche un’armeria ben fornita. Ci servono armi?”

“Armi ne abbiamo quante ne vogliamo, le più moderne ma potremmo sempre venderle.”

“No, lasciamole li... questo tratto della costa sarà pattugliato dai neri, le troveranno loro...così i preti penseranno che si sono presi anche i tesori.”

“Che intenzioni hai?”

“Finito di scaricare abbandoneremo la feluca nel fiume.”

“Perché?...deve valere un sacco di soldi.”

“Tu pensa ad inventare, per la guerra lascia fare a me.”

Archimede ci guarda negli occhi. “Agli ordini…” dice annuendo con il capo.

“Adesso è meglio che scendi, ricontrolla tutto accuratamente.”

“Agli ordini!” ripete allontanandosi.

 Li ò ci accarezza una spalla e dice: Vorrei stare ancora ma ho gli occhi che si chiudono...posso andare anch’io?”

“Sì.” Gli diamo l’arco e la faretra,  “prima porta questi e lo zaino nella mia cabina, puoi dormire lì se vuoi. Sci, vai anche tu.”

“Perchè?... sono stanca ma ce la faccio ancora.”

“Ho detto vai anche tu!”

“Ok Ji…” brontola scendendo con Li ò.

“Ed io?” chiede Fu.

“Tu mi hai sfidato e aspetti con me.”

“I marinai finiscono di scaricare. Tutto l’equipaggio si è radunato alla porta, sentiamo mormorii di avidità giubilante scorrere sulle bocche di tutti.

“C’è da fidarsi?” chiediamo a Fu.

“Siamo pirati onesti, nessuno toccherà nulla.”

“Staremo a vedere.”

Prima di congedare i marinai sulla feluca gli diciamo: “Fate passare voce che il bottino verrà diviso fra tutti. Ammucchiatelo sul ponte sotto l’albero.”

I marinai si illuminano esultando e scendono, il ponte di barche viene ritirato e la riva torna deserta.

La pioggia è aumentata e scroscia tamburellando le assi del ponte contrappuntata al fragore della cascata, i boati dei tuoni dal mare si stanno spostando verso l’interno e rimbombano sempre più vicini, da qualche minuto ha cominciato a soffiare il vento e la  nebbia sta svanendo sbuffando in vortici di vapore.

“Sbrighiamoci.“

Raggiungiamo la poppa, Fu accende il motore e portiamo la feluca in mezzo al lago poi sleghiamo la canoa, la posiamo sul fiume e ci trasferiamo sopra allontanandoci di qualche metro.

Una decina di ippopotami emerge dalla rada ed inizia a spingere la feluca verso il fiume.

“Andiamo!”

Pagaiando decisi torniamo alla grotta. La nebbia è scomparsa, ora il vento soffia con raffiche violente e continue, urla come se sopra corressero torme di lupi ululanti...il cielo è nero di nuvoloni carichi di tempesta e lampi continui lo scorrono di furore.

Dei marinai sulla riva prendono la canoa  e ci aiutano a scendere.

 

Entrati veniamo accolti da un’ovazione, su tutta la nave si sentono grida di viva la tigre che si vanno ad ammucchiare sulle volte buie della grotta rimbombando in echi senza fine.

Questi pirati, basta che vedano una fava luccicare e subito non capiscono più niente.

Tre fari accesi sistemati a poppa al centro ed a prua illuminano i ponti della nave, sembra una piazza con in mezzo l’albero della cuccagna tra casse stracolme di ricchezze.

Le casse sono trenta, venticinque piene di gettoni d’oro, le altre di gioielli e pietre preziose di ogni tipo e foggia. I brillanti riflettono la luce in cascate di riflessi abbaglianti. Chissà da quanto tempo i missionari l’ammucchiavano nei loro sotterranei, quanti saccheggi e rapine ci son voluti per metterlo insieme, che importa ormai?

L’equipaggio è radunato intorno alle casse. Al nostro arrivo esultano, ci sollevano e ci fanno fare il giro dell’albero sopra le loro braccia tra gli hurrà e gli evviva la tigre.

Quando ci calano a terra Fu dice: "Neanche quando ho cavalcato il rinoceronte mi sono sentito così sbattuto.”

I marinai vorrebbero festeggiare subito ma siamo talmente stanchi ed inzuppati d’acqua che fatichiamo a stare in piedi. Alziamo le braccia per ottenere un  po’ di silenzio ma è inutile, l’oro ha messo il pepe a tutti.

Sfoderiamo la spada e facciamo uscire una lingua di fuoco simile ad una frusta che inizia a sferzare l’aria in tutte le direzioni  emettendo schiocchi luminosi che esplodono in miriadi di scintille.

Al prodigio zittiscono tutti. Diciamo: “Sono ventiquattr’ore che non chiudiamo occhio e ci meritiamo una bella dormita.  Questa sera faremo una grande festa e vi racconteremo  i particolari. Dite al cuoco di non lesinare col vino.”

Un marinaio si avvicina e chiede: “È  vero che dividerai il bottino con tutti noi?”

L’equipaggio ammutolisce in attesa della risposta.

“Certo, dividerò questo e tutti quello che rapineremo in futuro!”

“Evviva! Urrà! Viva la tigre!”

Fanno per riprenderci sulle braccia ma alla vista della lingua di fuoco che esce dalla spada si tirano indietro e gli animi si calmano...

Una bella cinesina vestita in camice bianco con la cuffia arricciata sopra i capelli a caschetto ci prende in disparte e dice: “L’infermiere chiede se puoi dargli lo zainetto del pronto soccorso, ne ha bisogno per la nera.”

“Sì, vieni con me, te lo do subito.”

In cabina ci sono Sci e Saetta che dormono abbracciate sul lettino e Li ò coricato su un materassino con la tromba stretta tra le braccia. Sono tutti freschi di doccia ed indossano pigiami.

Senza svegliarli prendiamo lo zainetto e dopo aver ritirato il diario, la collana ed il braccialetto lo porgiamo all’infermiera.

“Come sta Drago?" le chiediamo.

La ragazza, con voce sensuale e civettuola, risponde: “Ha ripreso conoscenza ma non ha ancora pronunciato parola.”

“Portagli i miei saluti e digli di prepararsi per la festa di stasera, ora è un uomo ricco.”

L’infermiera ci guarda crucciata e continua: “Non credo abbia voglia di festeggiare dopo quello che è successo. Lo hai ridicolizzato di fronte a tutto l’equipaggio, non lo vorranno più come capitano.”

I suoi occhi luccicano e sta per piangere.

“C’è qualcosa che non so?” le domandiamo,  “Sembri un po’ troppo dispiaciuta per la sua sfortuna. Questa nave appartiene al principe, Drago l‘aveva solo in custodia e farà il suo dovere.”

“Lo so  ma io lo amo e mi dispiace vederlo così, forse avresti fatto meglio a lasciarlo morire nella giungla, non accetterà mai di farsi soppiantare da un ragazzino.”

Si interrompe ed inizia a piangere.

“Cosa sono queste lacrime? invece di far festa... di’ a Drago di non pensare a nulla, troverò il modo di far contenti tutti. Fuori da questa grotta sta per scoppiare una guerra che avrà sviluppi imprevedibili, nulla di quello che era sarà più, per sopravvivere abbiamo bisogno uno dell’altro, a me serve la sua esperienza ed a lui... digli che ho trovato la spada, capirà. Il capitano della nave continua ad essere Drago, comunque, se la cosa non gli garbasse, potrà sbarcare quando e dove vuole e saprò ripagargli questi anni da farlo vivere come un nababbo per il resto dei suoi giorni. Adesso basta parlare di questo. Africa si è ripresa?”

“È ridotta male ma nulla di grave...le rimarrà qualche segno. Adesso vado, in infermeria mi aspettano.”

“Come ti chiami?”

“Polina.”

Gli occhi della ragazza si sono rasserenati. Ci bacia velocemente una guancia sfiorandola con le labbra ed esce correndo con lo zainetto.

Li ò, Sci e Saetta continuano a dormire. Saetta deve essere stata sveglia tutta la notte in attesa, al polso le  brilla il braccialetto.

Prendiamo le nostre cose e torniamo su. Il tesoro è stato coperto con dei teli e la maggior parte dell’equipaggio è indaffarata sui ponti, l’aria è fresca ed umida,  qualche grosso gocciolone piove dal tetto della grotta spiaccicandosi sulle assi.

Fuori la bufera imperversa, la serranda è scossa da tremiti e vibra sferragliando.

Scendiamo nell’officina di Archimede e da lì passiamo nella camera segreta, posiamo l’arco e la faretra nell’armadio, ci spogliamo degli abiti inzuppati che odorano ancora di elefante, ci togliamo il fodero, riponiamo il diario in un cassetto poi prendiamo la collana ed il braccialetto e vestiti solo dei regali entriamo nell’alcova.

Micia è seduta davanti allo specchio con Zuzù alle spalle che la pettina.  Ambedue indossano vestaglie di seta semitrasparenti con ricami traforati accentuati nelle zone erotiche.

Una luce tremolante ed azzurrina che proviene da una lampada rotante sul soffitto illumina la stanza di onde marine che scivolano nell’ aria e sulle pareti frangendosi contro i loro corpi.

Non ci hanno sentiti, arriviamo silenziosi, pizzichiamo il culo di Zuzù e diamo un  bacio sul collo a Micia.

Zuzù strilla fregandosi la parte pizzicata e Micia spalanca gli occhi di contentezza.

“Sei arrivato finalmente…” dice sospirando,  “te ne sei andato senza dir nulla, questa notte non sono riuscita a dormire, sei ancora un ragazzo, saperti solo nella giungla con Drago che…”

“È stato un gioco.” mormoriamo mettendole la collana al collo.

Micia rimane sbalordita dalla sorpresa. Guarda la collana ed esclama: “Questa è la Luce di Delhi!…dove l’hai trovata?”

“Dove l’ho rubata…che ti importa? Un regalino  per  te.”

La collana è magnifica. Pietre preziose e perle dai colori delicati disegnano sul decolleté la figura di un busto femminile con tre braccia dalle  mani affusolate per parte avvolte intorno ad un diamante grosso come una noce che brilla di luce propria.

Micia accarezza la collana guardandosi allo specchio.

“Che sorpresa rivederlo, conosco bene questo gioiello, il principe lo donò alla principessa di Delhi per ringraziarla di averci ospitati durante i nostri viaggi... e adesso è qui.”

“Ti sta proprio bene.” le diciamo baciandole una spalla.

“Oh!…” sbuffa Micia scrollandosi la spalla tutta percorsa da tremiti,  “Non ho mai dato importanza ai gioielli... il principe me ne regalava tanti...mi faceva scorrere manciate di pietre preziose sul corpo, ne avevo un baule pieno, le ho dovute vendere tutte per pagare gli stipendi all’equipaggio, i bottini di Drago erano così scarsi che bastavano appena per il te. Ero così gelosa quando la regalò, Delhi voleva partire con noi ma il principe non volle...non credo sia contenta di averla persa...chissà che cosa le è successo…”

Rimane qualche secondo silenziosa poi si gira e ci abbraccia: "Non potevi farmi regalo più gradito...la metterò solo per te!”

Ci annusa la pelle e continua: “Puzzi di cacca, è questo il modo di presentarti ad una principessa? Sono così contenta che…”

La interrompiamo: “Cacca di elefante e cannibali e iene, poi incendi esplosioni, pirati, rinoceronti, coccodrilli…sapessi che storia, adesso ho bisogno di un bagno, un bel massaggio e poi un letto morbido e caldo.”

“Sì…” mormora Micia arrossendo,  “tutto quello che vuoi…”

Ci libera dall’abbraccio e dice: “Zuzù, accompagnalo in bagno...ho preparato dei pasticcini di sfoglia con panna e cioccolato, li gradisci?”

“Ho più sonno che fame ma ne assaggerò volentieri qualcuno.”

 

Nel bagno, mentre Zuzù prepara la vasca, ci sediamo sul water e facciamo i bisogni, poi ci immergiamo nell’acqua calda e profumata. Zuzù esce e ritorna poco dopo con un vassoio di pasticcini ed un bricco di caffè e ce li posa a portata di mano. Ha il broncio e ci guarda crucciata.

“Che ti succede?” le chiediamo.

“A lei regali le collane ed a me i pizzichi... bell’amico che sei.”

“Ad ognuno il suo, che ti aspetti da me?”

“Nulla, sono solo una zucca, una povera illusa!”

“Dammi la mano.”

“No!”

“Dai...non fare così... dammi la mano.”

“No! Non avrai più niente da me!”

Le prendiamo una mano di scatto e la spingiamo sott’acqua infilandole il braccialetto.

Zuzù si impunta e libera la mano, fa per inveire poi rimane a bocca aperta ad osservare il gioiello.

L’abbiamo preso senza guardare ma è stata una buona scelta, un mosaico di brillantini, diamanti, smeraldi, rubini, topazi che disegnano una conchiglia tirata da un volo di cigni sopra le onde marine  incastonato su una maglia tessuta a fili d‘oro bianco vaporosa come una nuvola.

Zuzù balbetta incantata: “Questo per me? Non è che poi te lo riprendi…”

“Uffa!”

“Non ho mai visto una cosa cosi bella...mi hai ricordata...allora è vero che ti piaccio…”

“Non montarti la testa... l’ho preso a caso, ce n’era una montagna, non è costato niente.”

“Cosa dici? hai rischiato la vita...sei un tesoro... sono tutta bagnata, cosa vuoi che faccia?”

“Per iniziare vorrei una bella insaponata morbida dappertutto.”

“Subito... assaggia un pasticcino, sono deliziosi, li ha fatti Micia.”

Zuzù inizia ad insaponarci i piedi e poi sale sulle gambe, si sofferma a lungo e delicatamente sul cazzo facendocelo diventare duro come un cannone, poi  il sedere, sale sul torace, la schiena e completa l’opera spalmandoci  lo shampoo sui capelli.

“Delizioso…“ mormoriamo tutti goduti con la bocca dolce per i pasticcini,  “adesso sciacquami con le tette.”

“Come faccio?” chiede ritraendosi.

“Ecco, rischio la vita e tu mi rifiuti un piccolo favore... sono stanco, voglio qualcosa di morbido, le tue tette sembrano fatte apposta.“

“Tu sei matto... dovrei entrare in acqua...mi rovinerò il trucco...ci ho messo tutta la notte per farlo.”

“Va be‘, allora mi sciacquo da solo.”

 “Aspetta!”

 Di slancio si toglie la vestaglia ed entra in acqua abbracciandoci stretti.

“Così va bene?” chiede sfregandoci le tette sul petto.

“Mmm...sì, dappertutto.”

Ci rilassiamo stendendoci per lungo nella vasca, Zuzù fa abbassare il livello dell’acqua poi apre il getto flessibile e se lo sistema nell’incavo delle tette iniziando a sciacquarci i piedi. I suoi capezzoli sono gonfi e trasudano un umore biancastro.

“Tu devi essere proprio speciale, “ dice seguendo il nostro sguardo,  “Mi hai fatto venire il latte.” 

Continua a strofinarci risalendo le gambe, stringe le tette intorno al cazzo, sale sul petto, ci gira e finisce di sciacquarci fino alla testa poi ci rigira e scende nuovamente al cazzo, lo stuzzica con la lingua poi lo stringe tra le tette e inizia a succhiarlo a tutta gola e lingua.”

“Impari in fretta.” Le diciamo accarezzandole i capelli.

“Mi piaci!" mormora lei a bocca piena.

La solleviamo sbaciucchiandole le labbra.

“Continueremo dopo, adesso andiamo a letto.”

“Come vuoi... io non smetterei mai.”

Fuori dalla vasca ci asciughiamo a vicenda. Zuzù dice: “Ho l’impressione di conoscerti da sempre, mi sento come…se fossimo una cosa sola.”

I trucchi le si sono impiastricciati sul viso, le labbra sono gonfie sfumate dal rossetto. Fa per ripulirsi allo specchio ma la fermiamo: “Rimani così, sei molto eccitante.”

Torniamo nell’alcova.

Micia è coricata sul letto, la vestaglia aperta, le gambe fasciate da sensuali calze nere con giarrettiere luccicanti, tra le labbra accese di rossetto le brillano i denti.

Guarda Zuzù nuda col braccialetto al polso, alza un sopracciglio e ride.

Ci tuffiamo sul letto poi stringiamo con le gambe i fianchi di Micia e sistemiamo Zuzù a cuscino succhiandole un capezzolo. Il sapore agrodolce del suo latte si mescola alla panna ed al cioccolato…

Micia inizia subito a titillarci il cazzo con la lingua poi lo ingoia e rimane a masticarlo lentamente.

Abbiamo un orgasmo, una bella sborrata lunga e goduta e ci addormentiamo continuando a scorrere nel sogno.

 

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